“La preghiera
per i defunti deve rafforzare la nostra speranza nella vita
eterna”
Dopo il Rosario con riflessioni per
la Giornata Missionaria Mondiale, un’altra bella iniziativa mariana è stata
proposta dai Padri Cappuccini e in particolare da Padre Eugenio Di Giamberardino
ai fedeli che frequentano la Parrocchia dell’Incoronata in questo mese, dedicato
ai defunti, e
iniziato, Domenica 1 novembre, con la Messa celebrata
dall’Arcivescovo Mons. Bruno Forte nel cimitero di Vasto: il Rosario con
meditazioni specifiche
sull’argomento.
Nel
primo Mistero viene
sottolineato che ogni giorno la Chiesa prega per i suoi figli defunti e
li raccomanda alla misericordia di Dio perché, purificati da ogni macchia di
peccato, entrino nella gioia del paradiso. Nonostante questo, particolarmente in
questo mese di novembre, siamo invitati a ricordarci di tutti i defunti: dei
nostri e di quelli che nessuno ricorda più, dei giovani e degli anziani, dei
papà, delle mamme, dei figli morti in ogni tempo e in ogni luogo, in pace col
Signore. E una commemorazione che diventa suffragio per i defunti, ma anche
impegno per noi affinché viviamo sempre in comunione con Dio e i fratelli e
nella speranza della risurrezione con Cristo. Chi più tardi, chi più presto,
tutti siamo, infatti, incamminati verso la
morte.
Il secondo Mistero fa riflettere
sull'enigma della condizione umana che diventa sommo in faccia alla morte. Ogni
uomo e ogni donna, lo voglia o non lo voglia, presto o tardi, si ritrova a
versare lacrime per la morte di un congiunto, di un amico, di uno che gli ha
voluto bene.
Lo sappiamo tutti: si nasce, si
cresce, si muore. E la morte lascia sempre un vuoto, anche la morte dei nostri
vecchi, che l'esperienza ha affinato nell'amore. Quando qualcuno muore nei primi
anni di vita, nel pieno della giovinezza o della maturità la morte pone
interrogativi più acuti.
La morte, a ogni modo, è per tutti, e
per i credenti in modo particolare, occasione di riflessione sul senso della
vita. Dinanzi alla realtà del dolore, dobbiamo tutti confessare la nostra
piccolezza e la nostra impotenza, anche se dobbiamo continuare ad operare per
guarire e aiutare a guarire. Quando la morte bussa alla porta della nostra casa,
dobbiamo reagire con fede, senza fame una
tragedia.
Meditare e pregare sull'inevitabile
realtà della morte è una delle maniere migliori per commemorare i defunti. La
terra può essere vista come un immenso cimitero, dove anche le civiltà più
splendide sono scomparse, gli uomini più forti sono passati, gli scienziati più
rinomati sono morti.
Nel terzo Mistero
si
evidenzia che spesso ci si sente smarriti a vivere in
un mondo destinato alla morte. E allora c'è chi per sentirsi felice si ubriaca o
si droga e non si accorge che così non risolve i problemi, ma solo li ritarda e
li aggrava. Neppure impegnandosi accanitamente nel lavoro o distraendosi con lo
svago ci si può immunizzare dalla
morte.
E impostata male la nostra civiltà,
che punta tutto sull'esistenza, sulla vita, sulla storia, sul sesso, sul denaro,
sulla politica: perchè si ripone tutto sulla vita, diventa sempre più difficile
vivere. Occorre vedere meno brutta la morte: guardarla in faccia, comprenderne e
accettarne l'ineluttabilità, rendercela familiare, trasformandola in avventura
nella quale siamo protagonisti. Forse avevano ragione gli antichi messicani e
altri popoli primitivi per i quali la morte era occasione di
festa.
Piangere sul chicco di grano che
marcisce sotto terra, o sulla candela, che illuminando si consuma, o sulle
persone care che ci lasciano o sulla nostra vita che inesorabilmente scorre
verso la fine, può essere umano, ma non è del tutto giustificato. Solo se la
candela si consuma può illuminare; solo sacrificando generosamente la propria
vita si contribuisce al sorgere di realtà nuove. Occorre seminare il corpo
corruttibile per riemergere con il corpo
spiritualizzato.
Il quarto Mistero
invita
sia a non lamentarsi per le persone care
che ci vengono tolte, ma piuttosto a ringraziare per averle avute accanto o per
averle incontrate, sia a non limitarsi a commemorare i morti ma piuttosto ad
aiutare i vivi, che restano. In fondo i nostri morti non ci chiedono di morire
con loro, né di trascurare di fare del bene a chi ci circonda, col pretesto di
prestare una esagerata attenzione, esteriore, verso di loro. Se é normale
affliggersi quando uno muore, molto di più si dovrebbe provare stupore perché si
è vivi.
Il quinto Mistero
ricorda
che la vita
non è un sogno perchè “quando io soffro, so bene che non è una illusione, quando
faccio le mie scelte, sento di essere libero, sia pure non in modo assoluto, e
di essere responsabile del mio operato e delle relative conseguenze”. E'
inammissibile che con la morte la sorte dell'uomo giusto e del martire diventi
uguale a quella del furfante e del
persecutore.
Dal modo di agire della natura
possiamo intuire che non siamo stati creati per essere distrutti, né siamo stati
fatti nascere per morire. Dio non fa come gli uomini, che prima costruiscono e
poi distruggono, amano e poi dimenticano, decidono e poi si pentono. Dio ci ha
creati per una vita senza fine.
Ogni cimitero è un luogo d'attesa,
dove i corpi riposano in attesa di ricongiungersi con la propria anima, di
riprendere vita come il chicco di grano, che attende e muore sotto terra, perché
da esso spunti la nuova pianta, la nuova vita. Destinati a risorgere, riposiamo;
"Resurrecturi quiescimus". Ogni tomba è come una seconda culla, dove termina
l'esperienza terrena e inizia quella celeste. Possiamo guardare avanti a noi con
fiducia. La vita non è un cammino verso il nulla, ma una marcia di speranza
nell'attesa di una festa senza fine. La preghiera per i defunti deve rafforzare
la nostra speranza nella vita
eterna.
LUIGI
MEDEA
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