La “disavventura” capitata al Sindaco di Napoli “Rosina” Russo Jervolino, mi ha riportato alla mente un episodio che mi capitò tanti anni orsono.
All’epoca frequentavo il Liceo Scientifico ed abitavo dietro il distributore (allora) Api di corso Mazzini. Precisamente in via Catullo. La strada che percorrevo nelle luminose giornate di primavera era quella che dal liceo, attraverso via dei Conti Ricci portava al Cimitero per poi, percorso il ”carducciano” duplice filare di cipressi del suo viale, sboccare in corso Mazzini e quindi giungere a casa. Quel giorno, avevo appena passato il cancello secondario del cimitero storico, quando sento alle mie spalle una voce che chiamava “giuvinò … giuvinò”. Un brivido dietro la schiena mi “congelò” e mi bloccai atterrito. Nonostante l’orario, qualcosa dopo l’una, nonostante la splendida giornata di sole quella voce mi aveva terrorizzato. “N’ave paura ca so vive!” continuò quella voce, con un dialetto tipico e con quella sonorità vastarola che all’epoca era ancora comune mentre ora è quasi scomparsa. Mi voltai con circospezione e vidi una vecchietta dietro il cancello. La povera malcapitata mi disse sconsolata: “ Pe piacere, giuvinò, aiutam a asci da ecche. Nin ci sta nisciune”. Scavalcai (meglio: “scalvacai”) facilmente il cancello e, girando tra loculi, tombe e sepolcri, tra fotoceramiche, fiori e lumini, trovai una scala. L’appoggiai al muro di cinta e la vecchietta, rassegnata al suo destino, salì fino alla sommità di questo muro, quindi aspettò che collocassi la scala all’esterno del cimitero. - Se avessi avuto una macchina fotografica avrei scattato la foto del secolo. Una donna anziana in piedi sul muro di cinta di un cimitero non è cosa consueta. - Infine l’aiutai a scendere.
Si diede una “rezelata” e mi ringrazio dicendo: “Scibbendette, se nin passeve tu com’ariscive? Pozz’avè le benediziune!”. La salutai, riposi la scala nel cimitero, infilandola attraverso le sbarre del cancello, e andai a pranzo. Probabilmente il custode dell’epoca avrà bestemmiato e recitato i “Dies illa”, non trovando la scala al suo posto, ma io non pensai nemmeno per un frammento di secondo di riporla dove l’avevo presa.
Devo ringraziare il Sindaco di Napoli che con la sua disavventura ha fatto riaffiorare in me questo ricordo e per l’occasione reciterò un “eterno riposo” per quella vecchietta. Non conosco chi fosse ma non è importante. Spero solo che oggi come oggi, passando da quelle parti, non mi senta chiamare: “giuvinò … giuvinò”. Usassero il telefonino.
All’epoca frequentavo il Liceo Scientifico ed abitavo dietro il distributore (allora) Api di corso Mazzini. Precisamente in via Catullo. La strada che percorrevo nelle luminose giornate di primavera era quella che dal liceo, attraverso via dei Conti Ricci portava al Cimitero per poi, percorso il ”carducciano” duplice filare di cipressi del suo viale, sboccare in corso Mazzini e quindi giungere a casa. Quel giorno, avevo appena passato il cancello secondario del cimitero storico, quando sento alle mie spalle una voce che chiamava “giuvinò … giuvinò”. Un brivido dietro la schiena mi “congelò” e mi bloccai atterrito. Nonostante l’orario, qualcosa dopo l’una, nonostante la splendida giornata di sole quella voce mi aveva terrorizzato. “N’ave paura ca so vive!” continuò quella voce, con un dialetto tipico e con quella sonorità vastarola che all’epoca era ancora comune mentre ora è quasi scomparsa. Mi voltai con circospezione e vidi una vecchietta dietro il cancello. La povera malcapitata mi disse sconsolata: “ Pe piacere, giuvinò, aiutam a asci da ecche. Nin ci sta nisciune”. Scavalcai (meglio: “scalvacai”) facilmente il cancello e, girando tra loculi, tombe e sepolcri, tra fotoceramiche, fiori e lumini, trovai una scala. L’appoggiai al muro di cinta e la vecchietta, rassegnata al suo destino, salì fino alla sommità di questo muro, quindi aspettò che collocassi la scala all’esterno del cimitero. - Se avessi avuto una macchina fotografica avrei scattato la foto del secolo. Una donna anziana in piedi sul muro di cinta di un cimitero non è cosa consueta. - Infine l’aiutai a scendere.
Si diede una “rezelata” e mi ringrazio dicendo: “Scibbendette, se nin passeve tu com’ariscive? Pozz’avè le benediziune!”. La salutai, riposi la scala nel cimitero, infilandola attraverso le sbarre del cancello, e andai a pranzo. Probabilmente il custode dell’epoca avrà bestemmiato e recitato i “Dies illa”, non trovando la scala al suo posto, ma io non pensai nemmeno per un frammento di secondo di riporla dove l’avevo presa.
Devo ringraziare il Sindaco di Napoli che con la sua disavventura ha fatto riaffiorare in me questo ricordo e per l’occasione reciterò un “eterno riposo” per quella vecchietta. Non conosco chi fosse ma non è importante. Spero solo che oggi come oggi, passando da quelle parti, non mi senta chiamare: “giuvinò … giuvinò”. Usassero il telefonino.
Arch. Francescopaolo D'Adamo
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