Dall’ing. Lorenzo LUCIANO del Comitato
Cittadino per la Tutela
del Territorio riceviamo e pubblichiamo:
Rispondiamo pubblicamente ai ripetuti
interventi di Vastoviva (sodalizio di area PD) favorevoli alle centrali
termoelettriche a biomasse. Lo faremo con calma seguendo la loro
"mission" che
auspica che le persone "abbandonino il mero esercizio della critica e si confrontino
sull'impegnativo, ma più gratificante, campo della proposta".
Cominciamo quindi con l'osservare che
si continua a confondere "energie rinnovabili" con "centrali
termoelettriche".
Le uniche centrali a biomasse
economicamente ed ambientalmente sostenibili sono quelle che utilizzano materie
prime locali (scarti di segheria, manutenzione di boschi, fermentazione di
letame o di scarichi civili, ecc.), di piccola taglia e con cogenerazione
(riscaldamento centralizzato + energia elettrica).
Le centrali del tipo
"vastese" possono invece esistere solo grazie agli incentivi statali.
Il guadagno di questi "imprenditori" nasce dal trasferimento di
denaro dalle bollette degli italiani (6-7% CIP6) alle tasche di chi brucia oli
di palma, rifiuti, scarti di raffineria ma anche di chi brucia legname, ma non
trovandolo localmente lo trasporta su gomma per mezza Italia. E' la gallina
dalle uova d'oro ed è assai facile fare impresa in questo modo. Noi vorremmo
che questo trasferimento dalle tasche di tutti a quelle di pochi venisse
eliminato, chiudendo così per sempre il problema della proliferazione di queste
inutili centrali termoelettriche. Ma questo sembra difficile in un momento in
cui il governo cerca di porre un freno all'enorme produzione di energia gratuita
solare incentivando - sempre tramite le bollette - le turbogas e le centrali a olio
combustibile che altrimenti sarebbero avviate alla chiusura. Strano ma vero: in
un paese che sembrava non avere futuro senza energia nucleare, oggi la Confindustria
riconosce che abbiamo "una sovra capacità ormai strutturale di produzione
elettrica di oltre il 30%".
Per quanto riguarda l'opinione dei
gesuiti, la citazione è assolutamente impropria in quanto si riferisce alla
contrapposizione tra la produzione centralizzata nelle mani di pochi, che
impongono a tutti il prezzo dell'energia, e la microgenerazione locale. Chi
gestisce la produzione e il trasporto di oli vegetali dal terzo mondo, per
bruciarli in Italia a spese degli utenti elettrici italiani, fa parte di questi
pochi che si oppongono a una "più facile ed equa accessibilità
energetica". I gesuiti dicono dunque l'esatto contrario di quello che si
vuole far credere e sono in perfetta sintonia con la posizione espressa dalla
Conferenza Episcopale Abruzzese e Molisana.
Anche il richiamo alle parole di
Vendola è fuori luogo: prima di tutto perché il governatore della Puglia deve
gestire una situazione esplosiva in cui da una parte gli indici di mortalità si
sono impennati e dall'altra ci sono ventimila famiglie che rischiano di perdere
il lavoro. Una situazione ormai irreparabilmente degradata e che neppure i 366
milioni, gentilmente offerti dallo Stato italiano, e quindi dai contribuenti,
potranno risolvere ("sono l’apertura di un ciclo che avrà programmi e
risorse molto più cospicue"). Il secondo punto da osservare è che il
governatore della Puglia è già intervenuto pesantemente con un "aumento
esponenziale delle attività di monitoraggio ambientale di ARPA Puglia". In
altre parole da alcuni anni a Taranto si controllano finalmente le emissioni e
la qualità di aria, acqua e terreno; una cosa che noi continuiamo a chiedere
inascoltati per le industrie già esistenti a Punta Penna: Puccioni prima di
tutto.
La fede cieca espressa da Vastoviva
nella tecnologia, che sarebbe in grado di permettere "insediamenti
produttivi ed energetici realizzati nel rispetto del bene comune con una
energia buona, pulita e giusta", qualora fosse sincera farebbe quasi
tenerezza.
La domanda che noi facciamo è: se tale
tecnologia esiste perché abbiamo tanti problemi?
Il fatto è che tali tecnologie - quando
esistono - hanno un costo tale da ridurre o annullare gli utili d'impresa, per
cui non vengono mai adottate da chi "deve" guadagnare. Ritorniamo
dunque a Taranto - che sembra proprio essere il modello della futura punta
Aderci sognata da Vastoviva - per osservare che lo stabilimento siderurgico più
grande d’Europa "è stato progressivamente autorizzato nelle sue diverse
fasi e ha operato sempre seguendo le leggi delle varie epoche storiche
(ministro dell'Ambiente Clini)". Tutto è formalmente in regola ma le
persone muoiono. Inoltre, dal momento che sono cominciati realmente i controlli
sulle emissioni, l'ILVA ha dovuto porre in atto investimenti per un miliardo di
euro. La realtà è che tra investire in tecnologia o delocalizzare in regioni
del mondo dove i controlli sono praticamente assenti (come fino ad ora è anche
l'Abruzzo) la seconda scelta viene sempre preferita (nel caso dell'ILVA non è ancora
conveniente spostare un'acciaieria dotata di infrastrutture e aiuti di stato allontanandola
dal suo mercato).
Vastoviva conclude dicendo: "E’
tempo di scegliere le priorità: noi abbiamo scelto il lavoro e lo
sviluppo". Noi rispondiamo che non ne possiamo più di slogan e che il mondo
è un po' più complesso.
Vastoviva punta a testa bassa su un
modello del passato, senza comprendere la realtà economica esistente e le
alternative possibili. Secondo noi le centrali a biomasse sono solo
l'avanguardia di un progetto di tarantizzazione dell'area che porterebbe
inevitabilmente alla distruzione di Punta Aderci come destinazione turistica e
- con un effetto domino - al crollo del progetto del Parco della Costa Teatina
e al ritorno dei mai sopiti interessi petroliferi e cementificatori.
Noi abbiamo un'idea assai precisa degli
effetti di un simile "sviluppo" anche perché ne abbiamo parlato con i
diretti interessati che in tanti partecipano al Comitato per difendere le loro
imprese e i relativi posti di lavoro. Vorremmo quindi sapere da Vastoviva:
quanti nuovi posti di lavoro nasceranno? Quanti invece scompariranno nei
settori commerciale, artigianale, agricolo e turistico? Quale sarà il bilancio
totale?
Detto per inciso: come si può coniugare
Slow Food (il suo rappresentante locale è membro di Vastoviva) con questo
progetto industriale?.
Noi non facciamo "confusione tra
diritto alla salute e diritto al lavoro", vogliamo che vengano garantiti
entrambi ma - diversamente da Vastoviva - non dimentichiamo che oltre a lavoro
e salute è necessario difendere un fondamentale bene comune non commerciale che
è l'ambiente e - più in generale - la qualità della vita. A Taranto l'ambiente
non esiste più, a Punta Penna invece si ed è qualcosa di inestimabile per chi
ha sensibilità e intelligenza per capirlo. Proponiamo quindi un modello
economico alternativo in cui tante piccole e medie imprese fondano la loro
ragione di essere sull'ambiente e per questo lo proteggono. Se si hanno davvero
a cuore i grandi insediamenti industriali - con moltissimi posti di lavoro a
rischio - si concentrino le energie su quelli già esistenti come San Salvo o la Val di Sangro.
A giustificazione del suo progetto, Vastoviva
dice che: "negli anni ‘60-‘90 la politica industriale perseguita
seriamente ha garantito, con gli insediamenti industriali, crescita e sviluppo
di tutto il territorio".
Dimentica però di leggere l'avvertenza
scritta a caratteri piccoli: "I rendimenti passati non sono indicativi di
risultati futuri". Gli anni 60-90 rappresentano infatti un'epoca
industriale in cui il consumismo spinto da energia e materie prime a basso
costo si è affermato come modello economico globale. Oggi - invece - il mondo sta
vivendo il collasso di quel modello; vaneggiare quindi il ritorno di
quell'epoca "d'oro" (per chi produceva e vendeva, non certo per i
consumatori la cui continua insoddisfazione era il motore primo del consumismo)
significa non avere alcuna capacità di leggere il presente e di prepararsi ad
affrontare il futuro. E' la fase della paura che ti chiude gli occhi e ti fa
dire "non è possibile che tutto questo sia vero" e non ti fa avere
alcun altro piano che aspettare che tutto si aggiusti magicamente da sé.
Noi invece abbiamo gli occhi aperti e
continuiamo a cercare di aprirli anche agli altri, convinti che un nuovo
modello che salvaguardi Ambiente, Salute, Lavoro e Qualità della Vita sia
possibile e realizzabile.
In attesa di un riscontro e sempre
pronti ad spiegare meglio le nostre proposte vi salutiamo.
Il Comitato Cittadino per la Tutela del Territorio
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