di Lino Spadaccini
Duecento anni fa, il 25 marzo 1811, l’astronomo francese Honoré Flaugergues, avvistò per la prima volta una straordinaria cometa, chiamata comunemente la Grande Cometa del 1811 (C/1811 f1), una delle più grandi e luminose di tutti i tempi.
La cometa, ben visibile anche ad occhio nudo, rimase visibile per circa 260 giorni. Il diametro del suo nucleo venne stimato in 30-40 chilometri con una coda lunga 100 milioni di chilometri.
L’evento straordinario, costantemente segnalato sui giornali dell’epoca, ispirò pittori e scrittori: Lev Tolstoi la citò nel suo romanzo Guerra e Pace; Napoleone Bonaparte la ritenne di buon auspicio per la sua campagna in Russia, mentre il nostro Domenico Rossetti, fratello di Gabriele, si cimentò con il seguente sonetto:
S’io, Te mirando, presto a Urania fede,
È il Sol che t’orna di que’ crin lucenti;
Nè d’infausti sei tu sognati eventi
Terribil Nunzio, come il vulgo crede.
Sembri terraqueo globo a chi ben vede,
Ch’or affretti il suo corso, ed or lo allenti,
E sei tu forse d’animai viventi
Per ellisse vagando immensa sede.
Vedrà chi mira dilassù ver noi
Lucido punto, o pur meteora vana,
Visibil prima, non visibil poi.
Nè sa (tanto a idearlo è cosa strana!)
Che quel punto sì lieve agli occhi suoi,
È dove alberga la Superbia umana.
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