lunedì 11 maggio 2009

...E se pagassimo gli incentivi solo ai capaci e ai meritevoli?

IL “MERITO”: CHI ERA COSTUI?
di Nicolangelo D'Adamo
Secondo il vocabolario italiano di Oli-Devoto il termine significa”Conseguimento di quanto consente una attribuzione secondo equità sia di premio che di castigo”. Sembrerebbe quindi di capire che per il “merito” si dovrebbe o “essere puniti” o “essere premiati”, naturalmente “secondo equità”. Anche per Lapalisse dovrebbe essere chiaro. Ma in questo caro Paese che è l’Italia il termine “Merito”, nel dopoguerra, si è caricato di forti valenze politiche (e come poteva essere diversamente…) , anche perché spesso si assisteva a premi e punizioni “per merito” che non tenevano conto dell’”equità”, ma venivano distribuiti per censo o per potentati economici. E così , come spesso avviene in Italia, “con l’acqua sporca si è buttato anche il bambino”: togliamo il merito e così evitiamo discriminazioni o favoritismi. Il cieco furore della caccia al merito, la voglia di cancellarne anche le tracce, ha finito per sopprimere fin’anche la valutazione di meriti “oggettivi”, certificati, che non prevedevano alcun apprezzamento discrezionale. Mi riferisco alla valutazione “Per Merito Distinto” che nella pubblica amministrazione consentiva di accelerare la carriera e arrivare al massimo con qualche anno di anticipo. La valutazione “Per Merito Distinto” altro non era che un riconoscimento ad una seconda laurea, una specializzazione, una abilitazione professionale, pubblicazioni scientifiche, aggiornamento professionale ecc. Insomma si dava un piccolo premio a chi si impegnava un po’ di più e cercava di raggiungere una maggiore qualificazione professionale. In questo caso si premiavano “titoli”con una valutazione oggettiva, non si esprimeva alcun giudizio, e ciò nonostante è stato cancellato anche questo piccolo riconoscimento al “merito”, poco più di un contentino, e si è lasciato alla sola “anagrafe” il compito di diversificare gli stipendi: più sei vecchio e più guadagni, a prescindere dalla “qualità” e dalla “quantità” del lavoro, dalla voglia o meno di “crescere” professionalmente o dalla perdita magari dei requisiti minimi per continuare a svolgere quel tipo di lavoro. Il livellamento così raggiunto, mortificante per qualsiasi categoria di lavoratori, lo Stato e i sindacati sono riusciti a farlo ingoiare alla maggioranza dei lavoratori, fino a narcotizzarli, con due ottime esche: l’inamovibilità (in burocratese si chiama “ruolo”) e l’autoreferenzialità (nessuno viene giudicato per il lavoro che fa). La categoria, prima della narcosi totale, si è fatta un po’ di conti e poi si è detto: “E’ vero che prendo poco e non faccio carriera, ma ho il posto sicuro fino alla pensione e nessuno mi controlla: ci sto” e da quel giorno il motto è diventato “Quieta non movere et mota quietare”, ovvero in dialetto vastese: “passe ugge, ca vè dumane”…
Ditemi di grazia: quale forza politica può oggi far finta di non vedere e non capire la gravità di questa situazione? E se nonostante lo squallore delle norme che permettono la condizione lavorativa appena descritta ancora qualcuno prova a difenderle a cosa dobbiamo pensare? Ad un conservatorismo cieco e masochista, indifendibile, alla folle ignavia di chi non vuole modificare nulla e che certo non appartiene alla tradizione della sinistra e presumo non sia interesse neppure del sindacato “difendere la povertà” e negare ai “capaci e ai meritevoli” (termini usati dal Costituente) un rapido sviluppo di carriera.
Per cominciare potremmo, nel comune di Vasto, pagare gli incentivi solo ai capaci e ai meritevoli e se i sindacati interni si ribellano, denunciarli subito all’opinione pubblica come nemici del merito. Che ne dite? Non sarebbe una “Rivoluzione Culturale” ?

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