di Lino Spadaccini
Il Venerdì Santo è il giorno del dolore e del lutto
universale, ma è anche giorno di digiuno ed astinenza dalla carne. Tra le 15 e
le 17 del pomeriggio, nelle chiese vastesi si svolgerà il rito della Passione,
sostanzialmente divisa in tre parti: la liturgia della parola, con la lettura
della Passione secondo S. Giovanni, l’Adorazione della Croce e la santa
comunione. Al termine i fedeli in silenzio scioglieranno l’assemblea.
Questa sera alle ore 19,15 si svolgerà la tradizionale
processione del Cristo Morto lungo
le vie del centro storico. Dalla chiesa di
Sant’Antonio di Padova si formerà la lunga processione con i simboli della
passione: il gallo, i dadi, gli strumenti della flagellazione, la Veronica, la
Croce e la Madonna Addolorata. Saranno presenti tutte le confraternite
cittadine, altri gruppi religiosi e la Schola cantorum, diretti dal maestro
Luigi Di Tullio, che intoneranno lo struggente Miserere del Perosi.
Domenico De Luca (1817-1881), poeta e drammaturgo vastese, ha scritto una poesia molto bella dal titolo “La mattina di Venerdì Santo del 1850”,
conservata manoscritta nell’Archivio Storico “G.Rossetti”:
1°
Era un giorno di grave dolore
Per la Chiesa e pei
fidi credenti:
Ricorreva quel di
che’l Signore
Sulla Croce ne
venne a morir,
E le colpe di tutte
le genti,
Egli solo pagava il
fallir.
Mi recavo dolente ancor io
Quella mano ai
Santissimi siti:
Lo squallor della
casa di Dio
Oltremodo ferale ne
appar;
Sacerdoti di lutto
vestiti
Disadorno e
scomposto l’altar.
Pria di Cristo lo strazio, la pena
Si cantò con
mestissima voce:
Poi si venne alla
tenera scena
Di svelare la faccia
al Signor,
Si depose alla fine
la Croce
Onde ognuno l’adori
in suo cor.
2°
Un amabile donzella
Assisteva a quei
misteri:
Innocente insieme e
bella
Come un Angiola del
Ciel,
Nascondeva gli
occhi neri,
Si copria d’un
bruno vel.
Quando vidi i Sacerdoti
Con piè scalzi e
mesto aspetto,
Inchinarsi assai
devoti,
e baciare a Cristo
il piè;
Fui compreso da
diletto
Per la nostra Santa
fè.
Ma volgendo in quell’istante
Ver Colei lo
sguardo mio,
Mirai bene il suo
sembiante,
E la vidi lagrimar:
A quel pianto,
piansi anch’io
Fui costretto a
sospirar.
Però dissi meco stesso,
Perché piansi o
Giovinetta?
Nel tuo viso io
veggo impresso
Il candor della
virtù.
Sei tu bene un
Angioletta,
Fallo alcuno non ài
tu.
Ella pianse… e quindi il ciglio
S’asciugò
nascosamente:
Il suo volto pria
vermiglio
Si coperse di
pallor;
Non sembrava una
vivente,
Ma la statua di
dolor.
Una fede sì sincera,
Ridestammi in petto
allora
Dell’etade mia
primiera
Quella semplice pietà,
Che cotanto
n’innamora,
Che l’eguale mai
non à.
Da quel di mi sento in seno
Più fermezza e più
costanza.
Il mio spirito è
sereno
Nuova forza sento
in me;
Chi ripone sua
fidanza
Nella fede, avrà
mercè.
Benedetto sia quel pianto
Ch’io ricordo e (…)
e sera;
Si soave fu
l’incanto
Che trasfuse nel
mio cor;
Ch’ogni dì nella
preghiera
Per Colei ne prego
ancor.
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