Una volta San Biagio era molto venerato anche a Vasto, nella chiesa del Convento di S. Spirito, dove era custodito un osso del Santo. Dalla soppressione del Convento (1807), la reliquia si conserva all’interno della Cattedrale di San Giuseppe.
di Lino Spadaccini
Oggi 3 febbraio è la festa di San Biagio, il medico vescovo
che visse tra il III ed il IV secolo in Armenia.
A causa della sua fede venne imprigionato dai romani.
Durante il processo, si rifiutò di rinnegare la fede cristiana e per questo fu
straziato con i pettini di ferro, che si usano per cardare la lana. Morì
decapitato nel 316.
I fedeli si rivolgono a San Biagio nella sua qualità di
medico, anche
per la cura dei mali fisici e in particolare per le malattie legate alla gola. Questo perché si racconta che lui era medico, ma sanava le infermità non con le medicine, bensì con l’aiuto del Signore. Se qualcuno ingoiava un osso o una spina e questa si metteva di traverso in gola, San Biagio, con la preghiera, l’estraeva.
per la cura dei mali fisici e in particolare per le malattie legate alla gola. Questo perché si racconta che lui era medico, ma sanava le infermità non con le medicine, bensì con l’aiuto del Signore. Se qualcuno ingoiava un osso o una spina e questa si metteva di traverso in gola, San Biagio, con la preghiera, l’estraeva.
Per questo, durante la S. Messa i sacerdoti benedicono le gole dei
fedeli accostando ad esse due candele incrociate.
San Biagio era molto venerato anche a Vasto, nella chiesa
del Convento di S. Spirito, dove sin dal 1573, era presente una cappella e dove
era custodito un osso del Santo. Dalla soppressione del Convento, con real
decreto del 13 febbraio 1807, promulgata da Giuseppe Napoleone, la reliquia si
conserva all’interno della Cattedrale di San Giuseppe.
Come ricordava Espedito Ferrara ne “Il nostro Calendario”, a Vasto si usava dire che
Tré ssènde fa pahìure:
Sande Varevìute (Sant’Antonio
abate)
Sande Freccìute (San Sebastiano)
Sande Cannarìute (San Biagio)
Questo perché il primo è padrone del fuoco, il secondo della polmonite ed
il terzo delle malattie di gola.
Secondo un’antica usanza, il giorno della festività de Sande
Biasce (lu Suande Cannarìute), i giovani regalavano alle loro fidanzate una
ciambella chiamata “lu taralle”. E proprio su questa usanza il poeta teatino
Raffaele Fraticelli ha scritto molti anni fa una bella poesia dialettale,
ripresa nel 1979 dal mensile Vasto Domani,
che in pratica descrive tutto il procedimento per realizzare il tarallo. Ecco
alcuni passi:
La fundanelle de
farine sopr’a la spianatore
e ‘mmezze ce se sbatte
tre-quattr’ove,
la scorce de nu limone
rattate,
lu zucchere, ‘na
puntine di bicarbonate,
lu latte, …nu
bicchiere sole avaste,
queste di sòlete è la
dosa giuste.
E nin c-i-ha da mancà
lu… prufumine
sarebbe lu rosorio, un
bicchierine;
nu m pò’ di burre,
oppure nu m’ pò’ d’oje
seconde guste, gna ve
pare a voi.
S’ammischie, tonne
tonne, vuscecate,
s’acchiappe,
s’ariggire, amalgamate,
tutte ahunìte, belle
sopre e sotte,
si vusse, s’abbirrute,
s’appallotte,
se ‘ngàleche, se manne
a mmonte e bbasse,
la paste inzomme, a
ccuscinde s’ammasse:
‘na cosa morbida, s’ha
da sta attente
ca po’ si vede, quande
se presente.
Po’ che s’è fatte
tutte ‘sta mmasciate
la paste è gnè ‘na
sete raffinate,
s’attonne, po’
s’allonghe bbone bbone
come si fusse gnè nu
pulpettone.
Intante la tijelle è
preparate?
E’ belle onte, oppure
è imburrate?
Ècchele lu mumente, lu
scherzette,
s’acchiappe chela
paste e ce se mette
attorne attorne, come
‘na rutelle
s’aggiuste… què si
chiame… la ciambelle!
…
Ècche, a ‘stu punte
l’ùteme guarnemente:
li cumbittille, quille
d’argente!
Oppure cumbittille
culurate
gnè nu ricame, tutte
disignate.
Lu forne è pronte, è
proprie calle calle?
Sande Martine, ‘nfurne
lu taralle!
Facétele e dicéteme se
piace,
è lu taralle… de Sande
Biasce!
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