sabato 1 novembre 2014

Commemorazione defunti

di Lino Spadaccini
In occasione della festività di Ognissanti e della Commemorazione dei defunti in molti si recheranno al cimitero per la visita ai propri cari.
Anticamente le famiglie vastesi si preparavano a questa festa verso la fine di ottobre, quando spogliavano i giardini per preparare corone, ghirlande, croci e cuscini di fiori per adornare le tombe dei loro cari. Ai fiori si accompagnavano i lumi realizzati con vasi di creta, bicchieri con olio d’oliva, stoppini e lumini di cera, lampade ad acetilene o candele.
“Anticamente di questi giorni”, ricordava Francesco Pisarri sulle pagine de Il Vastese d’Oltre Oceano, “le
massaie prendevano dei grandi cassoni in cui si conservavano per la famiglia, manciate di legumi e li lessavano, mischiati insieme; e tutti di famiglia ne prendevano; e ne prendevano gli amici e se ne davano ai poverelli che venivano a chiedere l’elemosina per l’anima dei morti. Anzi quegli stessi legumi allessati si chiamavano eufenicamente «l’alme de li murte». E poiché fra essi abbondavano le fave, chissà se questo antico rito non traesse origine da quello antichissimo romano, per cui il «pater famiglias» accorgendosi che la sua casa era invasa dalle larve (o spiriti), per calmarle e allontanarle faceva suonare come un gong, dei vasi di rame e girava tutta la casa dicendo preghiere e scongiuri e gettandosi dietro le spalle delle fave nere, che andava man mano mettendosi prima in bocca e insalivandole”.
Nella notte tra il primo e il due novembre, le massaie lasciavano una conca ricolma d’acqua, “perché i poveri morti avessero agio di andare a bere e di rinfrescarsi le arse labbra e le visceri brucianti”.
Francesco Pisarri ricordava ancora quando il primo novembre i ragazzi compravano delle pipette di creta con le cannucce colorate di rosso, verde o turchino e vi fumavano “lu spichifinucchie”, cioè i semi del finocchiastro. Questi giovinastri se ne andavano verso il cimitero, fumando la loro pipetta, ad imitazione degli adulti, fermandosi ad acquistare lungo la strada le caldarroste.
Questa è anche l’occasione per rileggere il bel sonetto di Luigi Anelli, dal titolo “L’Alme di li murte”, che ci descrive l’atmosfera che si respirava in questo giorno di festa tra mendicanti, ragazzini chiassosi e il via vai di gente in visita ai propri cari:

Lu pòpele ci arréiv’ a ppricissiìune
Dändr’ a lu Quambesand’ allumunete,
e a llongh’a llonghe pi’ li rasilìune
véite sinocch’ e fiùre spalijete.

ʼM mèzz’ a lu vussa vîsse sinde hìune
che štrëlle ca l’ à l’ ome pizzichete;
ʼn artire cuffujá du’ cafìune
che ppiágnen’ a ʼna cráuce aggiunucchiete.

Ma ʼla bbardasciarë’ fa cchiù rrubbelle:
chi scappe, chi a li fosse s’ annascânne,
chi fume l’ánis’ a la pipparelle.

Pùvere murte!... Aväit’ ujje li réuse:
ma chi vvi fa, se mangh’ all’ addre mânne
vi l’ ome dà nu qquáune di ripéuse?!...

C'è un'altra poesia, meno conosciuta della precedente, ma molto bella e intensa, scritta nel 1888 da Luigi Desiati, pubblicata sulle pagine del settimanale Istonio, dal titolo Il giorno dei morti:

Per la vasta campagna popolata
di brune croci e bianchi monoliti,
fra i verdi salci e i monumenti aviti,
sen va la gente dal voler portata.

Dal baglior de la fede è illuminata
la sotterranea notte, ed in quei siti,
mira gli avanzi umani e par che additi
con gioia ognun qualche persona amata.

Voracità del tempo!... misteriose
leggi de la natura onde travolve
nei suoi gorghi l'obblio tutte le cose!

Se la speme è fallace e se una fola
più bugiarda è l'amore, oltre la polve,
ama ancor l'alma sconsolata e sola?

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