sabato 24 novembre 2012

Quaranta anni fa moriva Elisabetta Mayo, figura di rilievo del '900 italiano


Elisabetta Mayo
La scultrice e poetessa di origini vastesi era moglie del pittore Carlo d'Aloisio da Vasto 

“Dava  molti punti” agli scultori dell’epoca: “ Senso plastico originale, possente. Luce di intelletto privilegiato; audacia; impeto; stile. Profondità di scavo. Emozione vergine, opulenta, commossa. Lirica ed epica. Ricchezza di fantasia, campo d’azione lato. Versatilità”.

Quaranta anni fa, il 24 novembre 1972 ci lasciava Elisabetta Mayo, scultrice e poetessa di gran classe, moglie del pittore Carlo D’Aloisio da Vasto.
Già lo scorso anno avevamo tracciato un breve profilo di questa grande artista, ma per quest’occasione così speciale ci sembrava giusto riproporre all’attenzione dei nostri lettori la figura della Mayo, definita dalla stampa critica del tempo “uno dei più forti scultori contemporanei”.
Nata a Napoli il 18 settembre del 1894 da genitori vastesi
(il padre Equizio era Ingegnere Capo al Genio Civile della città partenopea). Per sapere come la ragazza si avvicinò nel campo dell’arte ci viene incontro Beatrice Testa, con un racconto pubblicato sul volumetto “L’Abruzzo nel mio cuore” (1929), raccolto direttamente dalla voce del futuro marito della Mayo, Carlo D’Alosio. “Lo zio Adolfo Mayo”, scrive la giornalista napoletana di origini abruzzesi, “simpatica e veneranda figura di studioso cara alla gente di Vasto e di tutto l’Abruzzo, sorrise incredulo e continuò a lavorare, quando la nipotina Elisabetta gli annunziò di voler fare il suo ritratto…Ma il filosofo leggeva, completamente assorto, e l’adolescente taceva, perché non aveva nulla da dire. Pareva, invece, che avesse moltissimo da fare, dal momento che aveva immerse le delicate mani nella creta, con un rapido, quasi convulso agitarsi dei pollici bianchi”. Dopo sole due ore di lavoro comparve quello che sembrava un miracolo: “Nella creta ancora umida e molle, la testa del filosofo viveva, miracolosamente vera, con i solchi profondi d’un carattere inconfondibile”.
Disegno per Eterno Padre

Da quel giorno, la notizia della bravura della giovinetta si sparse in paese, ma ella non rimase a lungo a Vasto: dal 1920 si trasferì a Roma, dove visse da sola, immersa per ore e ore nel lavoro di perfezionamento della tecnica. In quegli anni fu molto vicina al Maestro Vincenzo Gemito, famoso scultore e orafo napoletano, che aveva per lei grande stima.
Nella Capitale conobbe Carlo D’Aloisio, con cui si unì in matrimonio il 30 aprile del 1927, nella cappella spagnola della chiesa di San Gioacchino, con il rito officiato dal reverendo Trisoldi.
I due artisti vissero e operarono nel loro studio in viale Giulio Cesare 51 dove, in quegli anni, insieme a Trifoglio e Roberto Melli, maturarono l'idea di dare alle stampe “Il Vero Giotto”, mensile d'arte, e “L'Almanacco degli Artisti”, dal 1930 al 1933.
Profonda conoscitrice dei materiali e delle sue tecniche di lavorazione, la Mayo, nelle sue sculture, presentò una spiccata predilezione per il movimento dei corpi e la plasticità delle pose, imprimendo carattere e forza nelle espressioni. “Un caso d’eccezione nella categoria degli “ignoranti” è quello della scultrice Elisabetta Mayo”, scrisse Roberto Melli sull’Almanacco degli Artisti (Il Vero Giotto) del 1931, “Ci dispiace per gli scultori; ma qui si danno dare molti punti da questa donna singolare. Senso plastico originale, possente. Luce di intelletto privilegiato; audacia; impeto; stile. Profondità di scavo. Emozione vergine, opulenta, commossa. Lirica ed epica. Ricchezza di fantasia, campo d’azione lato. Versatilità”.
Nel 1921 partecipò alla Prima Biennale Romana con le opere Marchesina (sala 1) e Il Vincitore al Traguardo (sala 26). Nel 1923, alla Seconda Biennale Romana, espose una Giovinetta balzante. Presente alla I Mostra del Sindacato Fascista Laziale Belle Arti con le opere Cristo e Adolescente, il Duce in persona, rimase talmente impressionato dall’espressività del volto del Cristo, modellata dalla scultrice vastese, da volerla conoscere personalmente. Grande risonanza ebbe la grande mostra organizzata a Roma nel marzo del 1929, nelle Stanze del Libro nel Salone delle Tre Venezie, inaugurata da S.E. Bottai. Oltre ai 53 quadri e 11 xilografie del marito, Carlo D’Aloisio da Vasto, vennero esposte 12 sculture della Mayo, realizzate in bronzo, cera, gesso e creta. Nella mattina dell’11 marzo, i coniugi vastesi vennero onorati della visita del Re Vittorio Emanuele III, accompagnato dal generale Asinari di Bernezzo e dall’Ammiraglio Italo Moreno. Durante la visita durata circa mezzora, il Re si soffermò con attenzione sulle opere dei due artisti, mostrando un vivo interesse e apprezzamento. Alla fine acquistò due quadri del D’Aloisio e l’Eterno Padre della Mayo.
In occasione della grande Mostra Palizziana e Mostra Regionale d’arte pura applicata, organizzata nell’agosto del 1929, a Vasto, nelle sale del secondo piano del Palazzo scolastico a Piazza Rossetti, oltre alle opere dei migliori pittori abruzzesi viventi, si poterono ammirare le sculture in bronzo della Mayo, quali Cristo Re, Adolescenza, Ritratto di Vincenzo Gemito, Ritratto di Adelfo Mayo, La Madonna del latte, ed Eterno Padre. Per la stessa mostra la scultrice vastese modellò una medaglia, che venne offerta all’on. Turati in ricordo dell’importante manifestazione artistica abruzzese.
La testa di Gorgona
Altra mostra di rilievo per i due coniugi vastesi, quella dell’estate del 1931, presso le sale dell’Associazione “Michele Bianchi” in via del Babuino a Roma, con l’esposizione di ben 90 quadri, tra acquerelli ed olii, di Carlo D’Aloisio e 18 sculture, fra le quali l’imponente statua in bronzo alta circa tre metri, realizzata nel 1923, dal titolo La marcia su Roma, dalle reminiscenze berniniane, all’epoca considerata come la prima opera d’arte fascista ed elogiata dal Duce, e La Gorgona, altra impotente statua alta quattro metri (la quale ispirò la penna di Ernesto Simini, con un componimento pubblicato sulla rivista letteraria Vecchio e Nuovo), oltre a 30 disegni in cornice, che meritarono le lodi del Sottosegretario di Stato all’Educazione Nazionale, on. Di Marzo, e dell’on. Barone Acerbo.
Alla mostra L’arte nella vita del Mezzogiorno d’Italia, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dal 7 marzo al 31 maggio 1953, insieme ad alcune opere di Carlo D’Aloisio e Nicola Galante, Elisabetta Mayo partecipò con tre studi ad acquerello e lapis colorati con soggetti sacri: Cristo davanti a Pilato, Gesù coronato di spine e Madonna Incoronata.
Il sonno di Adamo

Tra le altre opere realizzate vanno ricordate Il sonno di Adamo, riportato su tavola fuori testo nel primo numero della rivista Oceania di Curzio Malaparte, che nella circostanza presentava l'artista anche come scrittrice con le sue prose poetiche Viaggi fuori del tempo; il notissimo ritratto del poeta indiano Tagore,  e quello altrettanto famoso di Vincenzo Gemito (oggi conservato nella Galleria d’Arte Moderna di Milano), per il quale il Maestro, vedendolo, esclamò: “Ah, guagliò, m'hai fatto tale e quale”. Ha eseguito anche i busti di Luigi Sturzo, della Baronessa Vittoria Danzetta, della Marchesa De Mari di Castellaneta, del filosofo vastese Adelfo Mayo, dell’attrice Dina Galli, il ritratto in bronzo della Medaglia d’Oro Elia Passavanti, e la lunetta in ceramica, commissionata da Eugenio Faina nel 1925, per la chiesa della Madonna Liberatrice di San Venanzio (TR). Nel maggio del 1936 il quotidiano Stampa Sera diede risalto alla “monumentale maschera in bronzo del Duce, da erigere su un monolite in cospetto dell’Oceano Indiano”, offerta al generale Graziani tramite la consorte del generale stesso.

Dafne a Latina

Discorso più ampio merita la bella ed elegante Dafne, scultura di grandi dimensioni realizzata nel 1923.  La scultura raffigura la ninfa Dafne, figlia della sacerdotessa Gea, la Madre Terra, e del fiume Peneo, con le braccia levate al cielo e le mani aperte  nell’atto di invocare la madre terra, prima di trasformarsi in lauro e sfuggire da Apollo. L’opera venne donata a Littoria, l’odierna Latina, nel 1933 dalle Confederazioni fasciste dei datori di lavoro e dei lavoratori.
Dafne sulla rivista Signal

Come curiosità storica, è interessante citare l’articolo pubblicato sulla rivista quindicinale di propaganda di guerra italo-tedesca “Signal”, dove, in merito alla bonifica dell’Agro Pontino, messa in atto da Benito Mussolini, ed alle trasformazioni architettoniche del luogo, è stata inserita una bella foto del luogo, dove spicca l’imponente Dafne della Mayo.
Come scrittrice Elisabetta Mayo collaborò per anni, con racconti, novelle e scritti d’arte, a giornali e riviste come “L’Avvenire”, “L’Ora” di Palermo, “Il corriere d’America” di New York, “Il progresso Italo-Americano”, “Il piccolo” di Roma, “La Tribuna”, “Italiani pel mondo”, “Novella” e “Novelle novecentesche”. Scrisse anche diverse commedie, tra cui “Il mio viaggio fra gli uomini”, “Il giardino della Vergine”, “Il miracolo all’Inferno”, “La Pania” e “La notte è il mio sogno”, e novelle, tra le quali ricordiamo “La nascita di Caino: primo viaggio fuori tempo” (1930), inserito nella raccolta Novelle novecentesche”.
Inutile dire che una personalità di così alto spessore, figlia della nostra città, meriterebbe una più giusta attenzione e considerazione, ma anche un maggiore approfondimento, sia nel campo artistico che letterario, per ricollocarla, meritatamente, tra i principali esponenti del movimento artistico romano e non solo, fiorito durante il ventennio fascista.

Lino Spadaccini

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