A
parte la storica residenza di Palazzo d’Avalos, c’è un fattore che accomuna
tutti i palazzi fatti costruire dalla famiglia d’Avalos nella nostra città:
sono tutti in stato di miserevole abbandono. Quelli che una volta erano lussuosi
palazzi o ville, fatte costruire per lo svago e le villeggiature nelle amene
campagne vastesi, oggi sono poco più che ruderi, abbandonati e pericolanti. Stiamo
parlando di Villa Cipressi, in Via Pescara, di Villa Frutteto, della palazzina
a San Lorenzo, di quella in via Santa Lucia e del Palazzo della Penna.
Il
Palazzo della Penna venne fatto costruire da Innico III d’Avalos, che si era
spostato nella nostra città nel 1598, insieme alla cugina Isabella d’Avalos. “Il Signor Marchese di Pescara D. Innico
figlio di D. Cesare d’Avalos”, scriveva lo storino Nicola Alfonso Viti, “fece fabricar questo Palazzo a’ tempi
nostri, nel cui edificio si spesero molte migliaia di docati, et allora le
vigne della contrada della Penna andarono allo sterile et alcune torri e case
ch’erano in quel contorno si distrussero per servitio di questa fabbrica”.
Lo
storico Luigi Marchesani riferiva che
LE RARE FOTO DEGLI INTERNI DEL PALAZZO >>>
la costruzione del palazzo ebbe termine
nel 1615. Probabilmente questa data deve riferirsi al solo fabbricato
principale, in quanto altri lavori vennero effettuati nel 1621, quando
l’Università di Vasto diede al Marchese tre migliaia di sassi provenienti dal
porto della Meta, da utilizzare per il Palazzo della Penna. Mentre altri lavori
vennero commissionati nel 1699 all’ingegnere veneto Daniele Galante ed al
fabbricatore Giovanni Di Benedetto di Vasto.LE RARE FOTO DEGLI INTERNI DEL PALAZZO >>>
Posto
su uno spianato a circa 6 chilometri da Vasto, in bella posizione che un tempo
dominava la sottostante valle del torrente Lebba, oggi invase dalle industrie,
il Palazzo ha pianta quadrata, fortificata agli spigoli da quattro baluardi, un
cortile spazioso, ampie sale, semicircondata da un recinto anch’esso protetto
agli spigoli da bastioni e comprensivo di una serie di fabbriche adibite a
locali di servizio. Arredato con eleganza, il palazzo fu frequentemente abitato
sia dal suo fondatore, che dai suoi figli, Ferrante e Diego, nonché dal nipote
Don Cesare Michelangelo. Così lo descrisse Tommaso Palma nel 1703, nel suo “Compendio istorico dell’antichissima terra
del Vasto”: “…Le campagne sono tutte
carrozzabili, ed amene, e precise le spaziose della Penna, dove poco distante
dal mare vi è un famosissimo Casino fatto in forma di Fortezza con quattro
Baloardi. Vi si ponno in esso collocare trè Principi colle loro famiglie per
cagion di diporto. Le camere sono allegrissime, e l’architettura delle
finestre, e delle porte è così bella per la loro regolarità corrispondenza, che
reca gran meraviglia, à chi l’osserva. Gli Eccellentissimi Padroni vi sogliono
andar spesso, non solo per occasione di villeggiatura, ma più per loro
divozione, stante vi è poco lungi una Chiesa detta di Nostra Signora della
Penna…”. Altra descrizione, molto più completa e dettagliata, è presente
nell’Apprezzo del 1742, conservata
manoscritta nell’Archivio storico G. Rossetti.
Il
20 giugno del 1711, il palazzo venne saccheggiato dai turchi. “Ad hora nove della notte giunsero due galere
turchesche nella Lebbe”, si legge nella “Cronaca vastese” di Diego Maciano, “et ivi se ne andarono nel Palazzo di S.A. con rovinare tutto, cioè
pigliarono da sei portieri, da diciassette forme di cascio, una bellissima
reliquiaria, molti specchi ed altre robbe. Oltre di questi ruppero molti
specchi grosssi, tutte le vitriate con intentione di mettere fuoco a detto
Palazzo, perché avevano riuniti tutti li banchi, arcibanchi, boffette, sedie
nel mezzo di ciascheduna camera, e sala e perché no hebbero tempo per
l’aggiunto del popolo della Città lasciarono imperfetto il loro disegno”.
Il
canonico Diego Maciano in data 25 febbraio 1713, annotava il rientro del
Marchese Don Cesare Michelangelo d’Avalos, dopo dodici anni di esilio per
motivi politici. Appena si sparse la notizia dell’arrivo del Marchese, molti
cittadini accorsero a piedi per rendergli omaggio. Dopo l’arrivo della Marchesa
D. Ippolita, insieme agli altri membri della casa marchesale, si diressero
tutti alla chiesa della Madonna della Penna dove “si fece un gran sparo da 40 huomini Missonesi, e poi si disse la messa,
e poi si cantò il Te Deum”.
Il
dominio di Don Cesare Michelangelo segnò il periodo di maggior splendore nella
storia del palazzo. Restaurato ed abbellito, l’edificio ospitò molti personaggi
del Regno, che si fermavano nella nostra città, come il Connestabile Fabrizio
Colonna, che venne a Vasto per ricevere il collare dell’Ordine del Toson d’Oro.
Durante
la permanenza nella nostra città, per tre volte fu condotto a visitare il
Palazzo della Penna.
Lunedì
25 ottobre 1723, dopo il pranzo “in tre
mute a sei si andò al Palazzo della Penna, la più grande villa suburbana di
proprietà marchesale a tre miglia dal Vasto. Dopo la visita di tutto l’interno,
sontuosamente arredato”, ricorda ancora il Maciano, “al Connestabile furono mostrati otto magnifici cavalli morelli compagni
per una muta ed una coppia di cavalli molto grandi per un cocchio. Il
cavallerizzo, a nome del Marchese, disse che quei cavalli erano a disposizione
del Connestabile, al quale in quel momento venivano donati. Il Principe regalò
subito al maestro di stalla dieci doppie ed al cavallerizzo un anello di
diamanti con due rubini”.
Con
la morte di don Cesare Michelangelo, avvenuta nel 1729, il Palazzo cadde nell’abbandono
più totale, diventando luogo malsano e solitario, intorno alla quale la
fantasia popolare intrecciò storie paurose di diavoli e streghe. Da qui,
probabilmente anche la nascita del nome di Palazzo dei Cento Diavoli, perché
secondo la leggenda in una notte spuntarono i tredici comignoli, oppure le
storie nate intorno alla famosa grotta della Carnaria, ed al tunnel che
probabilmente la collegava al vicino Palazzo della Penna. Luigi Anelli nel suo volume “Origine
di alcuni modi di dire popolari nel dialetto vastese”, ricordava il detto “Va a chiamà’ lu duiàvele a la grotte di la Carnarejje ”, come
consiglio dato a chi ha la volontà di arricchire.
Nel 1835 la tenuta fu acquistata da Giuseppe Antonio
Rulli, il quale provvide a restaurare il Palazzo, a ristabilire i coloni e
bonificare le paludi della zona. Grazie alla munificenza del barone Luigi Genova,
morto all’età di novantadue anni, il palazzo divenne sede dell’Orfanotrofio per
orfanelle, e rimase aperto fino agli anni ’80, per poi ricadere ancora, e
questa volta chissà per quanti anni ancora, nel più miserevole
abbandono.
Lino Spadaccini
LE RARE IMMAGINI DEGLI INTERNI DELL'ORFANOTROFIO GENOVA RULLI CON SEDE NEL PALAZZO DELLA PENNA ANNI '50
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I BAGNI |
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IL DORMITORIO |
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IL REFETTORIO |
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LA CAPPELLINA |
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LA CAPPELLINA |
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LA CUCINA |
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UN'AULA |
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