sabato 26 febbraio 2011

Verso il Carnevale : le origini della "Storia di Carnevale"

di Lino Spadaccini
Mancano solo pochi giorni al Carnevale, ma prima di gustarci la nuova Štorie scritta dal poeta Fernando D’Annunzio, approfittiamo dell’occasione per ripercorrere la storia e i personaggi che hanno animato questa bella tradizione carnascialesca vastese.
Letti o cantati, questi componimenti popolari sono stati portati avanti e tramandati di generazione in generazione, dalla gente del popolo. Persone semplici e argute che animavano le feste di carnevale con le pubbliche recite o sotto forma di cantata in versi, per lo più ottonari e quasi esclusivamente dialettali, come forma di intrattenimento goliardico e umoristico.

Versi di Antonio Rossetti

La tradizione vuole che durante le domeniche precedenti l’ultimo giorno di carnevale, lungo le strade sfilano cortei mascherati che procedono a coppia. Una decina in tutto, queste coppie sono formati da giovani che portano a braccetto altri giovani vestiti con abiti femminili. Nelle varie piazze, i figuranti si dispongono in cerchio e accompagnati dal suono di una fisarmonica, ogni coppia avanza verso il centro e canta una strofa de “La Štorie”. Di solito le ultime due strofe vengono cantate da tutti in coro. I soggetti preferiti sono gli avvenimenti straordinari (come ad esempio nel 1910 per l’apparizione della Cometa di Halley), patriottici (come nel 1912 per la conquista della Libia) oppure prendendo spunto dai semplici fatti di vita quotidiana, dai personaggi più in vista o curiosi della città ed anche da storie con intrecci amorosi, conditi con un pizzico di pepe. Al termine dell’esibizione, il capo comitiva ringrazia il pubblico presente, chiede scusa per eventuali allusioni sarcastiche rivolte a personaggi del luogo, e da appuntamento all’anno successivo.
La mancanza di riferimenti storici certi non ci permettono di risalire alle origini de “La Štorie”. Tuttavia, alcune pagine manoscritte, conservate presso l’Archivio Storico a Casa Rossetti, ci riconducono ad un primo approccio verso questa forma di poesia, di cui esponenti indiscussi sono Antonio Rossetti e Michele Genova.
Di animo nobile e gentile, Antonio Rossetti, come i fratelli Gabriele e Domenico, amava cimentarsi nella nobile arte della poesia, definendosi “incolto natural vate”, infatti, nonostante la mancanza di un’istruzione adeguata, si cimentò, con discreto successo, in una poesia semplice e spontanea ma, nello stesso tempo, arguta e pungente prendendo spunto dagli avvenimenti paesani. Se lievi riferimenti carnascialeschi si possiamo ritrovare nell’atto unico della Farsa Bernesca, in dialetto napoletano, con i personaggi Pulcinella, il Mago e la Strega, “Il Ritorno di Carnevale dal suo esilio”, non lascia dubbi sul tema carnevalesco. Rappresentato a Vasto nel 1814, su musica di Domenico Casilli, la scenetta in lingua, rappresenta un’allegoria sul Carnevale che, dopo un anno di lontananza ritorna “tutto smargiasso” per “il sospirato giorno concesso a riabbracciarci”, e alla fine finisce tutto all’osteria davanti ad un buon bicchiere di vino.
Versi più interessanti e spontanei, anche con riferimenti a fatti quotidiani o a personaggi, sono le occasioni d’incontro con l’allegra compagnia. Ne sono l’esempio il Dies illa de Cittadini di Vasto, oppure il “Brindisi recitato in un pranzo offerto dal Padre Guardiano nel Convento di S. Onofrio”. Ecco alcuni passi: La mia Musa, no, non langue! / Farò scorrer qui del sangue! / vegg’io mai nell’Atmosfera!... assiso / Su d’un gruppo di nubi in aria corre / Il gran Pudente! Ei già s’arresta, e fiso / Vasto guata, e lui così discorre: / Mia Patria Istonio / Rossetti Antonio / è un Pulcinella, è un Pantalone / è un Brighella, è un reo buffone. Tommasi è grande, / e su te spande / Gloria e fulgore / e immenzo onore!
Versi di Michele Genova
Molto interessante anche  la figura di Michele Genova, valente epigrammista, capace di commentare in maniera pungente e con pochi versi, i principali avvenimenti della nostra città.
In merito ad un ritratto di Antonio Rossetti eseguito da Filippo Palizzi, Michele Genova disse: Questi è Rossetti, esclama ognun rapito; / Tal delle tinte è il sovrumano accordo, / Tutto il pittor gli diè, fuorché l’udito, / Per non opporsi a Dio, che lo fè sordo. In un’altra occasione, dopo una ordinanza del Sottintendente Nicoletti per il Giovedì Santo del 1851, in cui proibì ai vastesi di portare la barba, disse: A seconda degli ordini emanati / Pochi saran Giudei, molti Pilati!. Per un sindaco non proprio capace disse: Se Manhes per le sue gloriose gesta / Fu di civica lapide onorato, / Ciccio, che per la patria ognor si presta, Sarà da lei senz’altro lapidato!.
Purtroppo di tutta la sua raccolta di epigrammi rimane ben poco, in quanto negli ultimi anni di vita, le facoltà mentali ormai l’abbandonarono, e un giorno diede fuoco alla ricca biblioteca di famiglia distruggendo quasi tutto, compreso la sua preziosa raccolta di epigrammi.
Conservata presso l’Archivio Storico a Casa Rossetti è il volumetto “La Peppeide”, un originale e strambo poemetto diviso in 35 epigrammi che ruotano intorno alla figura di Peppe. Ecco un piccolo saggio: Permetteva un antico rituale / Mascherarsi soltanto in carnevale, / Dacchè siano mascherati in tutto l’anno, / Maschere in carneval più non si fanno. / E’ nato in mezzo ai cavoli / Un altro cavoletto, / E tutti m’assicurano / Ch’è un cavolo perfetto / Ma poter decidere, / Vorrei sapere anch’io / A chi più rassomigliasi / Al padre od allo zio?

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