di GIUSEPPE CATANIA
Storia, leggenda,
mito, realtà, talvolta sembrano accomunati in taluni fatti del passato e sono
tuttora materia di meditazione e di studio per il mistero che li avvolge e che pure
lascia perplessi nel constatare l'alto grado di civiltà raggiunto dalle genti
antiche che abitarono questa terra.
Parliamo di un
capitolo inedito della storia di Vasto che è connesso al problema archeologico,
materia molto ricca e varia, che basa il suo ragionamento sulla scienza e sul
grado di notevole conquista di cui furono protagonisti i nostri progenitori.
Lo spunto ci viene
dato da. una citazione contenuta a pag. 171 della «Storia di Vasto» di Luigi
Marchesani, a proposito di reperti archeologici affioranti ovunque nel sito ove
esisteva la romana Histonium, ora
Vasto.
«Tombe non meno
volgari scoprironsi - dice Marchesani - ne' dintorni di S.
Martino: correndo il secolo diciassettesimo si smantellò quella in cui Auda
collocò l'urna della dolcissima figlia Eunomia (iscriz. 32): l'urna foggiata a mortaio
con coperchio impiombato, includeva lume eterno, che si spense (se 'l credi)
appena desso e le ceneri sentirono il contatto
dell'ambiente”.
Lo stesso Domenico
Romanelli, insigne storico e serio
ricercatore di notizie dell'antichità, nel
tomo I del volume «Scoverte Patrie» (pag. 204), riferisce sull'episodio
riportando l'iscrizione della lapide:AUDAS EUNOMIAE FIL DULC. “Questa si trovò affissa ad elegante
sepolcro in un
predio, al riferir
del Viti, di S. Martino. Al didentro si rinvenne lucerna marmorea ricoverta di
piombo tuttavia ardente, che all'aprirsi del sepolcro, si estinse”.
Il fantastico
episodio, lascia adito a tante congetture, fino a lasciarci pessimisti, se non
avessimo altre simili testimonianze.
Infatti, verso la
metà del XV sec., mentre, veniva scoperto il sarcofago di Tullia, figlia di
Cicerone, si fece una sensazionale scoperta. Il corpo della fanciulla, ancora
intatto, giaceva immerso in un
liquido trasparente
la cui composizione risultava sconosciuta. E fatto ancora più strano è che, ai piedi del
corpo incorrotto «brillava» una lampada che si spense non appena venne a
contatto dell'aria.
Fantasia? Realtà? Non
sta a noi giudicare, ma è certo che gli antichi già conoscevano il segreto
dell'elettricità o qualcosa del genere, che li metteva in grado di ottenere
luci che durassero in eterno. Ma come siano riusciti a risolvere il problema
della illuminazione, ed a costruire lampade capaci di brillare, è un mistero
ancora insoluto, come un arcano la tessitura panno di amianto, simile a quello
rinvenuto il 25 maggio 1820 in località San Martino, a circa 200 metri dal
Santuario dell'Incoronata, che avvolgeva uno scheletro di epoca romana (v. Il
Tempo d'Abruzzo 26-5-76), Egiziani, Greci.
Romani, usavano
deporre nei sepolcreti lampade illuminanti nella credenza di aiutare i defunti
a trovare la strada per attraversare la «valle delle ombre».
Dopo secoli sì
calcola che circa 1500, di cui si ha notizia, siano le lampade trovate ancora
accese all'apertura di tombe. C'è chi sostiene l'impiego di materiale
radioattivo o di plasma freddo caricate da una batteria a freddo, o qualcosa di
simile, capace di produrre una minima luminosità dalla considerevole
durata, atta a creare effetto di suggestione nei sepolcreti.
Il greco Luciano
(120-180 d.C.) riferisce che, nel corso del suo viaggio a Hierapolis, nella
Siria settentrionale, gli venne mostrato un gioiello incastrato in una testa
d'oro della dea Hera che «emanava una grande luce», tanto che «il tempio
risplendeva come fosse stato illuminato da una miriade di ceri». Nel 1° sec. detta nostra era, Plutarco
ricorda d'aver visto una lampada perpetua nel tempio di Jupiter Ammonis che
ardeva, inesauribile alle intemperie, da molti anni.
Energia radioattiva?
Possibile. Che gli Egizi avessero cognizione ed impiegassero sostanze radioattive
è provato dal fatto che le mummie ed il sistema adatto per giungere alla
conservazione perenne dei cadaveri dei Faraoni, hanno subito un trattamento
«radioattivo».
Zacharia Ghoneim,
archeologo del Cairo ha svelato il mistero della maledizione della mummia di
Tutankamen. La morte di numerosi archeologi non è stata prodotta dalla
«maledizione», bensì da «cancrena atomica» di cui furono oggetto coloro che
ebbero contatti con le mummie.
«Si è constatato
(riferisce Ghoneim) che la pece con cui venivano conservati i cadaveri
attraverso la mummificazione proviene dalle rive del Mar Rosso, e da alcune
regioni dell'Asia Minore e contiene sostanze fortemente radioattive."
Non solo, ma la
radioattività è propria anche alle bende usate per fasciare le mummie. E le
intere camere mortuarie erano probabilmente piene di polvere avente le stesse
proprietà».
Si è voluto, non solo
preservare le salme dal processo di decomposizione, ma punire violatori delle tombe, ricorrendo alla «radioattività». Sostanze radioattive per rendere
incorruttibili i corpi e lampade che rimangono accese per 1500 anni!
Cosa pensare se non
all'energia atomica?
Le moderne civiltà
non hanno ancora prodotto qualcosa del genere e piuttosto si è indotti ad
essere scettici per non apparire inferiori alle conquiste del passato. Però
tutto dimostra che proprie le civiltà antiche insegnano sempre qualcosa
all'uomo d'oggi. Ricordiamo che Tullio, figlia di Cicerone, giaceva immersa in
un liquido trasparente la cui composizione, verso la metà del sec. XV era
ignota, e che ai suoi piedi brillava ancora una lampada. Con quale energia era
alimentata la lampada trovata ancora accesa nel sec. XIX all'interno del
sepolcro di Eunomia, in località San Martino di Vasto?
Quali occulti
elettricisti operavano 2000 anni fa? Gli Etruschi, certo, conoscevano i segreti
ed i principi dell'elettricità; il fatto che le loro abitazioni fossero nei
sottosuolo ci convince a ritenere che sapevano sopperire all'oscurità .
Porsenna, poi,
avrebbe impiegato l'elettricità per rendere innocuo un mostro che minacciava il
suo regno: il mostro si chiamava Volt!
GIUSEPPE CATANIA
1 commento:
Il grande Giuseppe Catania, giornalista e studioso della storia di Vasto, anche stavolta ci regala una "lectio magistralis" sui misteri del passato, lo fa nel momento più indicato: la ricorrenza dei cari Defunti, e ancora egli ferma la nostra attenzione su un fenomeno, storicamente certo, ma allo stato non spiegabile dalla nostra scienza.
Il bel "pezzo" di articolo, riportato dal giornalista Catania, quanto meno fa riflettere il lettore sulla relativa autorità dell'attuale scienza e, di contro, ammirare le belle competenze tecniche degli uomini passato, per tanti versi smarrite nel tempo, e ora per noi incomprensibili, misteriose.
f. mugoni
Posta un commento