Sessanta anni fa, il 19 novembre 1950, moriva a Napoli Francesco Giacomucci, apprezzato magistrato, poeta e conferenziere.
Nato a Vasto il 12 settembre 1872, si trasferisce nella città partenopea dove prosegue gli studi e consegue la laurea in giurisprudenza. Dal 1894 comincia a collaborare con Il Corriere di Napoli, diretto da Andrea Cantalupi. Su invito di Salvatore Di Giacomo, che ne aveva apprezzato le sue facoltà poetiche, comincia a scrivere, per la rubrica dei “Mosconi”, vari componimenti in rima, che ottengono un buon successo per la loro fattura ed ispirazione lirica. Dopo questa prima collaborazione, Giacomucci passa all’Occhialetto, giornale d’arte e mondanità, dove si mette in evidenza per una serie di sonetti sulla Manon Lescaut di Giacomo Puccini.
Nel 1895 vede la luce la sua prima raccolta di liriche: Caro Infirma. “In Caro Infirma”, scrive Giovanni Peluzzo sulle pagine dell’Histonium, “edito nel 1895 dal Bideri di Napoli, il poeta è preso, nel suo ardore giovanile, dal richiamo prepotente dei sensi che lo spinge a cantare l’amore come fonte del soddisfacimento di una carne inquieta; ma benché dal titolo di questa raccolta, Caro Infirma, si è portati a pensare ad un assoluto dominio della carne sullo spirito, pure nei suoi versi, se c’è l’esaltazione della bellezza fisica della donna, questa scevra di ogni bassa sensualità, si risolve in una piena consapevolezza estetica”. Lusinghieri i commenti di giornalisti e personaggi illustri quali Vincenzo Morelli (Rastignac), il Panzacchi, Antonio Fogazzaro (“Ella è giovane, ha ingegno, troverà che non è necessario diventar puri spiriti per far dell’arte umana e grande”), Felice Cavallotti (“…e di là viene tanta poesia di umano pianto che non può non parlare al poeta di Caro infirma”) ed Enrico Nannei.
Nel 1897 Francesco Giacomucci pubblica Veli, opera più matura, dove traspare la tristezza d’animo del poeta.
Entrato nella magistratura, in breve tempo ne raggiunge i gradi più alti. Dapprima a Tollo, in provincia di Chieti, dove segue un’inchiesta per il condannato Camillo Sciola, accusato di omicidio a scopo di furto: dietro proposta del magistrato vastese, il condannato viene graziato e rimesso in libertà. Per circa un trentennio opera in Puglia tra Trani e Bari.
Di rilievo il discorso inaugurale dell’anno giuridico pronunziato alla Corte d’Appello di Bari l’11 gennaio 1928, dove per la prima e unica volta nella sua carriera, pronuncia parole di stima per l’operato di Benito Mussolini. “Questo doveroso e sentito omaggio al Duce”, si legge su La Tribuna dell’aprile del 1938, “è l’unica manifestazione politica della sua carriera di magistrato, costretto dalla delicatezza del suo ufficio a rimanere fuori le competizioni di parte. È perciò che la sua poesia non ha avuto mai carattere politico. Una sola eccezione la fece ai primi tempi della sua carriera, allorché su invito di Nicola Zingarelli compose un inno A Vittorio Emanuele II…”.
Francesco Giacomucci ha sempre mantenuto un legame forte con la nostra città: nella sua villa vicino la chiesa di San Michele nascono alcune composizioni poetiche; su invito della Congrega del SS. Sacramento in San Pietro scrive un’epigrafe per l’Ecce Agnus Dei di Filippo Palizzi, ma tutto il suo amore per la città natìa traspare sul lungo articolo, pubblicato in due puntate, nell’ottobre e novembre 1898, sulla rivista Arte e Natura, dal titolo Vasto degli Abruzzi. Come spiega l’autore in una nota autobiografica “Nel frattempo (fine del 1895) Francesco Vallardi, proprietario della rivista mensile Natura ed Arte, bandì un concorso per scegliere la migliore novella storica e la miglior descrizione di paesaggio italiano…Io ne ebbi notizia tardiva, nel dicembre di quell’anno, e mancava qualche decade alla scadenza dei termini fissati per la presentazione dei lavori: risolvetti rapidamente di parteciparvi con la descrizione della mia incantata plaza natia (Vasto in Abruzzi). I concorrenti furono quasi un centinaio: il mio lavoro venne scelto per la stampa…è una prosa passionale, calda, con la quale la bellezza della mia terra furono da me esposte quasi in adorazione, come se avessi scritto in ginocchio”.
Lino Spadaccini
Nessun commento:
Posta un commento