martedì 1 novembre 2011

La Commemorazione dei Defunti: l'antica tradizione de "L'Alme di li Murte" a Vasto



di Lino Spadaccini

Come da tradizione, nella giornata dedicata alla commemorazione dei defunti, il nostro arcivescovo Mons. Bruno Forte, alle ore 15, presso l’ingresso del cimitero, presiederà la concelebrazione eucaristica insieme ai sacerdoti della città.
Sono tante le persone che in questi giorni si recano nel cimitero per portare i fiori e rivolgere una preghiera ai propri cari ed anche ai conoscenti che hanno accompagnato la loro vita.
Anticamente le famiglie vastesi si preparavano a questa festa verso la fine di ottobre, quando spogliavano i giardini per preparare corone, ghirlande, croci e cuscini di fiori per adornare le tombe dei loro cari. Ai fiori si accompagnavano i lumi realizzati con vasi di creta, bicchieri con olio d’oliva, stoppini e lumini di cera, lampade ad acetilene o candele.
Anticamente di questi giorni”, ricordava Francesco Pisarri sulle pagine de Il Vastese d’Oltre Oceano, “le massaie prendevano dei grandi cassoni in cui si conservavano per la famiglia, manciate di legumi e li lessavano, mischiati insieme; e tutti di famiglia ne prendevano; e ne prendevano gli amici e se ne davano ai poverelli che venivano a chiedere l’elemosina per l’anima dei morti. Anzi quegli stessi legumi allessati si chiamavano eufenicamente «l’alme de li murte». E poiché fra essi abbondavano le fave, chissà se questo antico rito non traesse origine da quello antichissimo romano, per cui il «pater famiglias» accorgendosi che la sua casa era invasa dalle larve (o spiriti), per calmarle e allontanarle faceva suonare come un gong, dei vasi di rame e girava tutta la casa dicendo preghiere e scongiuri e gettandosi dietro le spalle delle fave nere, che andava man mano mettendosi prima in bocca e insalivandole”.
Nella notte tra il primo e il due novembre, le massaie lasciavano una conca ricolma d’acqua, “perché i poveri morti avessero agio di andare a bere e di rinfrescarsi le arse labbra e le visceri brucianti”.
Francesco Pisarri ricorda ancora quando il primo novembre i ragazzi compravano delle pipette di creta con le cannucce colorate di rosso, verde o turchino e vi fumavano “lu spichifinucchie”, cioè i semi del finocchiastro. Questi giovinastri se ne andavano verso il cimitero, fumando la loro pipetta, ad imitazione degli adulti, fermandosi ad acquistare lungo la strada le caldarroste.
Chiudiamo con un bel sonetto di Luigi Anelli, dal titolo “L’Alme di li murte”, che ci descrive l’atmosfera che si respirava in questo giorno di festa tra mendicanti, ragazzini chiassosi e il via vai della gente in visita ai propri cari:
Lu pòpele ci arréiv’ a ppricissiìune
Dändr’ a lu Quambesand’ allumunete,
e a llongh’a llonghe pi’ li rasilìune
véite sinocch’ e fiùre spalijete.

‘M mèzz’ a lu vussa vîsse sinde hìune
che štrëlle ca l’ à l’ ome pizzichete;
‘n artire cuffujá du’ cafìune
che ppiágnen’ a ‘na cráuce aggiunucchiete.

Ma ‘la bbardasciarë’ fa cchiù rrubbelle:
chi scappe, chi a li fosse s’ annascânne,
chi fume l’ánis’ a la pipparelle.

Pùvere murte!... Aväit’ ujje li réuse:
ma chi vvi fa, se mangh’ all’ addre mânne
vi l’ ome dà nu qquáune di ripéuse?!...



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