venerdì 3 agosto 2012

La storia della nostra spiaggia: la "Colonia Marina"

Invece della avveniristica struttura progettata dall'arch. Luigi Martella, ci si arrangiò con i due capannoni con copertura in lamiera situati vicino la Pineta del Littorio ( di fronte all'attuale Bagnante)
Colonia Marina di Vasto: progetto dell'arch. Luigi Martella,  mai realizzato
Per la colonia ci si continuò ad arrangiare con i due capannoni con i tetti in lamiera...
di LINO SPADACCINI
Sentir parlare di colonia marina, sembra quasi parlare di tempi lontani, ma in realtà ancora oggi, durante il periodo estivo, vengono organizzate da
enti privati oppure dai comuni stessi, per dare l’opportunità alle famiglie più bisognose la possibilità di far frequentare i loro figli il mare o la montagna.
La prima colonia estiva in Italia ha origini antichissime: risale al 1822 quando l’Ospedale di Lucca progetta nella vicina spiaggia di Viareggio una colonia per i bambini disagiati. In quegli anni, il medico Giuseppe Barellai, dopo aver portato tre bambini scrofolotici nella spiaggia di Viareggio ed averli sottoposti a bagni di sole e di mare, notò evidenti miglioramenti.
Verso la metà dell’Ottocento si contano già una cinquantina di colonie marine, per lo più localizzate in Emilia Romagna e Toscana.
Da una primitiva connotazione di mere case di cura, le colonie assumono con l’andare del tempo anche la funzione di strutture dedicate ai bambini, che durante la stagione estiva, le frequentano per irrobustirsi e giocare, divertendosi e socializzando con i propri coetanei. Con l’avvento del fascismo, le colonie crescono enormemente e vengono frequentate da grandi masse di bambini. I bimbi ospitati vanno a far così parte di cittadelle dedicate all'infanzia, all'interno delle quali si radunano i giovani balilla svolgendo attività fisica, sport, giochi, bagni di sole e di mare.
Su iniziativa del Partito Nazionale Fascista, vengono edificati enormi strutture capaci di ospitare più di mille bambini, come ad esempio la colonia marina Bolognese di Rimini, realizzata nel 1934, con ben 2000 posti letto.
Anche per Vasto per la colonia intitolata alla “Principessa di Piemonte”, si pensò di realizzare una struttura moderna e accogliente, come si può notare dall’interessante progetto realizzato dall’Arch. Luigi Martella. Una struttura a forma semicircolare con una struttura centrale su più livelli, dotato dei maggiori comforts ed anche una cappella per la celebrazione della S. Messa. Il progetto non andò in porto e al posto della mega struttura ci si continuò ad arrangiare nei due capannoni situati vicino alla Pineta del Littorio.
L’inaugurazione della colonia avvenne il 20 luglio 1930, così come riportato sulle colonne del periodico Istonio: “Con avviso a stampa indirizzato alla cittadinanza, a firma dei Delegati del Comitato pro Colonia Maria professoressa signorina Maria Monacelli e Segretario del Comitato sesso sig. Francescopaolo Giovine, chimico farmacista, si è inaugurata domenica 20 luglio la Colonia Marina in Vasto spiaggia, con la benedizione impartita dal Parroco della Chiesa Santa Maria Stella Maris”. Con le donazioni spontanee dei cittadini e, soprattutto, della Società Lucio Valerio Pudente, operante negli Stati Uniti, si poterono costruire “tre spaziosi capannoni in legno, con copertura di zinco ondulato, capaci di contenere 40 letti, oltre la cucina; e quest’anno per la durata di 40 giorni, in quei capannoni sono ospitati 16 bambini dell’Asilo infantile di Atessa, 16 bambini poveri del Vasto e 5 alunni delle nostre scuole elementari; questi ultimi a spese della Croce Rossa Italiana…”.
Durante i mesi estivi venivano ospitati a turno i bambini maschi e femmine. “I capannoni muniti di letti e comodità acconce erano funzionali”, si legge in una memoria di Laura Fiorentina Fabrizio, riportata sul volume “Il Novecento a Vasto”, a cura di Beniamino Fiore, “Il personale consisteva di quattro maestre e due raccomandate inesperte. La cuoca, una cinquantenne giudiziosa oltremisura, faceva da mamma e da gerarca”. La struttura accoglieva circa centocinquanta bimbi divisi in squadre. “Seduti per terra all’ombra dei capannoni o della pineta aveva inizio la giornata”, ricorda ancora la signora Fabrizio, “si faceva la ginnastica, poi a seconda l’età dei bambini si alternavano favole e lettura fino l’ora di bagno. Nell’acqua si stabiliva il limite da raggiungere sotto gli sguardi protettori delle maestre e del bagnino che aveva doppia incombenza: buttarsi in acqua al più lieve pauroso allarme ed andare con una barchetta a pescare il pesce fresco. I bambini usciti dall’acqua si rotolavano nella sabbia e poi rientravano per il pranzo. Venivano serviti su sei lunghi tavoli davanti alla cucina, con pasti abbondanti e sostanziosi, ricchi di carne, gnocchetti e patate. Per frutta non mancava la mela. Finito il ristoro, ognuno tirava dal proprio fagottino personale un quadrato di tela e ci si allungava sopra per riposare e fare la pennichella. A quel sonno seguiva il girotondo con cantilene e rincorsi a coppie con risa, trilli e battimani”.
Con l’avvento del secondo conflitto mondiale la Colonia cadde in abbandono e oggetto di atti vandalici, come l’asportazione delle pareti di legname e danni notevoli al fabbricato in muratura.
Successivamente la gestione della Colonia passò all’ODA (Opera di Assistenza di Diocesana), per tanti anni diretta dal compianto Don Nicola Di Clemente.
Lino Spadaccini








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