giovedì 24 aprile 2014

PETROLIZZAZIONE DEL MARE ADRIATICO: DAI SINDACI UN DECISO "NO"

Ieri mercoledì 23 aprile 2014 a Roma le Commissioni riunite Ambiente e Attività Produttive della Camera hanno tenuto un'altra audizione informale dalle 13.05 alle 13.35 relativa alla proposta di risoluzione in commissione 7-00034 presentata da Maristella Bianchi (PD) per "impegnare il Governo a  sospendere ogni forma di autorizzazione per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti petroliferi nell'Adriatico e più in generale nel Mediterraneo...."
Le Commissioni hanno ascoltato ieri i pareri dei Sindaci di Sicilia Puglia e Abruzzo. In precedenza avevano ascoltato Eni (14 febbraio 2014), Assomineraria (20 feb.), Legambiente-WWF ecc. (4 marzo). (Ci sono stati anche molti interventi di Parlamentari ed anche l'audizione del sottosegretario Simona Vicari). 
A rappresentare l'Abruzzo c'era Sindaco Luciano Lapenna, che ha illustrato - anche a nome degli altri sindaci presenti -  le ragioni del NO ai progetti di Ombrina Mare e richiesto lo stop dal Parlamento nazionale alle autorizzazioni ai progetti di petrolizzazione del mare Adriatico e depositato tutti i documenti a sostegno delle ragioni del territorio (atti deliberativi approvati dai Consigli comunali, ricorsi al TAR, memorie, sentenze, ecc.).
Da chiarire che le audizioni informali servono alla commissione per acquisire pareri  al fine di approvare una "risoluzione" che tenga conto delle varie esigenze. (La "risoluzione" è uno degli atti con cui il Parlamento indirizza il Governo.Non ha valore formale, ma meramente procedurale).
QUESTO è IL TESTO BASE SU CUI SI STA LAVORANDO
Atto Camera
Risoluzione in commissione 7-00034
presentato da
BIANCHI Mariastella
testo di
Mercoledì 17 luglio 2013, seduta n. 55
L'VIII e la X Commissione,
premesso che:
l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha novellato la normativa relativa alle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare ed in particolare il regime autorizzatorio connesso alle medesime attività. In particolare, il comma 1 del citato articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha sostituito l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come già modificato dal decreto legislativo n. 128 del 2010;
in base alla precedente normativa era vietato cercare ed estrarre gas o petrolio all'interno di aree marine o costiere protette a qualsiasi titolo sulla base di norme nazionali e internazionali. Detto divieto era poi esteso per ulteriori 12 miglia all'esterno di tali aree. Eccezione alla proibizione di cui sopra era prevista per il petrolio, per il quale, lungo tutta la fascia marina della penisola italiana, il divieto di ricerca e coltivazione era limitato entro cinque miglia dalla costa. Tale divieto comprendeva non solo le attività di ricerca e coltivazione già in atto, ma anche i procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, mentre venivano fatti salvi i titoli già rilasciati alla medesima data;
il nuovo articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, fissa un'unica e più rigida fascia per l'estrazione dell'olio e del gas, pari ad un'estensione di dodici miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione. Rimane immutato il divieto con riferimento alle attività suddette all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette sulla base di norme nazionali, comunitarie e internazionali (in tal modo aggiungendosi per legge anche i sic e le zps marine e costiere di promanazione comunitaria);
la nuova disciplina nasce quindi con l'evidente intento di perseguire una maggiore tutela ambientale in tema di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi in mare, anche mediante un aumento sia pur contenuto delle relative royalty che restano, comunque, ancora esigue. Da questo buon proposito si genera tuttavia un effetto controproducente: infatti, il nuovo articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dal decreto-legge n. 83 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, stabilisce che il divieto di ricerca ed estrazione entro i limiti territoriali fissati, faccia salvi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010. Così disponendo, esso fa salvi in modo retroattivo i procedimenti autorizzatori già in corso prima del 26 agosto 2010;
con l'introduzione dall'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, viene inoltre confermata la disposizione secondo cui le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA). Tuttavia, sono fatte salve, rispetto al regime di sottoposizione alla VIA, le attività di cui all'articolo 1, comma 82-sexies, della legge 23 agosto 2004, n. 239, autorizzate, nel rispetto dei vincoli ambientali da esso stabiliti, dagli uffici territoriali di vigilanza dell'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, che trasmettono copia delle relative autorizzazioni al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Si tratta delle attività finalizzate a migliorare le prestazioni degli impianti di coltivazione di idrocarburi, compresa la perforazione, se effettuate a partire da opere esistenti e nell'ambito dei limiti di produzione ed emissione dei programmi di lavoro già approvati. Anche in questo caso, le modifiche proposte avranno inevitabili conseguenze sull'ambiente marino, sfuggendo ad ogni preventiva verifica di natura ambientale;
l'estrazione di petrolio è un processo altamente inquinante. Per raggiungere il giacimento le trivelle utilizzano sostanze chimiche dette «fanghi e fluidi perforanti» necessari per eliminare gli strati rocciosi, controllare la pressione, lubrificare e raffreddare lo scalpello delle trivelle e consolidare il foro di perforazione. In particolar modo nei pozzi petroliferi off-shore si usano dei fanghi del tipo SBM (Synthetic based mud) costituito da oli sintetici con un certo grado di tossicità. Tali fluidi sono difficili e costosi da smaltire ed hanno la capacità di contaminare acque e terreni. I fanghi devono essere smaltiti con particolari procedure. Generalmente il controllo per le trivellazioni sulla terraferma costringe allo smaltimento. In mare, invece, la prassi ordinaria è quella di rigettarli nelle acque;
secondo gli studi effettuati il petrolio presente nei nostri fondali oltre ad essere esiguo è anche ricco di impurità, e di difficile estrazione. Il petrolio estratto nell'Adriatico si presenta dunque come una fanghiglia corrosiva, melmosa e densa che necessita di una lunga lavorazione per l'utilizzo di destinazione, a processo che inizia già sulle piattaforme marine;
è noto come la maggior parte degli sversamenti di idrocarburi in mare, circa l'80 per cento, sia dovuto allo svolgimento di attività di routine di manutenzione degli impianti, di estrazione e trasporto degli idrocarburi. Una piattaforma in mare nell'arco della sua vita rilascia mediamente 90.000 tonnellate di sostanze inquinanti; il Mediterraneo ha una densità di catrame pelagico di 38 milligrammi per metro quadro, una percentuale altissima ormai assolutamente insostenibile. Anche gli incidenti sulle piattaforme non sono rari;
i permessi di ricerca di idrocarburi interessano zone costiere di particolare rilevanza naturale, ambientale e paesaggistica la cui tutela verrebbe irrimediabilmente compromessa come la costa teatina, il canale di Sicilia e le isole Tremiti. In Sardegna il «Progetto Eleonora», che prevede trivellazioni per la ricerca di gas naturale ad Arborea, rischia di compromettere il delicato ecosistema dello stagno S'Ena Arrubia, sito di interesse comunitario, tutelato anche per la presenza di uccelli palustri come aironi e fenicotteri rosa;
si è recentemente svolta, a Venezia, la «Conferenza internazionale delle regioni adriatiche e ioniche» dove si è discusso di salvaguardia delle coste delle regioni del mare Mediterraneo dall'estrazione di idrocarburi in mare. Al termine dei lavori le regioni promotrici dell'iniziativa hanno votato un ordine del giorno che invita tra l'altro il Parlamento italiano a sostenere la ratifica da parte dell'Unione europea del protocollo offshore che impone una serie di condizioni da soddisfare prima che sia consentito l'avvio delle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, e a promuovere con gli stessi Paesi dell'Unione europea, ma anche altri Paesi che si affacciano su Adriatico e Ionio una cooperazione inter-istituzionale che porti, in breve tempo, a firmare un protocollo di intesa per una regolamentazione comune delle attività estrattive e di esplorazione degli idrocarburi,

impegnano il Governo:
a sospendere ogni forma di autorizzazione per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti petroliferi nell'Adriatico e più in generale nel Mediterraneo in attesa che un'apposita Conferenza dei Paesi rivieraschi individui, sul modello della citata «Conferenza internazionale delle regioni adriatiche e ioniche», una regolamentazione comune delle attività estrattive e di esplorazione degli idrocarburi;
ad assumere iniziative per modificare la normativa riguardante le attività di ricerca, di prospezione e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, ripristinando il divieto nello spazio di 12 miglia dalla costa per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, per evitare che si creino situazioni che ne disattendano la finalità, cioè la garanzia di maggiore rigore nella tutela ambientale, e per rendere le disposizioni chiare, certe e applicabili, in condizioni di equità, a tutti i soggetti che operano nel settore della ricerca, prospezione e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi in mare;
a non mettere a rischio e a non pregiudicare, neanche potenzialmente, lo stato delle aree di reperimento di parchi costieri e marini e di aree marine protette, impedendo quindi l'avvio di nuovi impianti e attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi in mare oltre ad assoggettare a valutazione ambientale per motivi di dovuta cautela e precauzione e con il massimo coinvolgimento delle comunità interessate anche le attività finalizzate a migliorare le prestazione degli impianti di coltivazione di idrocarburi di cui all'articolo 1 comma 82-sexies della legge 23 agosto 2004 n. 239;
ad adottare tutte le iniziative necessarie, anche normative, affinché i titolari di concessioni per ricerca ed estrazione di idrocarburi garantiscano adeguati piani di emergenza e le risorse economiche per la copertura degli interventi immediati di sicurezza, disinquinamento e bonifica, in caso di incidente, anche attraverso il deposito di adeguate cauzioni;
a verificare la sussistenza dei requisiti economici e tecnici delle società titolari di permessi di ricerca in modo da garantire efficienza tecnica, sicurezza e pieno rispetto di tutte le prescrizioni e dei vincoli stabiliti dalle autorità competenti: non solo degli obblighi – stabiliti dal Ministero dello sviluppo economico – per la gestione degli impianti e la sicurezza mineraria – ma anche, in particolare dei vincoli disposti da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalle regioni per gli aspetti di compatibilità ambientale nella realizzazione e gestione di impianti e pozzi, tenuto conto delle tecniche e delle conoscenze più avanzate per il «buon governo» dei giacimenti.

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