CRONACHE VASTESI DEL 1820
I romani e l'amianto
di Giuseppe Catania
Gli antichi romani conoscevano già il tessuto di amianto, inattaccabile dalle fiamme e, praticamente, in distruttibile.Prove di tal genere si trovano un po' dovunque, ma esiste un episodio, avvenuto quasi 200 anni fa a Vasto che
comprova ulteriormente il fatto che i romani, e forse i popoli ad essi precedenti che ebbero insediamenti in Abruzzo, possedessero stoffe ininfiammabili. Da un manoscritto intitolato «Notizie storiche del Vasto» di Romualdo Celano infatti
leggiamo quanto appresso.
"25 maggio 1820.Un contadino lavorando in contrada San Martino a circa 200 metri dalla Chiesa dell'Incoronata, urta con la zappa su un masso di fabbrica a fior di terra; e rotte le tegole soprastanti, scopre uno scheletro umano avvolto in un lenzuolo bianco, ed un bellissimo vaso di alabastro.
Sperando che nel vaso si celasse un tesoro, il contadino e ruppe il coperchio; ma invece del tesoro, vi trova n teschio. Deluso nelle sue speranze, prende con sé il vaso, che porta nel suo abituro per conservarvi dentro i legumi, e butta sulla siepe vicina il lenzuolo tutto sudicio e cenzioso. Più di un anno restò il lenzuolo sopra quella siepe; ma per una combinazione singolare, un altro contadino,
volendo pulire il forno, acceso per.cuocervi il pane, prese quel cencio, ed urtando con esso i tizzi ed i carboni infiammati, vide con sorpreso che non bruciava. Ne parlò ai compagni,e la notizia di così strano fenomeno non tardò a giungere anche a Vasto.
II Barone Genova, che ebbe sentore della cosa, indovinò in quel cencio un pezzo d'amianto e mandò subito per averlo. L'ebbe difatti, e vedendo di non essersi ingannato, acquistò in seguito anche il vaso, e l'uno e l'altro conservò nel suo museo. Il contadino assicurava di aver anche trovato una pietra scritta, che gettò fuori del terreno; ma disgraziatamente ivi accanto si fabbricava una cascina, ed i muratori se ne servirono per zavorra nelle fondamenta.
Nella speranza di rinvenire altri oggetti, il contadino seguitò a scavare e trovò due monetine di rame, uno dell'imperatore Traiano, l'altra con l'iscrizione Julia domna;ed un piccolo pezzo di lapide, di finissimo marmo salino ben levigato, in cui si vedevano le sole lettere « ...uliae um... », che forse appartenevano alle parole « Juliae » e « monumentum » II pezzo di amianto ed il vaso furono dal Barone Genova dati al Marchese d'Avalos, il quale in seguito li donò al Real Museo di Napoli, dove oggi si ammirano ».
Da rilevare che il vaso di alabastro trovato dal contadino fa presumere che si tratti di un reperto etrusco, più che romano, perché, infatti, sia il vaso di alabastro, sia il teschio rinvenuto dentro, sono una caratteristica usanza del rito funerario etrusco di Volterra. Tali vasi erano chiamati « canopi » e venivano impiegati per conservare i resti umani del defunto e che la famiglia recava nei continui spostamenti della tribù. L'amianto, peraltro, era un manufatto etrusco che. solo successivamente, è impiegato dai romani che lo usavano per la costrizione degli impianti del « calidarium » delle terme, come a Vasto, nella zona vicino al Muro delle Lame.
E questo per convalidare ulteriormente la presenza del tessuto di amianto di cui ci riferisce nel
suo manoscritto Romualdo Celano.
GIUSEPPE CATANIA
http://www.meso.ospedale.al.it/?page_id=745
Nessun commento:
Posta un commento