lunedì 2 dicembre 2013

Università Telematiche: "diplomifici" o "metodo alternativo" di studio universitario?

UNA APPROFONDITA RIFLESSIONE DEL PRESIDE IN PENSIONE NICOLANGELO D'ADAMO
NICOLANGELO D'ADAMO
All’origine di molti i mali della scuola italiana continua a rimanere il “Valore Legale dei Titoli di Studio”. Ovvero l’antica riserva, da parte dello Stato, di privilegiare la formazione organizzata, gestita e valutata da propri funzionari, dando ai titoli di studio rilasciati valore di legge, rispetto ad altre forme di formazione comunque e da chiunque erogate che non potendo esibire un diploma con il timbro dello Stato non danno diritto neppure di partecipare ad un concorso pubblico. Per ovviare a questa situazione il “mercato”, con la tolleranza delle forze politiche e di governo, ha inventato numerosi “diplomifici”, disseminati lungo la Penisola e”paritarie” a tutti gli effetti con le scuole “pubbliche”, a disposizione di chiunque voglia un diploma con relativo impegno e pochissimo merito: basta pagare. Una sorta di percorso scolastico
parallelo che, a differenza delle grandi Scuole Private di riconosciuta serietà  e rigore, molte appartenenti all’arcipelago degli Ordini Religiosi,  trovano la loro sola giustificazione  nella necessità che molti hanno di possedere comunque un diploma, pur che sia, per proseguire gli studi o per partecipare ai concorsi pubblici, in particolare a quelli “per soli titoli”; il mondo del lavoro privato ha altri meccanismi di selezione. Il giorno in cui un governo eliminasse il valore legale dei diplomi c’è da credere che moltissime di queste scuole chiuderebbero (magari insieme alle scuole pubbliche che ne hanno copiato i vizi).
Purtroppo non vi riuscì neppure il laicissimo ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Spadolini, e quindi chissà quanto tempo dovremo ancora aspettare.
Nel 2003, esattamente il 17 aprile, un decreto dell’allora Ministro dell’Istruzione (la sigla MPI era stata cancellata) Letizia Moratti e del Ministro dell’Innovazione Scientifica Lucio Stanca diede inizio alla proliferazione, in Italia, di Università Telematiche che, in forza del riconoscimento ministeriale, potevano rilasciare titoli accademici con lo stesso valore legale delle Università tradizionali, insomma buoni per i concorsi pubblici e per gli avanzamenti di carriera.
Ho parlato di “proliferazione” perché in Italia, in sette anni, ne sono stati autorizzati ben Undici, e di questi addirittura sette sono stati autorizzati in cinque mesi, da gennaio a maggio 2006.
Al contrario nei Paesi Europei si contano una o al  massimo due Università telematiche in ogni Nazione e  magari si tratta di grandi Università telematiche pubbliche come la UNED spagnola con 150.000 studenti o la Open University inglese con ben 180.000 studenti.
Ma se i “diplomifici” sono in mano per lo più a imprese famigliari e richiedono investimenti spesso non proibitivi, le Università Telematiche, per forza di cose, richiedono investimenti di ben altra consistenza e perciò si capiscono gli interventi di banche e grandi gruppi come possiamo notare spulciando i certificati di nascita di alcuni di questi  nuovi Atenei.
L’Università telematica di Milano, Unitel, creata nel 2006 dalla Fininvest e Mediolanum Comunicazione, nel 2008 è stata rilevata per il 60%, attraverso la Tosinvest, dalla famiglia Angelucci; la “Roma Mercatorum” è espressione delle Camere di Commercio italiane, mentre la “Guglielmo Marconi”, la più frequentata di queste università, è in mano ad un gruppo di banche e Wind. La piccola “Giustino Fortunato” di Benevento è di proprietà della onlus “Efiro” dell’imprenditore Angelo Colarusso, già proprietario di diverse scuole di recupero. La napoletana “Pegaso” appartiene a Danilo, Angelo e Raffaele Iervolino, già presenti in altri istituti privati partenopei. La Uninettuno, invece, è stata fondata da un consorzio di università pubbliche, con un team di aziende come Rai, Telecom e Confindustria. Anche la IUL (Italian University on Line) di Firenze ha dietro un gruppo di Università ed è l’unica Università Telematica Pubblica in Italia.
Insomma si ha l’impressione che l’insegnamento a distanza nel nostro Paese sorga più  come un ricco business, che come metodo alternativo di studio universitario e di long life learning.
Auguriamoci di sbagliare, ma la verifica si potrà fare solo se il futuro governo avrà la forza  (e ce ne vorrà tanta) di eliminare il valore legale dei titoli di studio. Altrimenti i sospetti rimarranno,  legittimi e numerosi.

NICOLANGELO D’ADAMO

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