mercoledì 25 aprile 2012

Il poeta vastese Romualdo Pàntini dedicò una poesia anche a Gugliemo Marconi

 A Marconi inventore italiano”, pubblicato nella raccolta “Canti di vita”.
Guglielmo Marconi

di Lino Spadaccini
Il 25 aprile del 1874 nasceva a Bologna Guglielmo Marconi, Premio Nobel per la fisica nel 1909 e padre della radio e di tutti quei sistemi che utilizzano la comunicazione senza fili.
Anche Vasto, come molte altre città italiane, ha inteso rendere omaggio al grande inventore, intitolando la piazza ai piedi della villa comunale, ma c’è un altro collegamento che unisce la nostra città a Guglielmo Marconi: a lui, nel 1910, il poeta vastese Romualdo Pantini dedicò una poesia dal titolo “A Marconi inventore italiano”, pubblicato nella raccolta “Canti di vita”.
Marconi dedicherà tutta
la sua vita allo sviluppo e perfezionamento delle radiocomunicazioni. Dopo la morte del fisico tedesco Hertz, dalla lettura delle sue esperienze, Marconi trarrà ispirazione per lo studio sulle onde elettromagnetiche che l’occuperanno per tutta la vita.
Forte delle prime scoperte e galvanizzato dalle prospettive che potevano aprirsi, nel 1897 fonda in Inghilterra la “Marconi’s Wireless Telegraph Company”. I benefici della sua invenzione si fanno subito apprezzare da tutti; vi è un caso in particolare che lo dimostra in modo clamoroso: il primo salvataggio, a mezzo appello radio, che avvenne in quegli anni di una nave perduta sulla Manica.
Nel 1901 vengono trasmessi i primi segnali telegrafici senza fili tra Poldhu, in Cornovaglia, e l'isola di Terranova, in America settentrionale. Il 12 dicembre 1901 per mezzo di una cuffia e di un coherer vengono ricevuti i primi SOS attraverso l'Atlantico. Così Marconi, non ancora trentenne, è carico di gloria e il suo nome già famoso. Queste sono state le prime trasmissioni transatlantiche.
Nel 1902, Marconi compie alcune esperienze sulla Regia nave “Carlo Alberto”, provando, inoltre, la possibilità dei radiocollegamenti tra le navi e con la terra. Pochi anni dopo, i 706 superstiti del noto disastro del Titanic devono la salvezza alla radio e anche per questo l'Inghilterra insignisce Marconi del titolo di Sir, mentre l'Italia lo fa Senatore (1914) e Marchese (1929).
Nel 1914, sempre più ossessionato dal desiderio di allargare le potenzialità degli strumenti partoriti dal suo genio, perfeziona i primi apparecchi radiotelefonici. Inizia poi lo studio dei sistemi a fascio a onde corte, che gli permettono ulteriori passi in avanti oltre alla possibilità di proseguire quegli esperimenti che non si stancava mai di compiere.
Guglielmo Marconi muore a Roma all'età di 63 anni, il 20 luglio 1937, dopo essere stato nominato dottore honoris causa dalle università di Bologna, di Oxford, di Cambridge, e di altre università italiane.
Quando il Pantini scrisse la sua ode, Marconi si trovava a Londra. Il poeta vastese cercò in tutti i modi di fargli avere una copia del suo libro, contattò anche il pittore abruzzese, Francesco Paolo Michetti, grande amico del Marconi, e riuscì a  strappargli una promessa: “La prima volta che vedrò Marconi gli parlerò della tua poesia”.
Nella primavera del 1921, Marconi venne con il suo panfilo, l’Elettra, dalle nostre parti e si fermò a Francavilla al Mare, ospite di Michetti. Purtroppo, il Pantini seppe solo più tardi della visita di Marconi, perché in quel periodo si trovava in Francia. Ma la prima volta che incontrò il pittore abruzzese gli chiese: “Ciccillo, ti sei ricordato di mostrare a Marconi la mia ode?”. Michetti, desolato, onestamente ammise la dimenticanza.
Proprio questo episodio ho ricordato giorni fa, mentre prendevo il tè in casa della marchesa Degna Marconi Paresce, la secondogenita del grande inventore”, scrisse Giorgio Pillon sulle colonne dell’Histonium, “…non aveva mai sentito nominare Romualdo Pàntini. Ricordava però benissimo il viaggio lungo le coste adriatiche, perché anche lei era a bordo del panfilo”. In particolare la figlia di Marconi ricordò l’insistenza del pittore nel mostrare tutto quello che era riuscito a fare in casa utilizzando la corrente elettrica. La casa era tutta un incrocio di fili: in cucina, nei salotti e nelle camere da letto dove, accanto ad ogni letto, era collocata una complessa scatola di interruttori grazie ai quali era possibile accendere luci, aprire porte e suonare campanelli. Il commento di Marconi fu: “Che strano! Un pittore di genio che perde tempo con questi aggeggi”. Furono proprio quegli aggeggi a far dimenticare a Michetti l’ode di Romualdo Pàntini.

A Marconi inventore italiano

Qual fremito indistinto
rapido come dardo,
sicuro come il fato,
nuovo del genio afflato
invisibile al guardo,
or la materia ha vinto?
Qual purissimo istinto
rimbalzò dagli abissi
che i pelaghi trascorre
che trascorre le forre
che i divieti ha rescissi
dello spazio e de’ tempi
senza luce d’esempî?

O gran pensiero umano
il vil tramite è infranto,
e all’etere infinito
torni al pulsar di un dito:
ogni gioja ogni pianto
ogni sogno più vano
viola il mondo arcano,
or è fatto universo
messaggio a chi lo spera
e va con la bufera,
va nel cielo più terso,
e si fonde al destino
per l’etereo cammino.

Salve, divinatore!
Salve, spirtale atleta!
Nella notte profonda
che sembra il ver nasconda
ti s’aprì la più lieta
visione d’amore
e sentisti il tuo cuore
palpitar coi fratelli
delle inospiti Sirti,
e gli stellanti spirti
parean dal ciel più belli
sorridere al pensiero
che solcava il mistero.

Nel tuo nome, o Marconi,
il miraggio si assume
di nuove itale sorti.
La madre parla ai forti
figli ch’aureo barlume
caccia in vaghe regioni.
Parla la madre e i buoni
figli treman sommessi
di religion più viva
per la zolla nativa,
tremano per sé stessi,
ed affrettano il giorno
del fiorito ritorno.

Gorgo non prevarrà
sul naufrago assetato,
se di vita gli è scrigno
il tuo magico ordigno.
Sul mar, sul mare il fato
d’Italia avvamperà!
Muto sul ponte sta
di un nume emulo il duce:
e il tacito comando
vibra più che il suo brando
e al conquistato radduce
nel furor dei perigli
i ferrëi navigli!

Torna, o divinatore!
Se la patria infingarda
spinse te pure ad altre
genti più ricche e scaltre
or’attonita guarda.
Risolca i mari, o cuore
alato; al nostro amore
torna per sempre. Roma
su Monte Mario aspetta
d’imporre la più schietta
corona alla tua chioma:
qua ti vuole di Volta
l’anima che t’ascolta!


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