Franco Malatesta (1947-2017) |
Il 15 marzo se n’è
andato in silenzio a 69 anni Franco Malatesta,
sconosciuto a molti, ma non ai “ragazzi degli anni ’60”.
All’epoca operavano a
Vasto 34 band locali, ma il solista più bravo era Franco Malatesta, che viene
ricordato come leader di due complessi “I Modesti” e “I Nobili”.
Del primo
facevano parte, oltre Franco, il fratello Lino Malatesta, Peppino Di Cicco,
Tonino Masciale e il cantante Pino Fariello.
Il vecchio gruppo si sciolse
nel 1965 e il nuovo si chiamò “I Nobili”,
con i fratelli Malatesta, Alfonso Colantonio, Michele Guglielmucci e come
cantanti il duo Nicola D’Adamo e Pino Castaldi. Durò un paio di anni e poi rimase
Guglielmucci utilizzò lo stesso nome con altri componenti.
Negli anni successivi Franco
Malatesta veniva chiamato da tutti come solista, ma non ebbe sempre un gruppo
stabile.
Franco, anche se
autodidatta, era riconosciuto da tutti
come il miglior solista locale: aveva un talento naturale, “la chitarra la faceva
parlare”! Bravissimo negli assoli, aveva una capacità di improvvisazione straordinaria, a livelli mai raggiunti da altri all’epoca.
Ci fa piacere che l'amico prof. Luigi Murolo che
nel 1992 pubblicò un interessante volumetto sulle band degli anni 60, dal titolo "Cominciammo a suonar le chitarre"*, abbia scritto un ricordo per lui.* (Il suddetto volume fu pubblicato dall'assessorato alle politiche giovanili del Comune retto da Lucio Basso Ritucci, sindaco Antonio Prospero)
NDA
Un ragazzo degli
anni Sessanta
Curvo,
ripiegato su stesso. Quasi una L rovesciata con una sigaretta in mano. Di
fatto, un corpo tormentato dal quale una flebilissima voce si era levata biascicando
un meccanico «ciao». Un «ciao» – aggiungo – cui, ancora prima di rispondere, mi
aveva posto un’inquietantedomanda: «Ma è lui? È davvero lui?». Volevo fermarmi.
Scambiare quattro chiacchiere. Ma niente. Aveva continuato a percorrere
con lo stesso passo cadenzato l’angusto
marciapiede di via Giulia.
Da
allora non l’ho più visto. E non lo nascondo: quell’aspetto mi aveva
profondamente turbato.
Era
l’ombra di se stesso Franco Malatesta. L’ombra di quello stesso Franco che,
agli inizi degli Sessanta, intrigava gli apprendisti chitarristi con gli assolo
strumentali degli Shadows: Riders in the sky, Apache, FBI/crackerjack ,
Stardust, Mustang, tanto per fare qualche esempio. È vero che Franco imitava il sound dell’allora celeberrimo gruppo
inglese di “ombre”. Ma è ancor più vero che
in quel periodo non era l’ “ombra” che sarebbe diventata poi. Era il nostro
Hank Marvin (solista degli Shadows),
leader indiscusso dei chitarristi locali.
Il vero problema di Franco stava nel fatto che non era convinto del suo
talento. Malgrado le sue enormi possibilità di crescita e maturazione artistica
è rimasto sempre legato al suo ambiente. Per lui importante era suonare. Che
fosse un matrimonio, una comunione o un concerto era indifferente. E ch’io
sappia non ha mai tentato la via del concerto.
Che
dire! Un imperdonabile peccato!
Nel
volumetto che ho dedicato alle band vastesi degli anni Sessanta (Cominciammo a suonar le chitarre, 1992)
ho scritto che Franco Malatesta ha chiuso la sua esperienza in un complesso
stabile nel 1965. Quella data – che avrebbe dovuto costituire un momento
decisivo per un passaggio a una nuova fase di sperimentazione – ha visto Franco
ritirarsi nel suo guscio. Gettare alle ortiche il suo grande estro
strumentistico. Pro captulectorishabent
sua fata libelli (vale a dire, “secondo le capacità del lettore i libri
hanno il loro destino”), diceva il poeta latino. E Franco ha scelto la strada
del silenzio. Di un destino solitario il cui sound sarebbe vissuto nella sua anima. Perché l’abbia fatto, non
so. E per quante volte io l’abbia chiesto al fratello Lino, mio vecchio
compagno di scuola all’elementare, non ho mai avuto risposta.
Mi
sono chiesto: chissà se il caro Franco avrà ascoltato quell’antica canzone dei Nomadi intonata da Augusto Daolio che
recitava
Amico non chiedere qual è il tuo destino
un fiore avvizzisce se pensa all’autunno
i fiori che hai dentro non farli morire,
ma lascia che s’aprano ai raggi del
sole.
Credo
di no. I fiori che Franco aveva dentro non ha mai lasciato che si aprissero ai
raggi del sole!
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