mercoledì 8 agosto 2012

Biomasse: Il Comitato Cittadino per la Tutela del Territorio risponde a Vastoviva

Vastoviva, occhi chiusi e nostalgia di un tempo che fu: Punta Aderci come Taranto
Dall’ing. Lorenzo LUCIANO del Comitato Cittadino per la Tutela del Territorio riceviamo e pubblichiamo:
Rispondiamo pubblicamente ai ripetuti interventi di Vastoviva (sodalizio di area PD) favorevoli alle centrali termoelettriche a biomasse. Lo faremo con calma seguendo la loro "mission" che
auspica che le persone "abbandonino il mero esercizio della critica e si confrontino sull'impegnativo, ma più gratificante, campo della proposta".
Cominciamo quindi con l'osservare che si continua a confondere "energie rinnovabili" con "centrali termoelettriche".
Le uniche centrali a biomasse economicamente ed ambientalmente sostenibili sono quelle che utilizzano materie prime locali (scarti di segheria, manutenzione di boschi, fermentazione di letame o di scarichi civili, ecc.), di piccola taglia e con cogenerazione (riscaldamento centralizzato + energia elettrica).
Le centrali del tipo "vastese" possono invece esistere solo grazie agli incentivi statali. Il guadagno di questi "imprenditori" nasce dal trasferimento di denaro dalle bollette degli italiani (6-7% CIP6) alle tasche di chi brucia oli di palma, rifiuti, scarti di raffineria ma anche di chi brucia legname, ma non trovandolo localmente lo trasporta su gomma per mezza Italia. E' la gallina dalle uova d'oro ed è assai facile fare impresa in questo modo. Noi vorremmo che questo trasferimento dalle tasche di tutti a quelle di pochi venisse eliminato, chiudendo così per sempre il problema della proliferazione di queste inutili centrali termoelettriche. Ma questo sembra difficile in un momento in cui il governo cerca di porre un freno all'enorme produzione di energia gratuita solare incentivando - sempre tramite le bollette - le turbogas e le centrali a olio combustibile che altrimenti sarebbero avviate alla chiusura. Strano ma vero: in un paese che sembrava non avere futuro senza energia nucleare, oggi la Confindustria riconosce che abbiamo "una sovra capacità ormai strutturale di produzione elettrica di oltre il 30%".
Per quanto riguarda l'opinione dei gesuiti, la citazione è assolutamente impropria in quanto si riferisce alla contrapposizione tra la produzione centralizzata nelle mani di pochi, che impongono a tutti il prezzo dell'energia, e la microgenerazione locale. Chi gestisce la produzione e il trasporto di oli vegetali dal terzo mondo, per bruciarli in Italia a spese degli utenti elettrici italiani, fa parte di questi pochi che si oppongono a una "più facile ed equa accessibilità energetica". I gesuiti dicono dunque l'esatto contrario di quello che si vuole far credere e sono in perfetta sintonia con la posizione espressa dalla Conferenza Episcopale Abruzzese e Molisana.
Anche il richiamo alle parole di Vendola è fuori luogo: prima di tutto perché il governatore della Puglia deve gestire una situazione esplosiva in cui da una parte gli indici di mortalità si sono impennati e dall'altra ci sono ventimila famiglie che rischiano di perdere il lavoro. Una situazione ormai irreparabilmente degradata e che neppure i 366 milioni, gentilmente offerti dallo Stato italiano, e quindi dai contribuenti, potranno risolvere ("sono l’apertura di un ciclo che avrà programmi e risorse molto più cospicue"). Il secondo punto da osservare è che il governatore della Puglia è già intervenuto pesantemente con un "aumento esponenziale delle attività di monitoraggio ambientale di ARPA Puglia". In altre parole da alcuni anni a Taranto si controllano finalmente le emissioni e la qualità di aria, acqua e terreno; una cosa che noi continuiamo a chiedere inascoltati per le industrie già esistenti a Punta Penna: Puccioni prima di tutto.
La fede cieca espressa da Vastoviva nella tecnologia, che sarebbe in grado di permettere "insediamenti produttivi ed energetici realizzati nel rispetto del bene comune con una energia buona, pulita e giusta", qualora fosse sincera farebbe quasi tenerezza.
La domanda che noi facciamo è: se tale tecnologia esiste perché abbiamo tanti problemi?
Il fatto è che tali tecnologie - quando esistono - hanno un costo tale da ridurre o annullare gli utili d'impresa, per cui non vengono mai adottate da chi "deve" guadagnare. Ritorniamo dunque a Taranto - che sembra proprio essere il modello della futura punta Aderci sognata da Vastoviva - per osservare che lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa "è stato progressivamente autorizzato nelle sue diverse fasi e ha operato sempre seguendo le leggi delle varie epoche storiche (ministro dell'Ambiente Clini)". Tutto è formalmente in regola ma le persone muoiono. Inoltre, dal momento che sono cominciati realmente i controlli sulle emissioni, l'ILVA ha dovuto porre in atto investimenti per un miliardo di euro. La realtà è che tra investire in tecnologia o delocalizzare in regioni del mondo dove i controlli sono praticamente assenti (come fino ad ora è anche l'Abruzzo) la seconda scelta viene sempre preferita (nel caso dell'ILVA non è ancora conveniente spostare un'acciaieria dotata di infrastrutture e aiuti di stato allontanandola dal suo mercato).
Vastoviva conclude dicendo: "E’ tempo di scegliere le priorità: noi abbiamo scelto il lavoro e lo sviluppo". Noi rispondiamo che non ne possiamo più di slogan e che il mondo è un po' più complesso.
Vastoviva punta a testa bassa su un modello del passato, senza comprendere la realtà economica esistente e le alternative possibili. Secondo noi le centrali a biomasse sono solo l'avanguardia di un progetto di tarantizzazione dell'area che porterebbe inevitabilmente alla distruzione di Punta Aderci come destinazione turistica e - con un effetto domino - al crollo del progetto del Parco della Costa Teatina e al ritorno dei mai sopiti interessi petroliferi e cementificatori.
Noi abbiamo un'idea assai precisa degli effetti di un simile "sviluppo" anche perché ne abbiamo parlato con i diretti interessati che in tanti partecipano al Comitato per difendere le loro imprese e i relativi posti di lavoro. Vorremmo quindi sapere da Vastoviva: quanti nuovi posti di lavoro nasceranno? Quanti invece scompariranno nei settori commerciale, artigianale, agricolo e turistico? Quale sarà il bilancio totale?
Detto per inciso: come si può coniugare Slow Food (il suo rappresentante locale è membro di Vastoviva) con questo progetto industriale?.
Noi non facciamo "confusione tra diritto alla salute e diritto al lavoro", vogliamo che vengano garantiti entrambi ma - diversamente da Vastoviva - non dimentichiamo che oltre a lavoro e salute è necessario difendere un fondamentale bene comune non commerciale che è l'ambiente e - più in generale - la qualità della vita. A Taranto l'ambiente non esiste più, a Punta Penna invece si ed è qualcosa di inestimabile per chi ha sensibilità e intelligenza per capirlo. Proponiamo quindi un modello economico alternativo in cui tante piccole e medie imprese fondano la loro ragione di essere sull'ambiente e per questo lo proteggono. Se si hanno davvero a cuore i grandi insediamenti industriali - con moltissimi posti di lavoro a rischio - si concentrino le energie su quelli già esistenti come San Salvo o la Val di Sangro.
A giustificazione del suo progetto, Vastoviva dice che: "negli anni ‘60-‘90 la politica industriale perseguita seriamente ha garantito, con gli insediamenti industriali, crescita e sviluppo di tutto il territorio".
Dimentica però di leggere l'avvertenza scritta a caratteri piccoli: "I rendimenti passati non sono indicativi di risultati futuri". Gli anni 60-90 rappresentano infatti un'epoca industriale in cui il consumismo spinto da energia e materie prime a basso costo si è affermato come modello economico globale. Oggi - invece - il mondo sta vivendo il collasso di quel modello; vaneggiare quindi il ritorno di quell'epoca "d'oro" (per chi produceva e vendeva, non certo per i consumatori la cui continua insoddisfazione era il motore primo del consumismo) significa non avere alcuna capacità di leggere il presente e di prepararsi ad affrontare il futuro. E' la fase della paura che ti chiude gli occhi e ti fa dire "non è possibile che tutto questo sia vero" e non ti fa avere alcun altro piano che aspettare che tutto si aggiusti magicamente da sé.
Noi invece abbiamo gli occhi aperti e continuiamo a cercare di aprirli anche agli altri, convinti che un nuovo modello che salvaguardi Ambiente, Salute, Lavoro e Qualità della Vita sia possibile e realizzabile.
In attesa di un riscontro e sempre pronti ad spiegare meglio le nostre proposte vi salutiamo.
Il Comitato Cittadino per la Tutela del Territorio

Nessun commento: