venerdì 31 marzo 2017

Ricordo di Franco Malatesta il chitarrista più bravo degli anni '60 a Vasto

Franco Malatesta (1947-2017)
Il 15 marzo se n’è andato in silenzio  a 69 anni Franco Malatesta, sconosciuto a molti, ma non ai “ragazzi degli anni ’60”.
All’epoca operavano a Vasto 34 band locali, ma il solista più bravo era Franco Malatesta, che viene ricordato come leader di due complessi “I Modesti” e “I Nobili”. 

Del primo facevano parte, oltre Franco, il fratello Lino Malatesta, Peppino Di Cicco, Tonino Masciale e il cantante Pino Fariello.
Il vecchio gruppo si sciolse nel 1965 e  il nuovo si chiamò “I Nobili”, con i fratelli Malatesta, Alfonso Colantonio, Michele Guglielmucci e come cantanti il duo Nicola D’Adamo e Pino Castaldi. Durò un paio di anni e poi rimase Guglielmucci utilizzò lo stesso nome con altri componenti.

Negli anni successivi Franco Malatesta veniva chiamato da tutti come solista, ma non ebbe sempre un gruppo stabile.

Franco, anche se autodidatta,  era riconosciuto da tutti come il miglior solista locale:  aveva un talento naturale, “la chitarra la faceva parlare”!  Bravissimo negli assoli, aveva una capacità di improvvisazione straordinaria, a livelli mai raggiunti da altri all’epoca.

Ci fa piacere che l'amico prof. Luigi Murolo che
nel 1992 pubblicò un interessante volumetto sulle band degli anni 60, dal titolo "Cominciammo a suonar le chitarre"*, abbia scritto un ricordo per lui.
* (Il suddetto volume fu pubblicato dall'assessorato alle politiche giovanili del Comune retto da Lucio Basso Ritucci, sindaco Antonio Prospero) 
NDA

Un ragazzo degli anni Sessanta
di Luigi Murolo

Un ragazzo degli anni Sessanta
di Luigi Murolo

Curvo, ripiegato su stesso. Quasi una L rovesciata con una sigaretta in mano. Di fatto, un corpo tormentato dal quale una flebilissima voce si era levata biascicando un meccanico «ciao». Un «ciao» – aggiungo – cui, ancora prima di rispondere, mi aveva posto un’inquietantedomanda: «Ma è lui? È davvero lui?». Volevo fermarmi. Scambiare quattro chiacchiere. Ma niente. Aveva continuato a percorrere con  lo stesso passo cadenzato l’angusto marciapiede di via Giulia.
Da allora non l’ho più visto. E non lo nascondo: quell’aspetto mi aveva profondamente turbato.
Era l’ombra di se stesso Franco Malatesta. L’ombra di quello stesso Franco che, agli inizi degli Sessanta, intrigava gli apprendisti chitarristi con gli assolo strumentali degli Shadows: Riders in the sky, Apache, FBI/crackerjack , Stardust, Mustang, tanto per fare qualche esempio. È  vero che Franco imitava il sound dell’allora celeberrimo gruppo inglese di “ombre”. Ma è ancor più vero  che in quel periodo non era l’ “ombra” che sarebbe diventata poi. Era il nostro Hank Marvin (solista degli Shadows), leader indiscusso  dei chitarristi locali. Il vero problema di Franco stava nel fatto che non era convinto del suo talento. Malgrado le sue enormi possibilità di crescita e maturazione artistica è rimasto sempre legato al suo ambiente. Per lui importante era suonare. Che fosse un matrimonio, una comunione o un concerto era indifferente. E ch’io sappia non ha mai tentato la via del concerto.
Che dire! Un imperdonabile peccato!
Nel volumetto che ho dedicato alle band vastesi degli anni Sessanta (Cominciammo a suonar le chitarre, 1992) ho scritto che Franco Malatesta ha chiuso la sua esperienza in un complesso stabile nel 1965. Quella data – che avrebbe dovuto costituire un momento decisivo per un passaggio a una nuova fase di sperimentazione – ha visto Franco ritirarsi nel suo guscio. Gettare alle ortiche il suo grande estro strumentistico. Pro captulectorishabent sua fata libelli (vale a dire, “secondo le capacità del lettore i libri hanno il loro destino”), diceva il poeta latino. E Franco ha scelto la strada del silenzio. Di un destino solitario il cui sound sarebbe vissuto nella sua anima. Perché l’abbia fatto, non so. E per quante volte io l’abbia chiesto al fratello Lino, mio vecchio compagno di scuola all’elementare, non ho mai avuto risposta.
Mi sono chiesto: chissà se il caro Franco avrà ascoltato quell’antica canzone dei Nomadi intonata da Augusto Daolio che recitava
Amico non chiedere qual è il tuo destino
un fiore avvizzisce se pensa all’autunno
i fiori che hai dentro non farli morire,
ma lascia che s’aprano ai raggi del sole.
Credo di no. I fiori che Franco aveva dentro non ha mai lasciato che si aprissero ai raggi del sole!

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