martedì 27 ottobre 2009

Vasto e le sue frane ai tempi di Pietro Muzii Sindaco

Grazie alla pianta a volo d’uccello del 1793, conservata presso la sala azzurra del palazzo di città, possiamo avere una buona visuale di com’era strutturata Vasto al tempo del sindaco Pietro Muzii. Pressoché immutata dalla metà del quattrocento, ai tempi di Giacomo Caldora, fino alla prima metà dell’800, quattro erano i punti di accesso all’interno della cinta muraria: Porta Palazzo, Porta Catena o di S. Maria, Porta Castello, abbattuta tra il 1828 ed il 1832, e Porta Nuova. La parte orientale della città, che guarda verso il mare, era la meno accessibile da parte di eventuali attacchi o incursioni, per la presenza del dirupo e di alte mura finestrate, che salivano più in alto della strada detta delle Lame. Ad occidente, a protezione della città, vennero erette alte mura, dette degl’Inforzi, e cinque torri, quelle di Damante (o S. Spirito), Diomede (o del Moro) e di Bassano, tuttora esistenti, e quelle di Moschetti e Bacchetta, situati nei due angoli opposti al lato meridionale della città, oltre al possente Castello Caldoresco.
Da un punto di vista fisico, il punto più debole della nostra città ancora oggi è rappresentato dal costone orientale: alla bellissima balconata che si può godere dalla chiesa della Madonna delle Grazie sino al rione S. Michele, corrisponde una situazione morfologica poco felice, con il terreno in lento ma continuo movimento verso il mare. Numerosi sono gli scoscendimenti registrati negli annali di storia vastese, fino all’ultimo del 1956, il più grave di tutti, che ha provocato il cedimento di una fetta della città, con il crollo di alcuni palazzi importanti, ed ha costretto le autorità alla sofferta demolizione della storica chiesa di San Pietro.
Quasi duecento anni fa, nel maggio 1815, Pietro Muzii denunciò lo stato pericolante delle mura quasi cadenti, in particolare quelle nella parte orientale della città, sollecitando l’urgenza dei lavori di ristrutturazione per evitare danni maggiori. Il Consiglio dei Decurioni, “conoscendo indispensabile la riattazione prontanea delle dette mura, le quali non solo sono l’ornamento, ma ancora la difesa della Città, la quale nelle vicende dello scorso anno, (si riferisce all’assalto dei briganti) dalle medesime ripete la sua salvezza; e considerando che la prontanea riattazione sia necessaria per prevenire la caduta di porzione di dette mura…”, deliberò i lavori di restauro.
Ma il primo aprile del 1816, i timori dei cittadini si tramutarono in realtà: un lungo scoscendimento di tutta la parte orientale della città (dalla Loggia Amblingh a San Michele) provocò ingenti danni e la distruzione di due fontane pubbliche, tredici casini, le chiese di S. Leonardo, S. Maria della Neve, di Cona a mare e di S. Donato, e tanta paura tra la popolazione che innalzò le proprie preghiere e ripose le speranze verso il Santo protettore. (Su questo specifico evento riferiremo con un ampio resoconto nelle prossime settimane).
Nell’Ottobre del 1826, in sede di consiglio comunale, il Muzii portò nuovamente alla luce il problema delle mura orientali: “Signori. E’ tutta crollante la città orientale delle mura della città, che trovandosi lungo la linea delle così dette Lame… Si chiede l’approvazione urgente del Decurionato per lo stanziamento di 283 ducati, come risulta dalla perizia rilevata da Concezio Beneduci; spesa che si può ridurre a 170 ducati nel caso il Comune fornisse i mattoni e la calce di sua proprietà”. Il decurionato scelse questa seconda soluzione meno onerosa per le casse comunali. Il lungo muro delle lame venne abbassato a petto d’uomo e “col suo scostamento dalle case prossime a porta palazzo un’amena largura si formò”.
Il movimento franoso nella zona delle lame era incessante: le mura collocate sul costone orientale continuavano a lesionarsi ed i continui ed onerosi interventi di riparazione risultavano del tutto inutili: l’architetto Pietrocola ne propose l’abbattimento “convenendo sostituirvi uno steccato di legno per evitare il pericolo di precipitare nel fondo esteriore” e, inoltre, per cercare di fermare il movimento franoso, pensò di collocare nel terreno sottostante delle piante.
Lino Spadaccini

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