Elisabetta Mayo |
La scultrice e poetessa di origini vastesi era moglie del pittore Carlo d'Aloisio da Vasto
“Dava
molti punti” agli scultori dell’epoca: “
Senso plastico originale, possente. Luce di intelletto privilegiato; audacia;
impeto; stile. Profondità di scavo. Emozione vergine, opulenta, commossa.
Lirica ed epica. Ricchezza di fantasia, campo d’azione lato. Versatilità”.
Quaranta
anni fa, il 24 novembre 1972 ci lasciava Elisabetta Mayo, scultrice e poetessa
di gran classe, moglie del pittore Carlo D’Aloisio da Vasto.
Già
lo scorso anno avevamo tracciato un breve profilo di questa grande artista, ma
per quest’occasione così speciale ci sembrava giusto riproporre all’attenzione
dei nostri lettori la figura della Mayo, definita dalla stampa critica del
tempo “uno dei più forti scultori
contemporanei”.
Nata
a Napoli il 18 settembre del 1894 da genitori vastesi
(il padre Equizio era
Ingegnere Capo al Genio Civile della città partenopea). Per sapere come la
ragazza si avvicinò nel campo dell’arte ci viene incontro Beatrice Testa, con
un racconto pubblicato sul volumetto “L’Abruzzo
nel mio cuore” (1929), raccolto direttamente dalla voce del futuro marito
della Mayo, Carlo D’Alosio. “Lo zio
Adolfo Mayo”, scrive la giornalista napoletana di origini abruzzesi, “simpatica e veneranda figura di studioso
cara alla gente di Vasto e di tutto l’Abruzzo, sorrise incredulo e continuò a
lavorare, quando la nipotina Elisabetta gli annunziò di voler fare il suo
ritratto…Ma il filosofo leggeva, completamente assorto, e l’adolescente taceva,
perché non aveva nulla da dire. Pareva, invece, che avesse moltissimo da fare,
dal momento che aveva immerse le delicate mani nella creta, con un rapido,
quasi convulso agitarsi dei pollici bianchi”. Dopo sole due ore di lavoro
comparve quello che sembrava un miracolo: “Nella
creta ancora umida e molle, la testa del filosofo viveva, miracolosamente vera,
con i solchi profondi d’un carattere inconfondibile”.Disegno per Eterno Padre |
Da
quel giorno, la notizia della bravura della giovinetta si sparse in paese, ma
ella non rimase a lungo a Vasto: dal 1920 si trasferì a Roma, dove visse da
sola, immersa per ore e ore nel lavoro di perfezionamento della tecnica. In quegli anni fu molto vicina al Maestro Vincenzo Gemito, famoso
scultore e orafo napoletano, che aveva per lei grande stima.
Nella
Capitale conobbe Carlo D’Aloisio, con cui si unì in matrimonio il 30 aprile del
1927, nella cappella spagnola della chiesa di San Gioacchino, con il rito
officiato dal reverendo Trisoldi.
I
due artisti vissero e operarono nel loro studio in viale Giulio Cesare 51 dove,
in quegli anni, insieme a Trifoglio e Roberto Melli, maturarono l'idea di dare
alle stampe “Il Vero Giotto”, mensile
d'arte, e “L'Almanacco degli Artisti”,
dal 1930 al 1933.
Profonda
conoscitrice dei materiali e delle sue tecniche di lavorazione, la Mayo , nelle sue sculture,
presentò una spiccata predilezione per il movimento dei corpi e la plasticità
delle pose, imprimendo carattere e forza nelle espressioni. “Un caso d’eccezione nella categoria
degli “ignoranti” è quello della scultrice Elisabetta Mayo”, scrisse
Roberto Melli sull’Almanacco degli Artisti (Il Vero Giotto) del 1931, “Ci
dispiace per gli scultori; ma qui si danno dare molti punti da questa donna
singolare. Senso plastico originale, possente. Luce di intelletto privilegiato;
audacia; impeto; stile. Profondità di scavo. Emozione vergine, opulenta,
commossa. Lirica ed epica. Ricchezza di fantasia, campo d’azione lato.
Versatilità”.
Nel
1921 partecipò alla Prima Biennale Romana
con le opere Marchesina (sala 1) e Il Vincitore al Traguardo (sala 26). Nel
1923, alla Seconda Biennale Romana,
espose una Giovinetta balzante.
Presente alla I Mostra del Sindacato
Fascista Laziale Belle Arti con le opere Cristo e Adolescente, il
Duce in persona, rimase talmente impressionato dall’espressività del volto del
Cristo, modellata dalla scultrice vastese, da volerla conoscere personalmente.
Grande risonanza ebbe la grande mostra organizzata a Roma nel marzo del 1929,
nelle Stanze del Libro nel Salone delle Tre Venezie, inaugurata da S.E. Bottai.
Oltre ai 53 quadri e 11 xilografie del marito, Carlo D’Aloisio da Vasto, vennero
esposte 12 sculture della Mayo, realizzate in bronzo, cera, gesso e creta. Nella
mattina dell’11 marzo, i coniugi vastesi vennero onorati della visita del Re Vittorio
Emanuele III, accompagnato dal generale Asinari di Bernezzo e dall’Ammiraglio
Italo Moreno. Durante la visita durata circa mezzora, il Re si soffermò con
attenzione sulle opere dei due artisti, mostrando un vivo interesse e apprezzamento.
Alla fine acquistò due quadri del D’Aloisio e l’Eterno Padre della Mayo.
In
occasione della grande Mostra Palizziana
e Mostra Regionale d’arte pura applicata,
organizzata nell’agosto del 1929,
a Vasto, nelle sale del secondo piano del Palazzo scolastico
a Piazza Rossetti, oltre alle opere dei migliori pittori abruzzesi viventi, si
poterono ammirare le sculture in bronzo della Mayo, quali Cristo Re, Adolescenza, Ritratto di Vincenzo Gemito, Ritratto di Adelfo Mayo, La
Madonna del latte,
ed Eterno Padre. Per la stessa mostra
la scultrice vastese modellò una medaglia, che venne offerta all’on. Turati in
ricordo dell’importante manifestazione artistica abruzzese.
La testa di Gorgona |
Altra
mostra di rilievo per i due coniugi vastesi, quella dell’estate del 1931,
presso le sale dell’Associazione “Michele Bianchi” in via del Babuino a Roma,
con l’esposizione di ben 90 quadri, tra acquerelli ed olii, di Carlo D’Aloisio
e 18 sculture, fra le quali l’imponente statua in bronzo alta circa tre metri,
realizzata nel 1923, dal titolo La marcia
su Roma, dalle reminiscenze berniniane, all’epoca considerata come la prima
opera d’arte fascista ed elogiata dal Duce, e La Gorgona , altra
impotente statua alta quattro metri (la quale ispirò la penna di Ernesto
Simini, con un componimento pubblicato sulla rivista letteraria Vecchio e Nuovo), oltre a 30 disegni in
cornice, che meritarono le lodi del Sottosegretario di Stato all’Educazione
Nazionale, on. Di Marzo, e dell’on. Barone Acerbo.
Alla
mostra L’arte nella vita del Mezzogiorno
d’Italia, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dal 7 marzo al 31 maggio
1953, insieme ad alcune opere di Carlo D’Aloisio e Nicola Galante, Elisabetta
Mayo partecipò con tre studi ad acquerello e lapis colorati con soggetti sacri:
Cristo davanti a Pilato, Gesù coronato di spine e Madonna Incoronata.
Il sonno di Adamo |
Tra
le altre opere realizzate vanno ricordate Il
sonno di Adamo, riportato su tavola fuori testo nel primo numero della
rivista Oceania di Curzio Malaparte,
che nella circostanza presentava l'artista anche come scrittrice con le sue
prose poetiche Viaggi fuori del tempo; il notissimo ritratto del poeta
indiano Tagore, e quello altrettanto
famoso di Vincenzo Gemito (oggi conservato nella Galleria d’Arte Moderna di
Milano), per il quale il Maestro, vedendolo, esclamò: “Ah, guagliò, m'hai fatto tale e quale”. Ha eseguito anche i busti di Luigi Sturzo, della Baronessa Vittoria
Danzetta, della Marchesa De Mari di Castellaneta, del filosofo vastese Adelfo
Mayo, dell’attrice Dina Galli, il ritratto in bronzo della Medaglia d’Oro Elia
Passavanti, e la lunetta in ceramica, commissionata da Eugenio Faina nel 1925,
per la chiesa della Madonna Liberatrice di San Venanzio (TR). Nel maggio del
1936 il quotidiano Stampa Sera diede risalto alla “monumentale
maschera in bronzo del Duce, da erigere su un monolite in cospetto dell’Oceano
Indiano”, offerta al generale Graziani tramite la consorte del generale
stesso.
Dafne a Latina |
Discorso più ampio merita la bella ed elegante Dafne,
scultura di grandi dimensioni realizzata nel 1923. La scultura raffigura la ninfa Dafne, figlia
della sacerdotessa Gea, la
Madre Terra , e del fiume Peneo, con le braccia levate al
cielo e le mani aperte nell’atto di
invocare la madre terra, prima di trasformarsi in lauro e sfuggire da Apollo.
L’opera venne donata a Littoria, l’odierna Latina, nel 1933 dalle
Confederazioni fasciste dei datori di lavoro e dei lavoratori.
Dafne sulla rivista Signal |
Come curiosità storica, è interessante citare l’articolo pubblicato sulla
rivista quindicinale di propaganda di guerra italo-tedesca “Signal”, dove, in merito alla bonifica
dell’Agro Pontino, messa in atto da Benito Mussolini, ed alle trasformazioni
architettoniche del luogo, è stata inserita una bella foto del luogo, dove
spicca l’imponente Dafne della Mayo.
Come
scrittrice Elisabetta Mayo collaborò per anni, con racconti, novelle e scritti
d’arte, a giornali e riviste come “L’Avvenire”,
“L’Ora” di Palermo, “Il corriere d’America” di New York, “Il progresso Italo-Americano”, “Il piccolo” di Roma, “La
Tribuna ”, “Italiani
pel mondo”, “Novella” e “Novelle novecentesche”. Scrisse anche
diverse commedie, tra cui “Il mio viaggio
fra gli uomini”, “Il giardino della
Vergine”, “Il miracolo all’Inferno”,
“La Pania ” e “La
notte è il mio sogno”, e novelle, tra le quali ricordiamo “La nascita di Caino: primo viaggio fuori
tempo” (1930), inserito nella raccolta
“Novelle novecentesche”.
Inutile
dire che una personalità di così alto spessore, figlia della nostra città,
meriterebbe una più giusta attenzione e considerazione, ma anche un maggiore
approfondimento, sia nel campo artistico che letterario, per ricollocarla,
meritatamente, tra i principali esponenti del movimento
artistico romano e non solo, fiorito durante il ventennio fascista.
Lino
Spadaccini
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