venerdì 23 settembre 2016

REFERENDUM: COSTANTINO FELICE SI SCHIERA CON IL SI', ECCO LE RAGIONI

Prof. Costantino Felice
Univ. G. D'Annunzio Chieti
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Referendum costituzionale (qualche storica ragione per il sì) 

di Costantino Felice

Essendo io impegnato nel “Comitato per il Sì di Vasto e del Vastese” (ma ho contatti anche con una serie di intellettuali e accademici di ambito regionale e nazionale), Rodrigo mi ha invitato ad intervenire nel suo Blog per illustrare le mie ragioni.
Lo faccio con piacere, soffermandomi però, in estrema sintesi,
solo su un aspetto (riforma del Senato), che conosco un po’ meglio per la mia professione di storico.

Nella strabiliante accozzaglia delle posizioni per il No al referendum costituzionale  – dai comunisti più estremi alle formazioni neonaziste (roba da fare accapponare la pelle!) passando per i salviniani, i grillini, i forzisti ecc. – ve ne sono alcune che parrebbero avere un qualche titolo di fondamento e ragionevolezza (i sondaggi però dicono che circa il 90% di coloro che voterebbero No lo fanno in realtà solo per abbattere il governo Renzi), in particolare quelle che si ergono a difesa della nostra Costituzione: la “più bella del mondo” (la frase è di Benigni, che, guarda caso, ha dichiarato di votare Sì) – dicono – che occorre preservare e difendere.

Nulla di più falso.
In realtà sono quanti si battono per il Sì che danno linfa alla nostra Costituzione, nata dalla Resistenza (è bene ribadirlo sempre). Si prenda, come dicevo, uno specifico aspetto (forse il più controverso e decisivo): la riforma del Senato, che pone termine al cosiddetto “bicameralismo perfetto”, da tutti giustamente biasimato (ma da taluni con molta ipocrisia). La riforma Renzi-Boschi, com’è noto, riduce drasticamente il numero dei senatori (solo un centinaio), ridefinendone radicalmente prerogative e funzioni (peraltro senza stipendio).

Abbiamo insomma il “Senato delle autonomie”, come già si trova operante nelle democrazie più avanzate del mondo (a cominciare dalla Germania e dalla Francia), organo di collegamento tra il potere centrale e gli enti locali.

Trasformare il Senato in questo modo non vuol dire tradire la Costituzione, bensì attuarla nel suo spirito autentico e anche nella forma. Basta conoscere un po’ di storia (ed essere ovviamente in buona fede). Alla Assemblea Costituente, in particolare nella Commissione dei 75 che redasse materialmente la Carta, tanto i democristiani quanto i comunisti erano sostanzialmente contrari al bicameralismo: i primi perché temevano, con la reintroduzione del Senato, che si potesse riesumare una sorta di Gran Consiglio di sinistra memoria fascista; i secondi perché vi intravedevano una specie di Camera delle corporazioni per caste privilegiate d’ispirazione regia se non proprio fascista.

Ad insistere per un’unica camera legislativa, in base al principio di eguaglianza e rappresentatività, erano soprattutto i comunisti. Da parte loro i democristiani li contrastavano – lo ha ricordato recentemente anche Ciriaco De Mita (Corriere della Sera) – perché ritenevano, forse non a torto (ma a De Mita ha risposto Emanuele Macaluso), che il Pci avesse a modello il sistema sovietico.

Reciproche diffidenze, dunque, da guerra fredda.
La soluzione finale fu il compromesso che conosciamo: due Camere perfettamente identiche nelle loro funzioni, un sistema allora certamente rassicurante per gli schieramenti in campo, ma con il tempo rivelatosi pesantemente vischioso, molto costoso e a tratti paralizzante (di qui il crescente e anomalo ricorso ai voti di fiducia e alla decretazione d’urgenza).

Ora che sono venute meno le storiche contrapposizioni ideologiche della guerra fredda, i padri costituenti – se fossero loro a legiferare in questo contesto storico – farebbero più o meno esattamente quanto previsto nella riforma Renzi-Boschi: cioè una Camera delle autonomie.

Per convincersene (sempre se si è intellettualmente onesti), basterebbe rileggere gli interventi dei vari De Gasperi, Moro, Togliatti, Terracini ecc. (si possono trovare in gran parte anche su internet). Tali erano le loro intenzioni.

Non a caso, del resto, il superamento del bicameralismo perfetto è sempre stato nei programmi del Pci (ma spesso anche della Dc), dei Ds, dell’Ulivo e infine del Partito democratico. È questa riforma, quindi, che finalmente concretizza lo spirito costituente.
Altro che tradimento della Costituzione! (come vanno blaterando taluni soloni dell’accademia, sedicenti costituzionalisti, il cui unico rancoroso obiettivo, nella realtà, è abbattere il governo Renzi).
Votare Sì vuol dire dunque difendere e realizzare la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza.
Sono quelli del No che la tradiscono (nello spirito e nella forma), continuando a far precipitare l’Italia nel pantano istituzionale che conosciamo, con effetti devastanti non soltanto sul piano politico ma anche economico-sociale.
 Lascia stupefatti che a difendere queste posizioni retrograde (ed anche profondamente reazionarie) sia in sostanza la vecchia guarda del Pci (in parte anche della Dc): quella che un tempo si sarebbe detta la nomenclatura di partito.

Il fatto è che tutti costoro – spesso dall’alto dei loro lauti vitalizi – considerano Renzi un abusivo, un intruso estraneo alla loro tradizione; non si rassegnano, cioè, all’idea che sia lui – un giovane quarantenne fuori dai consueti apparati di potere che ha osato spavaldamente rottamarli – ad incarnare la più nobile tradizione riformista italiana (di matrice socialista, comunista e democristiana), dando corpo, qui in Italia, alla più grande forza socialdemocratica europea (stando almeno alle ultime elezioni europee).

Non comprendono – questi sedicenti sinistrorsi (la maggior parte dei quali, a cominciare dal caustico D’Alema, sono animati solo da odio e rancore) – che abbattendo il renzismo non si sconfigge solo Renzi: si abbatte, forse per decenni, il centro-sinistra nel suo insieme, la socialdemocrazia nelle sue varie anime, non soltanto in Italia, ripeto, ma anche in Europa, aprendo gli argini ai fondali melmosi (mi verrebbe da dire alle “orde barbariche”) del populismo, del qualunquismo e dell’antipolitica.

Altro che rigenerazione della sinistra da sindrome bertinottina! La fine del governo Renzi non porta a un nuovo governo di centro-sinistra: spiana solo la strada ai vari Salvini e Grillo, con tutti i foschi scenari che si possono immaginare.

Stiamo faticosamente percorrendo, insomma, uno di quei tornanti storici in cui si decidono non soltanto le sorti di un governo o di una legge (per quanto importantissima come quella costituzionale): è in gioco bensì il destino della sinistra e del Paese intero.
Come supporto di queste mie sintetiche argomentazioni, per chi abbia voglia di qualche ulteriore approfondimento, mi permetto di consigliare la lettura di questo libro: Guido Crinz - Carlo Fusaro, Aggiornare la Costituzione. Storia e ragioni di una riforma, Donzelli editore.

COSTANTINO FELICE


1 commento:

Unknown ha detto...

Bastasse un "Sì" (questo sì, ...'populista' e palesemente asservito al potere del pre-potente di turno) per dare migliore qualità alla vita politica, sociale ed economica della gente ... Sarebbe sin troppo facile pronuciarlo a piena e universale voce oggi, sciocco non averlo richiesto nel passato da parte dei grandi partiti di massa italiani (DC+PCI) che hanno spadroneggiato nel governo della nazione, utilizzando la sempre celebrata (e sempre dichiarata intoccabile)"Costituzione dei Padri" profittevolmente per i propri partiti, a danno degli uomini e donne di questo nostro Paese che non hanno fortune economiche, nè quelle politiche.
Non entro nel merito dell'oggetto referendario, nè sulle specifiche considerazioni sopra esposte, ben argomentate e comunque palesemente strumentali per chiara appartenenza. Mi auguro soltanto che successivamente, si dia lo stesso ampio spazio a quelli che il "No" democraticamente, dialetticamente, esprimono e vogliono.

Annoto, a margine, che il gratuito insulto rivolto ai "costituzionalisti" schierati per il No, che per questo (!) non sarebbero da qualificarsi professionalmente come tali, non fa onore a uno studioso che vuole essere ritenuto "storico". Uno storico - banale a dirsi, ed è assurdo che io lo debba qui ricordare - racconta la storia, narra degli uomini e delle azioni, dei fatti accaduti, tentando se possibile di capirne le ragioni e gli effetti, ma certamente non si fa (o non si presta ad essere) personalmente un ... Agit Prop di partito, uno strumento d'azione del potere politico al momento in auge. Una chiara quanto inaccettabile caduta di rigore professionale e scientifico.