L’11 novembre del 1899, da Vincenzo e Clotilde Anelli, nasceva a Vasto Giuseppe Perrozzi, uno degli ultimi autentici poeti della nostra tradizione popolare.
Appartenente alla classe ’99, Giuseppe Perrozzi, nel 1918, poco più che diciottenne, abbandona gli studi per arruolarsi volontariamente nell’esercito. Il 18 aprile viene inviato al fronte sul Grappa, dove vi rimane fino alla vittoria, annotando scrupolosamente tutte le vicende, pubblicate nel 1974 nell’autobiografico “Diario di Guerra: sul Grappa nel 1918”.
“Giuseppe Perrozzi”, si legge in un articolo del 1966, “in questi anni del dopoguerra, nel ritorno al suo paese che gli dette i natali, forse un po’ deluso ed un po’ amareggiato come tutti coloro i quali hanno creduto in buona fede ad una visione di un’Italia migliore, si è rifugiato nella poesia, nella tradizione, nella storia semplice e suggestiva della sua terra ed è diventato poeta dialettale di una certa tempra, a giudicare dalla sua vasta produzione poetica e dal giudizio veramente favorevole di eminenti cultori in dialettologia. Le sue poesie non hanno alcunché di artificioso e rispecchiano forse per questo, meglio di altre, la voce genuina della nostra gente che nel sangue porta la tradizione di una vena scanzonata e mordace, un po’ burbera ed un po’ faceta”.
In seguito alle dimissioni dell’impiegato Ettore Coletti, Giuseppe Perrozzi, con delibera municipale del 23 luglio 1930, viene nominato “Applicato di Segreteria” presso il Comune di Vasto, con uno stipendio di organico di L.6000 annui.
Tra le poche carte conservate nell’Archivio Storico “Casa Rossetti”, si conservano due lettere a firma del poeta vastese. Nella prima del 12 settembre 1930, chiede un permesso per assentarsi dal lavoro, avendo ricevuto ordine dal superiore del Comando della 137ª Legione di presentarsi in servizio il giorno 13 settembre per frequentare a Mirandola, in provincia di Modena, un corso speciale della durata di quasi due settimane. Nella seconda, del 22 ottobre dello stesso anno, Giuseppe Perrozzi chiede al Podestà Pietro Suriani il permesso di assentarsi dall’ufficio nei pomeriggi di martedì e giovedì, perché deve recarsi all’Istituto Commerciale “N. Paolucci” per insegnare.
Nel frattempo, qualche mese dopo, nel maggio del 1931, il Comune bandisce un concorso per la nomina del Vice-segretario e di due archivisti. Ma ritenuta la necessità di nominare, in via provvisoria fino all’espletamento del concorso, un archivista con le funzioni di capo della ripartizione del 5° settore, comprendente Stato Civile, Leva, Anagrafe e Statistica, per mantenere il buon funzionamento del servizio, nomina Giuseppe Perrozzi a ricoprire tale carica, perché di tutti gli applicati di segreteria è l’unico ad avere il diploma di licenza di maturità classica.
La sua raccolta poetica più importante è senz’altro Li piaghe di lu Uaste, pubblicato per i tipi Arte della stampa nel 1946. Di rilievo anche i volumi Dicémele a la nostre (1966), con la traduzione di dialetto abruzzese di alcuni canti della Divina Commedia, e Tempi lontani, poesie in tono minore ma piene di ricordi (1970). Nel 1969 ha curato la pubblicazione Luigi Anelli, nella vita e nelle opere, con la raccolta completa delle opere dialettali ed è stato uno dei principali promotori per l’erezione di un busto in suo onore nella villa comunale (purtroppo trafugato negli anni ‘90).
Chiudiamo con un breve ricordo d’infanzia, scritto dal Perrozzi per una pubblicazione “Vasto 1966”, dove ci descrive la Marina dei primi anni del Novecento:
Stabilimento La Sirena di cui parla Perrozzi
“Quando bambino scendevo al mare per tuffarmi, sotto lo sguardo vigile di chi concepiva il bagno come un rito, unico toccasana benefico apportatore di valida salute, avevo la sensazione che qualcosa di nuovo, di attraente, mi fosse riserbato. La traballante carrozza de la Ciacianelle, dai freni cigolanti, ci portava al mare su di una strada brecciosa, polverosa, assolata e questo viaggio, ricordo, era la prima gioiosa, desiderata avventura, mentre mia madre e le mie sorelle recitavano il rosario. La carrozza sorpassava i binari della ferrovia (non esisteva ancora il sottopassaggio) fra sobbalzi da far trattenere il respiro ed eccoci finalmente di fronte al luccichìo del mare. Quando ancora nessuna, dico nessuna delle spiagge abruzzesi era dotata di uno stabilimento balneare, Vasto aveva «La Sirena», una vera primizia, un gioiello a quei tempi, che con 24 gabine su palafitte, dodici per parte, si ergeva a tre metri circa dal pelo d’acqua. Una rampa d’accesso a mò di pontile, s’inoltrava nel mare e finiva in una spaziosa rotonda. Quest’impianto, concedeva ai vastesi la possibilità di fare i bagni. Dentro ciascuna gabina, si apriva una botola dalla quale partiva una scaletta che poggiava sul fondo del mare”.
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