Il 29 agosto del 1991, in via Alfieri,
mentre Libero Grassi si reca al lavoro viene raggiunto da cinque colpi di
pistola, che
spengono la sua voce divenuta un solitario grido di ribellione
alla mafia. Non deve stupire la sua solitudine, perché quella di rinunciare
alla scorta fu una scelta dettata dall’illusione che la sua esposizione
pubblica gli avrebbe fatto da scudo. Ciò che invece deve continuare ad
indignare chiunque conosca questa storia, è la solitudine di Libero Grassi
nella sua lotta al predominio mafioso. Il mancato appoggio da parte dei suoi
concittadini può essere parzialmente giustificato, ma per le istituzioni non ci
sono scusanti. Non solo non venne sostenuto, ma molti lo consideravano un Don
Chisciotte moderno impegnato a combattere gli inesistenti mulini a vento della
mafia.
È interessante osservare ciò che
invece ora avviene in via Alfieri, dove non ci sono targhe a ricordare il suo
sacrificio, ma ogni anno la famiglia rinnova il manifesto di accusa contro chi
venne meno al suo dovere in quel periodo e traccia sul marciapiede su cui
Libero morì una macchia di vernice
rossa, simbolo di tutto il sangue innocente versato. Con il passare del tempo
quella che era un occasione di ricordo per pochi, si è trasformata in un
momento di riflessione di carattere nazionale. Quest’anno in seguito alla
commemorazione in via Alfieri sono state tante e partecipate le iniziative
organizzate a Palermo.
A partire del pomeriggio è stato
presentato il film-documentario Sconzajuoco
2.0, a cura della Fondazione Progetto Legalità, che esamina il fenomeno
mafioso e la sua tanto discussa e negata presenza a nord. In seguito è stato il
turno del libro Libero Grassi. Storia di
un’eresia borghese dello storico Marcello Ravveduto. Al dibattito hanno
partecipato l’autore, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, l’assessore Agata
Bazzi, il magistrato Nico Gozzo, Enrico Colajanni, presidente dell’associazione
antiracket “Libero Futuro”, e Tano Grasso, presidente onorario della FAI. Tutte
persone che avevano conosciuto personalmente Libero e il loro intento è stato
quello di evitare la descrizione di un eroe solitario ma, come ha giustamente
detto Marcello Ravveduto, quella di un
uomo normale, un patriota ligio ai suoi doveri civili.
Nella serata si è avuto il momento
più toccante, quando alla presenza del Ministro degli Interni, Anna Maria
Cancellieri, del procuratore antimafia Pietro Grasso e di Pina Maisano Grassi,
sono stati proiettati i video che negli anni hanno partecipato al Premio Libero
Grassi della Cooperativa Solidaria. Da essi e dalle nuove lettere al caro
estortore lette dagli autori e dai ragazzi di Addio Pizzo Junior è arrivato il
più forte grido di speranza che Palermo potesse desiderare.
Tutti noi ragazzi presenti su quel
palco non eravamo neanche nati quando Libero morì. Eppure oramai la sua voce è
divenuta familiare e la dolcezza con cui Pina si appoggia a noi è una costante
che riempie di gioia. È proprio qui l’incredibile forza della storia di questo
personaggio, di questo patriota. Pina e Libero possono essere per la giovane
generazione non degli eroi dei fumetti con improbabili
superpoteri, ma dei teneri nonni che raccontano le favole prima di andare a
dormire. La morale di giustizia che trasuda dalle loro favole diventerà poi
coscienza civile dei cittadini che saremo domani.
Attenzione, però, è facile per noi
“continentali” tirarci fuori, chiudendo gli occhi e facendo ancora una volta
finta che sia solo un problema siciliano. La mafia non conosce confini
territoriali, il nostro impegno deve imparare a dimenticarli per trovare
l’unità e la forza necessaria a far sì che il sacrificio di Libero non sia
stato vano.
Arianna Tascone
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