domenica 5 febbraio 2012

Come ci si riscaldava a Vasto quando non esistevano i termosifoni?

Il camino, la stufa a legna, il braciere, lo scaldaletto: la vita nelle nostre case fino a mezzo secolo fa
Ricordi di F.P.Cicco Spadaccini

I nostri amici più giovani devono sapere che in quegli anni i termosifoni dovevano ancora arrivare e d'inverno ci si scaldava con strumenti che, secondo me, favorivano i legami famigliari.
LA STUFA A LEGNA.In campagna c'era il camino e per fortuna ce ne sono ancora, anche se talvolta puramente decorativi. In città invece la regina era la stufa a legna. Quella verniciata bianca come le stoviglie smaltate; con i 3 sportelli piccoli, il braciere la presa d'aria e la raccolta cenere; e quei 2 grandi, il forno e l'asciugalegna sotto. Sopra, quella bella piastra di ghisa scura, con tanti cerchi concentrici che si toglievano uno per uno per adattare il foro al diametro della pentola. Da un lato, c'era un serbatoio per l'acqua calda. Tutt'ora mia madre rimpiange quella stufa che praticamente era una co-casalinga.
I primi gesti delle mamme la mattina erano svuotare la cenere e accendere la legna nel primo sportello. Noi eravamo ancora a letto, all'ultimo sonno, e sentivamo quei rumori lontano, dalla cucina. I legnetti piccoli che venivano spezzati e messi saggiamente a tendina su un foglio di giornale per attivare il primo fuoco, poi il rovistare nel mucchio della legna per cercare i pezzi più secchi. Qualche minuto dopo i primi schiocchi della fiamma che partiva e lo sportello che si chiudeva.
Nel serbatoio c'era ancora acqua tiepida della sera prima, e così le mamme la portavano in bagno per lavarci.
Quando ci alzavamo si andava subito in cucina dove prima di tutto sentivi l'odore leggero del fumo di legna e quello ferroso della piastra che si stava scaldando.
Sulla piastra c'era già il pentolino (lu cucummelle) con il latte a bollire, e sul tavolo, in fila, tazze quasi sempre spaiate con grosse fette di pane da spezzare nel latte.
Mentre già cominciavano a rassettare, le mamme, mentre accudivano ai fratellini più piccoli, ti urlavano: abbate a lu latte, ca n'a rivolle. E noi preoccupati della responsabilità è curr ca sta vullenne.
A pranzo, quando si rientrava da scuola, la cucina era una fornace. Sulla piastra 2 o 3 pentole, e nel forno quasi sempre qualcosa da sgranocchiare; specialmente le patate a spicchi grossi, mezzo bruciacchiati, immersi in abbondante olio e pieni di rosmarino. Abbate a tà si ti peili, nun vuie sapè niende.Il pomeriggio sulla piastra ci si mettevano le castagne ad arrostire, e anche i ceci e le fave. Proprio perchè c'era sempre il forno disponibile, si facevano spesso i dolci in casa. Per dare un profumo alla cucina, sulla piastra mettevamo le bucce delle arance e dei mandarini.
LU VRACIRE.Oltre alla stufa, diciamo nella zona giorno, c'era lu vracire. Era una pedana circolare in legno, con un grosso foro al centro dove si infilava il braciere di rame. Attorno si mettevano le sedie e si stava lì assieme, a raccontare storielle o a giocare a carte. Accendere il braciere era tutt'altra cosa che la stufa.
Qui occorre citare un personaggio oscuro, non di fama, che era il carbonaio. Mi riferisco a quello che aveva il magazzino, una specie di antro di polifemo tutto nero e fuligginoso, a Porta Nuova all'inizio di Corso Dante. Era un pover'uomo cieco, che tutte le mattine delle stagioni fredde, girava sul presto tirando il suo carretto e gridando (non l'ho mai dimenticato) "la carbonella a 3 e cinquantaaaaa", e ogni tanto suonava una trombetta d'ottone. Era un po' la sveglia del quartiere. Era cieco e quindi l'accompagnava un ragazzo, nero di carbone come lui, che gli faceva da guida; sapevo che era il figlio; chi altro poteva sottostare a quel lavoro. Lui guardava sempre verso l'alto, come chissà a cercare instancabilmente la luce; gli occhi gli si arrossavano per la polvere e le lacrim' che scendevano continuamente gli lavavano il viso lungo il percorso e così sotto gli occhi si formavano trame chiare in contrasto col volto nero. Aveva un aspetto spaventoso eppure era una persona di gran cuore; mia nonna diceva che non l'aveva mai sentito bestemmiare e ne aveva di motivi per come era combinato.
Le donne scendevano con vecchie pentole e ordinavano la carbonella; questa era di due tipi. Uno fatto di stecchetti piccoli e l'altro sottile come fosse macinato. Gli stecchetti servivano a fare il cuore della brace, mentre quella sottile doveva fare da copertura, come lo zucchero a velo sui dolci.
Il braciere partiva di pomeriggio e non vi dico quale divertimento con quella brace. Sul tarallo di legno c'era un vecchio cucchiaio che serviva appunto a sbraciare, ma l'operazione doveva essere eseguita da mani abili altrimenti la brace si consumava subito e bisognava rifornire di carbone: operazione non consigliabile per gli inesperti. Verso sera c'era chi sotto la cenere metteva una patata intera oppure, avvolto nella carta oleata, un pezzo di fegatazzo. Devo dirvi io quello che si sentiva come odore? Dopo cena ci si poteva mettere anche a scaldare il caffè o l'orzo, direttamente nella ciucculattira. C'era però un piccolo problema per le donne, specialmente le ragazze. Stare troppo a lungo vicino al braciere faceva uscire macchie rosse sulle gambe; se ricordo bene si chiamavano le vacche. Erano veramente antiestetiche e noi maschietti prendevamo in giro quelle che le avevano. Anche gli uomini erano soggetti, ma i pantaloni coprivano tutto.
Assieme al braciere da soggiorno, si fa per dire, si accendevano uno o due assi di coppe, quante le stanze da letto. Vere opere d'arte, in coccio o ceramica a forma appunto dell'asso di coppe del tressette. Ora, chi ancora li possiede, li adopera per fioriera.
Per finire questa cartolina, vorrei ricordare lo scaldaletto: un trespolo che mi ha fatto sempre pensare ad una slitta con le renne. Fatto di quattro assi di legno proprio come una slitta da neve ma con quattro sci. Al centro si metteva un piccolo braciere, attivato ma senza brace a vista, poi si infilava nel letto un'oretta prima di coricarsi. Quando mi capitava di entrare nella camera dei nonni la sera, mi sembrava che nel lettone dormisse un uomo con un pancione enorme. Me ne sono ricordato anche da studente e così mi sono avventurato a cercare di capire come facesse la brace a covare così a lungo senza ricambio di ossigeno. E' rimasto un mistero.
F.P. Cicco Spadaccini

3 commenti:

maria ha detto...

Ho dei bei ricordi, dai nonni e comunque da bimba, delle stufe a legna....
la mia nonna campana, aveva una di quelle stufe bianche, quasi, se non identica alla foto, era l'angolo cottura, ricordo alcune volte, si metteva la "callara" piccolina sulla stufa, senza i dischi, con la fiamma viva sotto...
Ho avuto la fortuna di bere il latte fresco appena munto e messo a bollire su quella stufa, di capra o di mucca, non ricordo, ma di mucche in giro c'è ne erano tante... :) Specie in mezzo alla strada fuori dal paese...
L'altra nonna aveva prima il caminetto, e poi la stufa a legna, di quelle lunghe e tonde, che ho adoperato anche io qui, prima di avere il gas o comunque la caldaia con le bombole a gas.... Bei ricordi anche quelli, difficili da dimenticare visto che abito al terzo piano, senza l'ascensore....
E sia per la legna prima, che per le bombole, i bomboloni di gas dopo, è proprio difficile da dimenticare... Ma era bello avere la stufa che per problemi di riscaldamento, era situata nell'enorme corridoio con lo scappatoio del fumo lungo tutta la cucina... A pensarci bene, mi manca un po' quel periodo dei miei primi anni di residenza qui dove vivo e del passato....
A montenero Domo, dove saltuariamente ho vissuto per un anno, abitavo in una casa con una stufa a legna con forno ecc. collegata ad un impianto di riscaldamento... Belli anche quei momenti....
Scaldano il cuore...
Grazie per avermi fatto rivivere questi ricordi... :)

maria ha detto...

Fortuna che sono migliorata un pochino nella scrittura e punteggiatura... :)
I ricordi del passato, però, sono sempre nitidi ed immutati!

NICOLA D'ADAMO ha detto...

Con questo freddo, ho pensato di rilanciarla! Adesso anche su fb.