di
LINO SPADACCINI
seconda puntata
seconda puntata
Il
repentino cambiamento sociale che stava investendo l’Italia agli inizi del
Novecento, trovò preparati anche i
vastesi che si adeguarono con piacere alle nuove mode dettate dalle città
turistiche più rinomate.
L’arrivo
della stagione balneare era atteso con ansia e trepidazione, annunciato con
toni aulici e pieno di aspettative dal periodico locale Istonio. “Al mare, al mare!”,
si leggeva sulle colonne del giornale diretto da Emilio Monacelli nel 1895, “questo grido risuonerà fra poco, perché al
mare ci si sente chiamare dalle voci dell’amore, della voluttà, della gioia,
del divertimento e…, qualche volta, dell’orgia. Eppure al mare non tutti vanno
col sorriso sulle labbra e la contentezza nel cuore… Ci sono anche i poveri
malati… ricordatevene! E per essi il mare vuol dire cura della salute, vuol
dire la guarigione, vuol dire la salvezza del corpo dalle grinfe della morte…”.
Ma al mare ci si va anche per un altro motivo: la pesca. Ma, come precisa il
cronista dell’Istonio, si tratta di
una pesca speciale, quella del marito, infatti “tra le cure più ricostituenti è, alle volte, indicata la pesca… del
marito, punto faticosa per le figlie, faticosissima per le mamme, spesso
costrette a sbuffare come una balena; ma
GALLERIA DI FOTO D'EPOCA ALL'INTERNO
tutto si accomoda a questo mondo, e, spesso, i più bei nodi si distinguono… Basta il mare, basta l’aria marina, basta la visita del mare, per sentirsi felici di fronte ai Tritoni, per riprendere il colore roseo e l’appetito… O mare, o mare, o mare, sii mille volte benedetto!”.
GALLERIA DI FOTO D'EPOCA ALL'INTERNO
tutto si accomoda a questo mondo, e, spesso, i più bei nodi si distinguono… Basta il mare, basta l’aria marina, basta la visita del mare, per sentirsi felici di fronte ai Tritoni, per riprendere il colore roseo e l’appetito… O mare, o mare, o mare, sii mille volte benedetto!”.
Gli anni
passano, le mode cambiano ed anche il paesaggio marino si adegua alle nuove
tendenze ed esigenze dei balneatori. “Siamo lieti costatare la nostra spiaggia”, si leggeva sulle colonne
de Il Vastese d’Oltre Oceano nel
luglio 1933, “la quale già incomincia a
popolarsi di bagnanti, che numerosi vi accorrono attirati dall’incanto del sito
e dell’aria balsamica che visi respira, si arricchisce sempre più di graziosi
villini e di altre comodità che ne rendono più confortevole il soggiorno…
Migliorata l’attrezzatura alberghiera, accelerate le comunicazioni fra la città
e la spiaggia, abbellita con nuove costruzioni, favorita da tutti i doni che la
natura può largire, la città del Vasto ha oggi tutti i requisiti completi per
reclamare il posto che giustamente le spetta fra le consorelle del litorale
abruzzese”.
Cominciarono
a comparire i primi casotti, installati da Zì Nicola e Midiuccio Novembre che
offrivano maggiori conforts perché più spaziosi e soprattutto più indipendenti.
Il casotto aveva una funzione molto importante perché permetteva il cambio del
costume bagnato con un comodo accappatoio bianco, molto lungo e con cappuccio.
Solo più tardi comparvero gli accappatoi colorati oppure i pigiami anch’essi in
spugna colorata.
«Nei “casotti” – ricordava Giuseppe
Pietrocola – era anche possibile
consumare i pasti ed a mezzogiorno, quando si aprivano le “mappatelle” la
spiaggia si riempiva degli odori di “muligname aripiene, pammadore arracanate,
saggiccie sott’ujje e pillastre a lu forne”. Per conservare al fresco il vino
si scavavano delle buche profonde nella sabbia per depositarvi i ciucini che
venivano ricoperti da pezzi di stoffa, che si aveva cura fossero sempre bagnati
d’acqua di mare».
Alla
fine della stagione balneare, i casotti di legno venivano smontati per poi
essere rimontati nella stagione successiva, non senza aver dato prima una
risistemata alle travi di legno.
Chiudiamo
con una bella e significativa poesia di Giuseppe Perrozzi, dal titolo “Li casutte”, che parla di una famiglia
di modeste condizioni con una figlia da maritare, che fa la domanda per
piantare il casotto davanti al Ristorante Nettuno, zona centrale della marina, ma che invece si ritrova con il posto assegnato a
“Buonanotte”:
Zia
Reuse Rrotafruce té na fèjje
che
l’ha da marité, ma gna ha da fa?
Senza
la dadde e senza momabbejje,
‘n
gi sta nu cuane che ci va abbajà.
Di
mmerne, ‘n ‘z’abbiceine a na varlotte;
vi
vvede l’acche, ci si mette a ppiagne,
ma
di l’ astate, j arivé di bbotte
la
frinniscejje de j ffà li bbagne;
‘ngiò
pi salìute, ‘ngio pe pulizzejje,
ma
pi ufanarè: – «Pu’ ffa vvidà
ca
l’eddre fa li bbagne e cchista fejje
manghe
le pite se po’ jè a sciaccquà?
Eh,
Ndunnuì, a uanne lu cuasotte
nnede
al Nittune l’eme da piandà
pinze
ch’a Jucce je se sta a ffà notte…
Ti
sì lu patre e tì ci ha da pinzà!» –
Lu
puvirelle, fra le tande piaghe
fra
dèbbete e ppisiure di famejje
fa
la dumande pi lu poste e ppaghe,
nghi
la spiranze d’ammullà la fejje.
Ma
cand’ asciagne abbass’ a la mareine
pi
mmatte finalmente lu cuasotte,
tra
irre e orre, ‘n mezz’ a la mmujeine,
j’assàgne
lu poste a Bbonanotte!
–
«Ma coma va stu fatte? Hanne cagnate
li
nnìmmure cuscè, tra jurne e nnotte?
Lu
poste mé è ddece e sta signate,
mé
m’ aritreuve a ccendenuvandotte!
Eh
già! Chi arrive doppe è lu patraune
e
chi sta prèime, passe arréte arréte…
Ogn’anne
chi sta solita canzaune
ogn’anne
chi sti mbrujje s’aripéte…
…
Zia
Rèuse sta rruféte gne na hatte,
accuvacciate
arréte a lu cuasotte:
–
«E manghe a uanne m’ é vinute fatte
de
dà la fejje a ccacche ggiuvinotte;
e
doppe ch’ a si spaise chi le sa,
fra
speine, vreite e scattele de stagne,
nen
si li pide addò l’ha da pusà…
Si
po’ sapà che ssèrve a ffa sti bbagne?
TERZA ED ULTIMA PUNTATA PROSSIMO SABATO
Ho letto che la prossima estate tornano di moda queste tipologie di costumi da donna... anche se personalmente li cerco ogni anno e quest'anno ne ho trovati due a vita alta e molto aggambati: stupendi...
RispondiEliminaPer i casotti, io sono arrivata nell'epoca della modernità, quando oltre alla pineta di fronte la sirenetta, si andava al mare con gli ombrelloni che diventavano delle vere e proprie tende da mare... e li, si mangiava, e ci si cambiava, anche se oggi, vado e torno con gli stessi abiti, anche se si bagnano per via dei costumi pesanti ad asciugarsi... c'erano i primi frigo portatili con quei ghiaccioli blu, ma ricordo qualche volta, si è fatta una buca nella sabbia per tenere l'acqua il più fresca possibile... non c'era ancora la moda (che è comunque una esigenza) delle creme protettiva del sole, e ricordo le mie bolle di scottatura. :)
Erano i primi anni 70, quando si veniva in vacanza dai parenti, e successivamente, sempre prima degli anni 80, quando ancora non si abitava a Vasto... una volta qui, era tutto più vicino e si viveva il mare marginalmente e saltuariamente, tra l'essere cresciuti ed i primi lavori al mare, ma non sulla spiaggia... e nelle mie estati ero sempre con la tintarella "da muratore" si usava dire così, con la forma della cannottiera e dei pantaloncini che rimaneva rigorosamente bianca.