sabato 30 giugno 2012

Cento anno fa moriva Emilio Monacelli



Cento anni fa, il 30 giugno del 1912, ci lasciava Emilio Monacelli, grande publicista, direttore responsabile del settimanale Istonio.
Nato nel 1888, per ventiquattro anni, l’Istonio è stata la voce dei vastesi, un vero e proprio diario che ha raccontato con passione le vicende politiche, culturali e letterarie della nostra piccola
cittadina, ma anche note di cronaca e pagine che hanno fatto la storia della nostra città.
L’Istonio aveva un indirizzo spiccatamente democratico e indipendente dai partiti, che verso la fine dell’Ottocento si contendevano il potere. “Per qualche tempo il giornale rimase estraneo a noi, come ai nostri avversari”, ricordava l’on. Francesco Laccetti nei suoi Ricordi, “ma, dopo alcuni mesi, il ricordo delle relazioni ottime, corse sempre tra le nostre famiglie, un’affinità morale  spirituale trassero il giovane [Emilio Monacelli] ad accostarsi alla nostra parte e questo primo contatto, rafforzato dalla constatazione di una perfetta identità delle nostre idee e dei nostri sentimenti, si trasformò in una profonda amicizia che durò quanto la sua vita e continuò nel fratello superstite fino a quando anch’egli fu dalla morte immaturamente rapito al nostro affetto”.

Grazie alle sue doti di oratore, spesso era chiamato per pronunciare discorsi nelle occasioni importanti, ma la sua passione, dove poteva sfogare i suoi disagi e i suoi sentimenti era la poesia.
Attraverso le pagine del suo giornale, possiamo ancora oggi apprezzare una serie di poesie intense e vigorose, quasi sempre velate da un senso di malinconia.
Notte d’inverno è un sonetto dedicato alla signorina Emilia Trevisonno e recita così:

Alta è la notte e l’ululo del vento
Tra l’orribil fragor de la tempesta
Mi giunge come un flebile lamento
E il cuor m’agghiaccia ed il pensier mi arresta.

Come di mille voci il suono io sento,
Di mille cuori una preghiera mesta:
Son le voci del mar tetro e violento,
Le voci della mobile foreste.

Ecco, al chiaror del fulmine la brulla
Campagna ricompare e poi si oscura.
Innanzi a me ritorna, orrido, il nulla.

E il vento soffia impetuosamente
E nel suo grido par che la sventura
Porti i sospiri dell’afflitta gente.

Un’altra poesia pervaso dal senso di malinconia, che inizialmente potrebbe sembrare irreale quasi finta, ma che in realtà è la sensazione interiore, vera, che esce con forza dall’animo del poeta è Sgomento, scritta dal Monacelli la sera di un Giovedì Santo:

Siccome nave in mare procelloso,
Sbattuto io sono da contrarii venti,
E, nell’errore lungo e doloroso,
Vivo di stenti.

Non spuntar rose lungo il mio cammino,
Spuntan le spine da mattina a sera.
Non ti commuove più, crudel destino,
La mia preghiera?

Implorato io non t’ho nel mio dolore,
Dal profondo dell’anima mia mesta
Con infinito sovrumano ardore?
Che più mi resta?

Assetato, avvilito e senza spene,
Brancolando io m’aggiro in un deserto
Tra un ciel di piombo e sconfinate arene,
Solo ed incerto.

Se ne passa così mia giovinezza
E tutto avvolve l’onde del passato,
Il riso, il pianto, ogni più lieta ebbrezza.
Perché son nato?

Davanti al sorriso di una bambina il poeta mette da parte l’inquietudine e si lascia trasportare da un sentimento di dolcezza e delicatezza, come in Bambine, bambine…, scritta per la nipotina Giulia Ruggieri:

Bambine, bambine che biancovestite
Sembrate angiolette dal cielo smarrite,
il vostro sorriso mi scende nel core
siccome una lieta canzone d’amore.
Scherzate, correte, bambine dilette,
purissimi fiori d’amor, farfallette
che l’ali spiegate con gioia serena
ignare d’affanni, di cuee, di pena,
sui vaghi ridenti, fioriti sentier
de’ vostri verd’anni succhiando il piacer.

Gli ultimi giorni della sua vita ci sono raccontati ancora una volta dall’amico Francesco Ciccarone: “…in un pomeriggio di quel triste inverno [1912] fui chiamato al Policlinico, trovai il mio amico in gravissimo stato, fuori di conoscenza. Chi può dire le ansie, le incertezze di quei tristi giorni!? La malattia di Emilio, originata un po’ dalla vita sedentaria, un po’ da qualche disordine, era la nefrite ed egli era stato raccolto morente, per un attacco di quel morbo, in una trattoria di via Panisperna dalle guardie metropolitane. Condotto al Policlinico egli, in un momento di passeggero risveglio aveva dato il mio nome ed il mio indirizzo”. Emilio Monacelli per diversi giorni lottò tra la vita e la morte e, in un momento di miglioramento, riuscì a mettersi in piedi ed a tornare alla sua amata Vasto, dove morì il 30 giugno.

Lino Spadaccini          
           



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