QUANDO A VASTO
CESSARONO I PRIVILEGI FEUDALI
Nel Regno di Napoli, nei primi
dell’Ottocento, i re francesi Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, vararono
una serie di riforme di fondamentale importanza che volevano raggiungere tre
obiettivi:
- Abolizione dei privilegi feudali e dei feudi;
- abolizione dei grandi possedimenti ecclesiastici;
- riduzione dei demani comunali.
Ad inizio '80 gran parte della campagna vastese passò ai proprietari privati (Foto Campagna di Vasto di Roberto Spatocco, su Vastospa.it) |
Per l’Abruzzo fu incaricato di
dividere e ripartire i terreni feudali, ecclesiastici e demaniali Giuseppe de Thomasis di Montenerodomo, uomo di notevole statura culturale e politica.
dividere e ripartire i terreni feudali, ecclesiastici e demaniali Giuseppe de Thomasis di Montenerodomo, uomo di notevole statura culturale e politica.
Nella Regione, in seguito alla
ripartizione di quei grandi latifondi, furono creati 30.000 nuovi proprietari.
Però non furono molte le famiglie della media borghesia che si avvantaggiarono
di quelle norme. Infatti il grosso delle terre alienate fu accaparrato dal
notabilato più facoltoso che, attraverso il gioco dei prestanome, aumentò la
propria ricchezza e la piccola borghesia dovette accontentarsi dei terreni meno
produttivi e marginali.
I terreni che erano stati divisi
e venduti tra i vari proprietari furono prontamente disboscati ed inseriti nel
circuito produttivo, così il tradizionale demanio comunale fu fortemente
ridimensionato al punto che rimasero di uso collettivo solo le aree meno
produttive ed impervie. Quel processo di deforestazione si andò a sommare ai
disboscamenti già effettuati in seguito alla carestia del 1764 per ampliare
l’area produttiva.
Se nel territorio di
Casalbordino, per esempio, furono 1700 gli ettari di terreni forestali che
furono messi a coltura, a Vasto l’area boschiva nel 1810 risultò addirittura
dimezzata. Scomparvero infatti i grandi boschi che si estendevano dalla
contrada Defenza a S. Antonio Abate al centro dei quali si estendeva il
“Tratturo Magno” percorso da grandi mandrie e centinaia di “callitani” (da
“calles”, viae publicae), come alcuni ancora chiamavano i pastori.
Ad ogni buon conto il
consolidamento della proprietà privata ebbe ripercussioni positive sull’agricoltura,
visti i maggiori investimenti dei nuovi proprietari per migliorare ed aumentare
la produzione agricola. Essi costruirono anche grandi masserie per consentire
ai coloni di risiedere nei loro fondi. Nacquero così i nuclei abitativi delle
frazioni dove spesso il notabilato si recava per attività ludiche e soprattutto
venatorie, perciò vi costruirono ville di campagna che chiamarono “casini” o
“casine”. Del resto già in passato la nobiltà aveva fatto altrettanto come è
testimoniato a Vasto dalle ville periferiche dei d’Avalos.
NICOLANGELO D’ADAMO
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