Italia Nostra: Il
silenzio e la memoria. Visita guidata alle
tombe storiche del cimitero di Vasto
Giovedì, 3 novembre 2016 ore 15,00
Giovedì, 3 novembre 2016 ore 15,00
Punto di incontro:
davanti all’ingresso principale del Cimitero (viale del Cimitero)
di
Luigi
Murolo
1844-1889:
sono i termini a quo e ad quem delle tombe su cui ci si
soffermerà nel corso della visita al cimitero di Vasto il giorno 3 novembre 2016, giovedì.
La quarta
edizione organizzata dalla sezione di Italia
Nostra del vastese ha lo scopo di illustrare le sostituzioni
architettoniche dell’antico con il nuovo, e la scomparsa delle fosse di
importanti personaggi vastesi dell’Ottocento.
Ci si renderà conto dello scarto
evidente tra la storia cittadina del XIX secolo e le sepolture dei
protagonisti
dell’epoca. Nei fatti, ci si accorgerà di quella singolare pratica di damnatio memoriaeche ha cancellato le
tracce fisichedi chiquella storia ha
contribuito a costruire. In altre parole, ci si trova di fronte alla
consumazione definitiva del rapporto tra le carte di archivio e le spoglie
degli stessi soggetti che ne sono stati autori. Lo stesso tumulo di Nicolamaria
Pietrocola (1794-1865), progettista del cimitero, non è riuscito a sfuggire a
questo destino. E i tumuli degli altri corpi dove sono? «Ubisunt qui ante nos fuerunt?» (Dove sono coloro che furono al
mondo prima di noi?). Sabato 29 ottobre è stato presentato un volume sulle
deliberazioni comunali 1869-1961 dove molti dei nomi delle figure che le hanno
prodotte non sussistono più sulla terra. Quegli stessi
nomi sembrano esser vissuti in un misterioso «altrove»; in una sorta di «isola
che non c’è». Eppure un tempo, quei nomina
vivevano incisi sopra la terra lieve che ne ricopriva i corpi. Ora non
più. Per quanto mi riguarda, proverò in
questo «viaggio» a darne conto
L’antico
locus mundus – «luogo pulito, chiaro,
visibile» – non è più il koimētḕrion, vale a dire il «luogo di
riposo». Si è trasformato in necropoli,
dove «case» dalla diversa altezza sommergono i resti delle poche tombe
originarie superstiti. Sicché, prive di ogni riconoscimento storico,risultano essere
sottoposte alle normali regole di edilizia funeraria. La domanda è solo una:
per quanto tempo ancora resisteranno?
Alle
memorie delle cose deve corrispondere la memoria degli uomini. Le iscrizioni
funerarie romane ne sono testimonianza. Del resto, giunge ancora alla vista
l’eco di quel marmoraro latino di età imperiale che in epigrafe recitava: «D.M. Titulosscri/bendosvel/si quid
ope/rismarmor/ari opu fu/erit hic habes» (Agli Dei Mani. Chi ha bisogno di
lapidi e lavori in marmo si rivolga qui). Già. Sarebbe molto bello, oggi, se
qualcuno avesse ancora la forza di ascoltare quella voce che anelava a favorire
il ricordo.
Il
mio tentativo è quello di muovere da un fascicolo di archivio del 1889 per
ritrovare in situ la traccia delle
tombe perdute. Oltrepassare la vista dell’ossario di tanti e tanti anni fa. E
magari restituire su pianta l’indicazione dell’antica nominazione. Certo, non
si tornerà alla bellezza, alla compostezza e alla solidità terrestre dei
tumuli. Pazienza! Ma il nome … il nome – questo sì – è possibile recuperarlo.
Che
dire! Nel tardo latino il termine coemeterium
designava anche l’archivio. È davvero singolare, oggi, notare come l’archivio
designi il cimitero!
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