di LINO SPADACCINI
prima puntata
Nel
pieno della stagione estiva, attraverso una serie di articoli, vogliamo
proporvi un tuffo nel passato per ripercorrere insieme
alcuni aspetti della vita balneare vastese negli ultimi cento anni.
Il
mare nel passato incuteva timori e paure, solo agli inizi dell’800 venne preso
in considerazione come luogo di cura per adulti e bambini malati. I medici
ritenevano che il sole, l’aria e la sabbia avessero capacità risanatrici e per
questo prescrivevano l’immersione nell’acqua del mare. La pratica della
balneoterapia e della talassoterapia ebbero un forte incremento a fine
Ottocento, quando la costruzione delle ferrovie lungo le coste rese più
accessibili le spiagge, su cui sorsero nuovi stabilimenti balneari.
Il
primo stabilimento balneare vastese, chiamato “La Sirena”, venne costruito da
Luca Manzi, e successivamente gestito dal figlio Pantaleone. L’inaugurazione
avvenne il 3 agosto del 1890, così come annunciato sul periodico locale Istonio: «Ieri sera vi fu festa alla spiaggia dove molti giovanotti si
divertirono fino a notte inoltrata. La ragione della festa la diciamo subito in
due parole: si trattava di dare il battesimo, diciam così, allo stabilimento
balneario di don Luca, alla Sirena; ed il battesimo si dette, seguito da un ben
riuscito banchetto, quasi improvvisato, da fuochi d’artificio, da musica, ecc…
Tutto sommato, la festa riuscì bella, poetica, indimenticabile; lo stabilimento
illuminato, com’era con i cento lumicini, che si riflettevano sul mare placido
e tranquillo, aveva un bellissimo aspetto fantastico».
L’abbonamento
al camerino per tutta la stagione, senza biancheria, costava 15 lire; per il
salone, sempre senza biancheria, 3 lire, due lire in più per la biancheria; il
camerino per una persona, senza biancheria, costava 0,50 centesimi, per due
0,60, per tre 0,75 e per quattro 1 lira. L’abbonamento per tutta la stagione
del sandolino, tipica imbarcazione stretta e lunga, manovrata a remi, costava 2
lire. L’abbonamento era personale e non poteva essere ceduto ad altri, come era
altresì vietato ai bagnanti di alternarsi fra loro in uno stesso camerino. Il numero
massimo di persone ammesso in un camerino era di quattro.
Le
bagnanti chiuse nei loro camerini, dopo aver impiegato mezz’ora per liberarsi
dalle lunghe gonne, corpetti, camicette, corsetti, sottovesti ed ogni altro
indumento, ne impiegavano altrettanto per infilare lo scomodo costume da bagno,
rigorosamente scuro, per evitare le scandalose trasparenze.
L’abbigliamento
delle donne era formato da un paio di mutandoni lunghi fin quasi alla caviglia
e sopra un camiciotto lungo abbottonato fino al collo, in pratica privo di
scollatura. «Quando scendevano in acqua
– ricordava il compianto Giuseppe Pietrocola – tutto quest’abbigliamento si gonfiava come un pallone con le
implicazioni un po’ ridicole di una situazione che però, a poco a poco,
ritornava normale. Durante i bagni, le signore portavano una cuffia molto
vistosa a riporto con il resto della tenuta».
L’abbigliamento
maschile era formato da un costume molto attillato, solitamente a righe molto
larghe orizzontali, che arrivava fino a metà coscia, con le maniche piuttosto
lunghe, che arrivavano fino al gomito.
Molto
interessante il ricordo d’infanzia, scritto dal Perrozzi per una pubblicazione
“Vasto 1966”, dove ci descrive la
Marina dei primi anni del Novecento: «Quando
bambino scendevo al mare per tuffarmi, sotto lo sguardo vigile di chi concepiva
il bagno come un rito, unico toccasana benefico apportatore di valida salute,
avevo la sensazione che qualcosa di nuovo, di attraente, mi fosse riserbato. La
traballante carrozza de la Ciacianelle, dai freni cigolanti, ci portava al mare
su di una strada brecciosa, polverosa, assolata e questo viaggio, ricordo, era
la prima gioiosa, desiderata avventura, mentre mia madre e le mie sorelle
recitavano il rosario. La carrozza sorpassava i binari della ferrovia (non esisteva
ancora il sottopassaggio) fra sobbalzi da far trattenere il respiro ed eccoci
finalmente di fronte al luccichìo del mare. Quando ancora nessuna, dico nessuna
delle spiagge abruzzesi era dotata di uno stabilimento balneare, Vasto aveva “La
Sirena”, una vera primizia, un gioiello a quei tempi, che con 24 gabine su
palafitte, dodici per parte, si ergeva a tre metri circa dal pelo d’acqua. Una
rampa d’accesso a mò di pontile, s’inoltrava nel mare e finiva in una spaziosa
rotonda. Quest’impianto, concedeva ai vastesi la possibilità di fare i bagni.
Dentro ciascuna gabina, si apriva una botola dalla quale partiva una scaletta
che poggiava sul fondo del mare».
I
vecchi stabilimenti balneari, imponevano la divisione dei bagnanti dalle
bagnanti mediante una lunga fune di delimitazione dei rispettivi spazi, che
serviva anche da aiuto per i nuotatori non esperti.
Lino
Spadaccini
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