Cento anni fa, il 30 giugno del 1912, ci lasciava Emilio
Monacelli, grande publicista, direttore responsabile del settimanale Istonio.
Nato nel 1888, per ventiquattro anni, l’Istonio è stata la voce dei vastesi, un vero e proprio diario che
ha raccontato con passione le vicende politiche, culturali e letterarie della
nostra piccola
cittadina, ma anche note di cronaca e pagine che hanno fatto la storia della nostra città.
cittadina, ma anche note di cronaca e pagine che hanno fatto la storia della nostra città.
L’Istonio aveva un
indirizzo spiccatamente democratico e indipendente dai partiti, che verso la
fine dell’Ottocento si contendevano il potere. “Per qualche tempo il giornale rimase estraneo a noi, come ai nostri
avversari”, ricordava l’on. Francesco Laccetti nei suoi Ricordi, “ma, dopo alcuni mesi, il ricordo delle relazioni ottime, corse sempre
tra le nostre famiglie, un’affinità morale
spirituale trassero il giovane [Emilio Monacelli] ad accostarsi alla nostra parte e questo
primo contatto, rafforzato dalla constatazione di una perfetta identità delle
nostre idee e dei nostri sentimenti, si trasformò in una profonda amicizia che
durò quanto la sua vita e continuò nel fratello superstite fino a quando
anch’egli fu dalla morte immaturamente rapito al nostro affetto”.
Grazie alle sue doti di oratore, spesso era chiamato per
pronunciare discorsi nelle occasioni importanti, ma la sua passione, dove
poteva sfogare i suoi disagi e i suoi sentimenti era la
poesia.
Attraverso le pagine del suo giornale, possiamo ancora oggi
apprezzare una serie di poesie intense e vigorose, quasi sempre velate da un
senso di malinconia.
Notte d’inverno è
un sonetto dedicato alla signorina Emilia Trevisonno e recita così:
Alta è la notte e
l’ululo del vento
Tra l’orribil fragor
de la tempesta
Mi giunge come un
flebile lamento
E il cuor m’agghiaccia
ed il pensier mi arresta.
Come di mille voci il
suono io sento,
Di mille cuori una
preghiera mesta:
Son le voci del mar
tetro e violento,
Le voci della mobile
foreste.
Ecco, al chiaror del
fulmine la brulla
Campagna ricompare e
poi si oscura.
Innanzi a me ritorna,
orrido, il nulla.
E il vento soffia
impetuosamente
E nel suo grido par
che la sventura
Porti i sospiri
dell’afflitta gente.
Un’altra poesia pervaso dal senso di malinconia, che
inizialmente potrebbe sembrare irreale quasi finta, ma che in realtà è la
sensazione interiore, vera, che esce con forza dall’animo del poeta è Sgomento, scritta dal Monacelli la sera
di un Giovedì Santo:
Siccome nave in mare
procelloso,
Sbattuto io sono da
contrarii venti,
E, nell’errore lungo e
doloroso,
Vivo di stenti.
Non spuntar rose lungo
il mio cammino,
Spuntan le spine da
mattina a sera.
Non ti commuove più,
crudel destino,
La mia preghiera?
Implorato io non t’ho
nel mio dolore,
Dal profondo
dell’anima mia mesta
Con infinito sovrumano
ardore?
Che più mi resta?
Assetato, avvilito e
senza spene,
Brancolando io
m’aggiro in un deserto
Tra un ciel di piombo
e sconfinate arene,
Solo ed incerto.
Se ne passa così mia
giovinezza
E tutto avvolve l’onde
del passato,
Il riso, il pianto,
ogni più lieta ebbrezza.
Perché son nato?
Davanti al sorriso di una bambina il poeta mette da parte
l’inquietudine e si lascia trasportare da un sentimento di dolcezza e
delicatezza, come in Bambine, bambine…,
scritta per la nipotina Giulia Ruggieri:
Bambine, bambine che
biancovestite
Sembrate angiolette
dal cielo smarrite,
il vostro sorriso mi
scende nel core
siccome una lieta
canzone d’amore.
Scherzate, correte,
bambine dilette,
purissimi fiori d’amor,
farfallette
che l’ali spiegate con
gioia serena
ignare d’affanni, di
cuee, di pena,
sui vaghi ridenti,
fioriti sentier
de’ vostri verd’anni
succhiando il piacer.
Gli ultimi giorni della sua vita ci sono raccontati ancora
una volta dall’amico Francesco Ciccarone: “…in
un pomeriggio di quel triste inverno [1912] fui chiamato al Policlinico, trovai il mio amico in gravissimo stato,
fuori di conoscenza. Chi può dire le ansie, le incertezze di quei tristi
giorni!? La malattia di Emilio, originata un po’ dalla vita sedentaria, un po’
da qualche disordine, era la nefrite ed egli era stato raccolto morente, per un
attacco di quel morbo, in una trattoria di via Panisperna dalle guardie
metropolitane. Condotto al Policlinico egli, in un momento di passeggero risveglio
aveva dato il mio nome ed il mio indirizzo”. Emilio Monacelli per diversi
giorni lottò tra la vita e la morte e, in un momento di miglioramento, riuscì a
mettersi in piedi ed a tornare alla sua amata Vasto, dove morì il 30 giugno.
Lino Spadaccini
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