di Lino Spadaccini
Nell’ultimo giorno dell’anno
caratteristici sono i canti tramandati dalla dall’antica tradizione natalizia
vastese, un tempo eseguiti da allegre comitive, accompagnati dal suono di
tamburelli, pifferi, organetti e mortai da cucina di legno, in giro per
famiglie e negozi a portare il buon anno.
Il Buon Capo d’Anno, con versi in italiano, e Il Capo d’Anno, con versi in dialetto, sono le canzoni più
conosciute e, in particolare la prima, ancora oggi riproposta durante le serate
tra parenti e amici, che inizia con questi versi:
Veniamo a darvi il buon anno
Il buon anno dell'allegria
A voi tutti in compagnia:
Buon Capo d'Anno - Principio d'anno
L’altra versione, è sicuramente meno conosciuta, ma lo spirito che lo anima è sempre lo stesso: l’allegra compagnia che si presenta in casa di persone con
la
tavola imbandita eIl buon anno dell'allegria
A voi tutti in compagnia:
Buon Capo d'Anno - Principio d'anno
L’altra versione, è sicuramente meno conosciuta, ma lo spirito che lo anima è sempre lo stesso: l’allegra compagnia che si presenta in casa di persone con
Si mi dèje ‘na
scrippèlle – Mo’ ti sone tande ‘bbélle;
Si mi dèje nu
quaggiaune – Mo ti sone n’addre ccàune;
E si ni mmi vu rrapì –
Bbòna nott’ à ‘ssugnurì!
Fuori
dal filone tradizionale “canterino”, ma simile nella vena goliardica è lo
scherzo poetico, conservato manoscritto
nell’Archivio “G. Rossetti”, scritto da Domenico De Luca per il Capo d’Anno del
1859, con l’auspicio di un’annata migliore rispetto a quella precedente, dove
carestia e intemperie l’hanno fatta da padrona a causa del passaggio di una… Cometa (La Cometa Donati, dal nome di chi la osservò
per primo, fu la seconda più luminosa dopo quella apparsa nel 1811).
Nella
speranza che il 2014 possa essere migliore di quello passato, per tutte quelle
famiglie in difficoltà, sia per la salute che in campo economico o lavorativo,
vi lasciamo alla lettura integrale del testo, augurandovi un sincero… buon Capo
d’Anno.
Originale del buon capodanno 1859 |
Il Capo
d’Anno del 1859
Scherzo poetico
di Domenico De Luca
Voi sapete, e tutti
sanno,
Che domani è Capo
d’anno;
E siccome per usanza,
Per rispetto, e per
creanza,
Fa ciascun dei
complimenti
Agli amici e conoscenti;
Per non essere tacciato
D’incivile e mal creato,
Con voi tutti bramo
anch’io
D’adempire al dover mio;
E se poi nol saprò fare,
Mi dovrete perdonare.
Mi protesto in primo
loco,
Che non parlo già per
gioco,
Come fan per l’ordinario
Molti preti col Vicario,
O costui con Monsignore;
Che col labbro, e non
col core
Proferiscon complimenti,
Che non passan oltre i
denti.
Io per me son franco e
schietto:
Ciò che dico l’ò nel
petto;
Ed aborro, in fede mia,
Di talun l’usanza sia,
Che ti loda a più non
posso,
Poi ti taglia i panni
addosso.
Ma lasciando cotai
nostri,
Ritorniamo ai fatti
nostri.
Voglio dire alla gran
festa
Che domani ci si
appresta.
Qual destino che va di
trotto,
È sparito il
cinquantotto:
E nessun se l’abbia a
male,
Chè fu molto a noi
fatale.
Poco grano egli ci à
dato,
Che già tutto s’è
tarlato.
Vino, tanto che non
basta
Per la Messa, se si
guasta.
D’olio poi nessun
ricolto,
Si che il grasso costa
molto.
Pur di fichi ci à
privato
Quell’indegno, quel
malnato;
Onde far non puote
alcuno
In Quaresima il digiuno.
Ed avremo noi dolore,
Se tal anno se ne muore?
Ma ben poco saria
questo,
Se non fosseci anche il
resto.
Un terribile pianeta
Ci à recato, una Cometa,
Che volea nel precipizio
Tutti trarci, e del
giudizio
Far che il giorno già
venisse,
Ed il mondo così
perisse.
Cominciò col carezzarci
Pria bel bello e
regalarci
Qualche pioggia
salutare;
Sì che ognuno a
giubilare
Si facea; ma sì
frequenti
Poi divenner, che le
genti
Con dolore, andare a
male
Vider molto cereale.
Pur la pioggia segue
intanto,
E’l dolor si cangia in
pianto.
Se mai qualche poveretto
Tenta uscire dal
ricetto,
Ed al suo meschino e
caro
Campicello, a dar riparo
Si decide e
s’apparecchia,
Via di nuovo l’acqua a
secchia.
E così cittadi e ville,
Piangon danni a cento, e
mille.
Ma perché ridurre a
mente
Un pensiero si dolente?
Anziché così guaire,
Ci convien di benedire
Il Signor, che con
palese
Patrocinio ci difese,
Ci protesse, e dalla
morte
Ci campò con braccio
forte.
Dunque a Lui con fe’
sincera
Oggi volgo una
preghiera,
Onde renda l’anno nuovo
Pieno e zeppo come un
uovo,
Di piaceri e di
contenti,
Sempre puri ed
innocenti,
Per voi tutti, che mi
siete
Tanto cari, e mi volete,
Ne son certo, un po’ di
bene,
Vero, e come si
conviene.
Voglia Iddio la vostra
vita
Preservar con l’infinita
Sua bontade, dai malori,
Dalle febbri e dai
dolori.
Dalla grandine vi scampò
Il vigneto insieme e i
campi.
L’abbondanza sempre in
mensa
Vi conservi, ed in
dispensa.
E se dopo la tempesta
È permesso un po’ di
festa;
Divertitevi sovente
Fra cotesta brava gente.
Fate pure in carnevale
Qualche burla originale;
Che’ ricordo d’aver
detto
In un salmo benedetto,
Che si può lodare Iddio
In letitia, ossia nel
buio.
Ma gridare qui vi sento,
Basta, basta il
complimento.
Vai tu pur di molto
trotto,
È già siamo a cento ed
otto
Versi, tutti ben
contati,
Ne’ per certo andiamo
avanti.
A tali detti io fermo il
passo
E rimango come un sasso.
Poi riprendo con timore,
E con palpito di cuore:
Vuò levarsi la molestia;
Ma partir come una
bestia
Non sta bene… e quindi,
Siate ognor lieti e
felici;
e vi do con tal desio,
Un abbraccio, ed un
addio.
La Cometa Donati apparsa nel 1858 di cui si parla nella poesia |
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