lunedì 23 novembre 2020

"L' ABRUZZO UMORISTICO" (1912) : CARLO D'ALOISIO DA VASTO GIORNALISTA SATIRICO, NON SOLO PITTORE

di Lino  Spadaccini

Oltre che eccellente pittore, Carlo d’Aloisio, sin dalla giovane età coltiva la passione della scrittura ed il giornalismo. Nel 1912, a vent’anni, già vanta alcune collaborazioni con periodici abruzzesi, come, ad esempio, “Rivista Adriatica”, diretta da Primo Bruno Volpi, pubblicata a Pescara. Ma egli stesso, dopo l’estate dello stesso anno, assume la direzione di una nuova rivista,“L’Abruzzo Umoristico”, con sottotitolo “E ridiamo un po’ anche noi… abruzzesi”, fondata e animata da uno stuolo di giovani intellettuali vastesi, tra cui

Filippo Miscione, Raffaele Giacomucci, Giuseppe Tessitore e Vincenzo Cardone.

Come sottolinea Mario Cimini nel volume “L’evasione e il ritorno. Letteratura e giornalismo in Abruzzo tra Otto e Novecento”, la rivista “fu una reazione garbata e parodica al dannunzismo deteriore”. “Lo scopo apparente di tale rivista”, scrive lo stesso Carlo d’Aloisio, sul primo numero, sotto lo pseudonimo di Carletto, “sarebbe quello di illustrare, mese per mese, le persone e le cose salite alla notorietà, ma lo scopo occulto è quello di preparare un terreno propizio alla candidatura del nostro direttore Aligi”. E conclude: “Io rispetto gli artisti e letterati a qualunque scuola appartengono anche quando anziché alla scuola classica, alla romantica o alla verista, dovrebbero ascriversi proficuamente alla scuola elementare, ma mi vanto di non essere letterato né artista; ma solo: dilettante di giornalismo illustrato… a tempo perso”.

Il primo numero esce il 27 settembre del 1912. Prevista con cadenza mensile, ma in realtà alquanto discontinua, il nuovo periodico, inizialmente, cerca di staccarsi dal proprio luogo di origine: nei primi numeri non si fa mai cenno alla città, mentre in quelli successivi “diviene bersaglio continuo di un feroce sarcasmo”.

Alle critiche di non pubblicare notizie su Vasto (“…ci hanno raccomandato di ronzare sempre più per il nostro paese e di raccattare quante più notizie si possono”), la rivista risponde in questi termini: “Ma i ronzoni, da noi mandati… a gironzare con noia di qualcuno, con gravità… rigida ci hanno fatto comprendere che non c’è nulla da riportare. Anzi, ci dicono, e non a torto, che in Vasto non c’è vita, ma in compenso non c’è neanche morte. Il fenomeno è vero, perché si vegeta semplicemente”.

Vengono presi di mira e ironizzati aspetti del costume cittadino. “La caricatura d’ambiente”, spiega Mario Cimini, “raggiunge toni sarcastici nella descrizione della vita e dei comportamenti delle signorine di buona famiglia, educate in un clima bigotto e privo di stimoli culturali; perfino la moda diviene oggetto di pungenti stoccate nel contesto di una città che, per aggiornarsi sulle ultime novità dell’abbigliamento, doveva aspettare il ritorno degli studenti universitari”.

La rivista è piacevole da leggere, con un filo conduttore che collega tutti gli articoli: l’ironia. Interessante anche la presenza di poesie dialettali come La sùppleche a lu patraterne! di Luigi Brigiotti, Lu cafone filosefe di Alfredo Luciani, Lu casciere de la pezziende, dell’odontoiatra teatino Raffaele Melocchi, e Pardon del vastese Francesco Pisarri:

Dumuénica passate,

Mindre s’ascive da la binizzaune

Nu tunueénde a ‘cciaccate

Lu puête a nu qua faune

E sìbbute – Pardon, mossiè, pardonne! –

I’ à dette. Ma culluivou – Vite a DDé,

Lu puête – j’à risposte – è di lu mué

E tivvu ci’arrinniche la Madonne!

Ed ancora, La grande invenzione di Crescenzo Barbetti, novella di Carlo Dadone, apprezzato scrittore umoristico torinese, oppure Il Galluccio che diventò celebre, una favola antica “per i ragazzi che non si saziano mai”, del redattore capo Carlo d’Aloisio.

Da segnalare anche i contributi dell’avv. Giuseppe Marcone con Il dialogo tra Cecchino e Gedeone tratta dalla scena XII del primo atto della commedia I servi padroni, e il divertente monologo L’ultimo elogio sull’asinità. Ecco alcuni passi:

Signori, l’asinità degli altri è… Ma piano un momento: non vorrei che da principio nascesse un equivoco; non vorrei che, per l’etimologia della parola, s’avesse per caso a credere che l’asinità fosse una qualità… dell’asino. No, poveretto! Non ci mancherebbe altro che l’uomo addossasse all’asino anche la soma dell’asinità! E perché? Pretende forse mai l’asino di vincere il cavallo al corso? Pretende forse mai di coprire col suo raglio il ruggito del leone? Pretende forse mai di non dover lavorare in cambio di un sacco di legnate? Mai! L’asino dunque, poveretto, è… sempre asino allo stesso modo, non si traveste mai da Arlecchino o da re: e allora in che consisterebbe la sua asinità?

E così gli altri animali. Ma c’è di peggio. “L’uomo appena si sente lupo, cosa si mette a fare? Il pastore! Appena si sente camaleonte, subito aspira a Montecitorio! Appena si sente oca… concorre a qualche carica dello stato!”. In sostanza “l’unico che goda qualche volta il privilegio di avere dell’asinità, è… appunto l’uomo: il quale perciò, anziché definirsi un essere ragionevole, dovrebbe più giustamente definirsi un essere… suscettibile di asinità”.

Infine l’Umorismo… medico a cura di Raffaele Giacomucci e tanti altri racconti divertenti firmati sotto pseudomini.

 Lino Spadaccini











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