Uva San Francesco, l'uva del Vasto |
Durante il Rinascimento si diffuse anche in Abruzzo il gusto del “Paesaggio Agrario” che consisteva nella coltivazione ordinata e simmetrica delle colture arboree come oliveti, vigneti, mandorleti, meleti, ma anche agrumi la cui coltura si radicò nella costa vastese, e in genere lungo la costa chietina, nei secoli XV e XVI. Con il risultato che le nostre campagne coltivate, per la grande simmetria degli alberi, sembravano giardini. Alla nascita e diffusione di questo paesaggio “ordinato” provvidero nel Vastese
i d’Avalos e gli Acquaviva nel nord della costa abruzzese e precisamente a Giulianova dove impiantarono nel 1509 un enorme ed ordinato agrumeto con le piantine acquistate a Fermo, città che allora gestiva monopolisticamente la agrumicoltura delle Marche. Comunque i d’Avalos non si limitarono solo ad ordinare i sesti d’impianto delle varie colture, costruirono anche ville e soprattutto ampliarono la produzione agricola introducendo nelle campagne vastesi nuove varietà di frutta provenienti dai loro possedimenti napoletani come il ciliegio d’Ischia e, ben più importante, importarono dalla Spagna e selezionarono nelle vigne vastesi un vitigno di uva da tavola, che a Vasto si chiamerà “Uva S. Francesco”, destinata ad avere grande successo commerciale. Al punto che a Napoli quell’uva veniva chiamata “Uva del Vasto”. Alcuni storici (D.Priore) ipotizzano addirittura che l’uva “pergolone”, vanto della viticoltura teatina, derivi proprio dall’uva S. Francesco.
A parlarci di questa uva è addirittura Luigi Marchesani. (Storia di Vasto) “…la nostra vite inebriò, invadendola, la terra di Schiavonia (Croazia), ed è sempre la nostra vite, trapiantata nei dintorni di Napoli, che fornisce alla capitale la dolcissima, grossa e bianca uva di S. Francesco, che viene venduta con il nome di uva del Vasto. L’ abbondanza di questo frutto è provata dalle cento salme di vino richieste al prezzo di trenta ducati nel 1554”.
Ma poi lo storico annota: “ Nostra sventura sta nella ingenua preparazione del liquor di Bacco, onde a lunghi viaggi non resiste, quindi forza è che pe ‘l distretto si consumi”.
Ma in questo settore c’è da consolarsi: l’enologia locale ha fatto passi giganteschi.
NICOLANGELO D’ADAMO
i d’Avalos e gli Acquaviva nel nord della costa abruzzese e precisamente a Giulianova dove impiantarono nel 1509 un enorme ed ordinato agrumeto con le piantine acquistate a Fermo, città che allora gestiva monopolisticamente la agrumicoltura delle Marche. Comunque i d’Avalos non si limitarono solo ad ordinare i sesti d’impianto delle varie colture, costruirono anche ville e soprattutto ampliarono la produzione agricola introducendo nelle campagne vastesi nuove varietà di frutta provenienti dai loro possedimenti napoletani come il ciliegio d’Ischia e, ben più importante, importarono dalla Spagna e selezionarono nelle vigne vastesi un vitigno di uva da tavola, che a Vasto si chiamerà “Uva S. Francesco”, destinata ad avere grande successo commerciale. Al punto che a Napoli quell’uva veniva chiamata “Uva del Vasto”. Alcuni storici (D.Priore) ipotizzano addirittura che l’uva “pergolone”, vanto della viticoltura teatina, derivi proprio dall’uva S. Francesco.
A parlarci di questa uva è addirittura Luigi Marchesani. (Storia di Vasto) “…la nostra vite inebriò, invadendola, la terra di Schiavonia (Croazia), ed è sempre la nostra vite, trapiantata nei dintorni di Napoli, che fornisce alla capitale la dolcissima, grossa e bianca uva di S. Francesco, che viene venduta con il nome di uva del Vasto. L’ abbondanza di questo frutto è provata dalle cento salme di vino richieste al prezzo di trenta ducati nel 1554”.
Ma poi lo storico annota: “ Nostra sventura sta nella ingenua preparazione del liquor di Bacco, onde a lunghi viaggi non resiste, quindi forza è che pe ‘l distretto si consumi”.
Ma in questo settore c’è da consolarsi: l’enologia locale ha fatto passi giganteschi.
NICOLANGELO D’ADAMO
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