UNA APPROFONDITA RIFLESSIONE DEL PRESIDE IN PENSIONE NICOLANGELO D'ADAMO
All’origine di molti i mali della
scuola italiana continua a rimanere il “Valore Legale dei Titoli di Studio”.
Ovvero l’antica riserva, da parte dello Stato, di privilegiare la formazione
organizzata, gestita e valutata da propri funzionari, dando ai titoli di studio
rilasciati valore di legge, rispetto ad altre forme di formazione comunque e da
chiunque erogate che non potendo esibire un diploma con il timbro dello Stato
non danno diritto neppure di partecipare ad un concorso pubblico. Per ovviare a
questa situazione il “mercato”, con la tolleranza delle forze politiche e di
governo, ha inventato numerosi “diplomifici”, disseminati lungo la Penisola e”paritarie”
a tutti gli effetti con le scuole “pubbliche”, a disposizione di chiunque
voglia un diploma con relativo impegno e pochissimo merito: basta pagare. Una
sorta di percorso scolastico
parallelo che, a differenza delle grandi Scuole
Private di riconosciuta serietà e
rigore, molte appartenenti all’arcipelago degli Ordini Religiosi, trovano la loro sola giustificazione nella necessità che molti hanno di possedere
comunque un diploma, pur che sia, per proseguire gli studi o per partecipare ai
concorsi pubblici, in particolare a quelli “per soli titoli”; il mondo del
lavoro privato ha altri meccanismi di selezione. Il giorno in cui un governo
eliminasse il valore legale dei diplomi c’è da credere che moltissime di queste
scuole chiuderebbero (magari insieme alle scuole pubbliche che ne hanno copiato
i vizi).
Purtroppo non vi riuscì neppure il
laicissimo ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Spadolini, e quindi chissà
quanto tempo dovremo ancora aspettare.
Nel 2003, esattamente il 17
aprile, un decreto dell’allora Ministro dell’Istruzione (la sigla MPI era stata
cancellata) Letizia Moratti e del Ministro dell’Innovazione Scientifica Lucio
Stanca diede inizio alla proliferazione, in Italia, di Università Telematiche che,
in forza del riconoscimento ministeriale, potevano rilasciare titoli accademici
con lo stesso valore legale delle Università tradizionali, insomma buoni per i
concorsi pubblici e per gli avanzamenti di carriera.
Ho parlato di “proliferazione”
perché in Italia, in sette anni, ne sono stati autorizzati ben Undici,
e di questi addirittura sette sono stati autorizzati in cinque mesi, da gennaio
a maggio 2006.
Al contrario nei Paesi Europei si
contano una o al massimo due Università
telematiche in ogni Nazione e magari si
tratta di grandi Università telematiche pubbliche come la UNED spagnola con
150.000 studenti o la Open University inglese con ben 180.000 studenti.
Ma se i “diplomifici” sono in
mano per lo più a imprese famigliari e richiedono investimenti spesso non
proibitivi, le Università Telematiche, per forza di cose, richiedono
investimenti di ben altra consistenza e perciò si capiscono gli interventi di
banche e grandi gruppi come possiamo notare spulciando i certificati di nascita
di alcuni di questi nuovi Atenei.
L’Università telematica di
Milano, Unitel, creata nel 2006 dalla Fininvest e Mediolanum Comunicazione, nel
2008 è stata rilevata per il 60%, attraverso la Tosinvest, dalla famiglia
Angelucci; la “Roma Mercatorum” è espressione delle Camere di Commercio
italiane, mentre la “Guglielmo Marconi”, la più frequentata di queste
università, è in mano ad un gruppo di banche e Wind. La piccola “Giustino
Fortunato” di Benevento è di proprietà della onlus “Efiro” dell’imprenditore
Angelo Colarusso, già proprietario di diverse scuole di recupero. La napoletana
“Pegaso” appartiene a Danilo, Angelo e Raffaele Iervolino, già presenti in
altri istituti privati partenopei. La Uninettuno, invece, è stata fondata da un
consorzio di università pubbliche, con un team di aziende come Rai, Telecom e
Confindustria. Anche la IUL (Italian University on Line) di Firenze ha dietro
un gruppo di Università ed è l’unica Università Telematica Pubblica in Italia.
Insomma si ha l’impressione che
l’insegnamento a distanza nel nostro Paese sorga più come un ricco business, che come metodo
alternativo di studio universitario e di long life learning.
Auguriamoci di sbagliare, ma la
verifica si potrà fare solo se il futuro governo avrà la forza (e ce ne vorrà tanta) di eliminare il valore
legale dei titoli di studio. Altrimenti i sospetti rimarranno, legittimi e numerosi.
NICOLANGELO D’ADAMO
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