UN OMAGGIO AI NOSTRI LETTORI DA PARTE DEL'ING. ANTONIO SANTORO
L'ing. ANTONIO SANTORO ha dato alle stampe negli anni scorsi un prezioso documento storico che descrive dettagliatamente la disastrosa frana di Vasto del 1816. Si tratta della relazione di Erasmo Colapietro al Real Istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli nel 1817, che fu anche pubblicata dalla Stamperia dei Fratelli Fernandes di Napoli (1822). E' un prezioso documento - da conservare - che l'ing. Santoro mette a disposizione del popolo vastese.
L'ing. ANTONIO SANTORO ha dato alle stampe negli anni scorsi un prezioso documento storico che descrive dettagliatamente la disastrosa frana di Vasto del 1816. Si tratta della relazione di Erasmo Colapietro al Real Istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli nel 1817, che fu anche pubblicata dalla Stamperia dei Fratelli Fernandes di Napoli (1822). E' un prezioso documento - da conservare - che l'ing. Santoro mette a disposizione del popolo vastese.
MEMORIA
SU LE ROVINE DELLA CITTÀ DI VASTO, IN ABRUZZO CITERIORE AVVENUTE NEL MESE DI APRILE DELLO SCORSO ANNO 1816; DEL SOCIO CORRISPONDENTE DOTTOR ERASMO COLAPIETRO:LETTA NELL’ADUNANZA DE’ 20 FEBBRAIO 1817.
Vasto di Aimone, remotamente
chiamato Histonium, fu una delle più antiche Città
della regione Frentana, abitata prima dagli Etruschi ed indi da’Romani, e che forma oggi la costiera marittima di Abruzzo Citeriore. La via Traione Frentana, che da Aterno per Ortona, Istonio, Larino terminava a Brindisi, tragittava ancora per Vasto. Collo scorrere degli anni cambiò nome,..e nel fine del regno de Longobardi si chiamò Guast Aimonis, cioè Praetorium Aimonis; ed in seguito si denominò pure Guasto, Wasto, e finalmente Vasto. A giudizio del meritevolissimo signor Barone Durini il nome di Guasto successe all’antico Hystonium, di cui distrutta la potenza, e la gloria per le rovine, e pei disastri avvenuti ne’ mezzi tempi, fu convertito in Guasto, cioè devastamento, esterminio, rovina.
della regione Frentana, abitata prima dagli Etruschi ed indi da’Romani, e che forma oggi la costiera marittima di Abruzzo Citeriore. La via Traione Frentana, che da Aterno per Ortona, Istonio, Larino terminava a Brindisi, tragittava ancora per Vasto. Collo scorrere degli anni cambiò nome,..e nel fine del regno de Longobardi si chiamò Guast Aimonis, cioè Praetorium Aimonis; ed in seguito si denominò pure Guasto, Wasto, e finalmente Vasto. A giudizio del meritevolissimo signor Barone Durini il nome di Guasto successe all’antico Hystonium, di cui distrutta la potenza, e la gloria per le rovine, e pei disastri avvenuti ne’ mezzi tempi, fu convertito in Guasto, cioè devastamento, esterminio, rovina.
Sotto Roma libera Istonio ebbe le sue leggi, ma essendo
stata vinta, fu dominata da’Siracusani, da Sanniti, e da’ Romani. Fu municipio
come tutte le altre Frentane Città; divenne Colonia sotto l’Imperatore
Ottaviano Augusto. Dall’Imperatore Vespasiano fu ripristinata in Municipio, e
seguendo quindi la sorte comune a tutti i popoli, fu soggetta poi ai
cambiamenti politici posteriori. Le vestigie di un antico teatro situato fuori la
porta del Castello di 250 palmi di lunghezza, e di 210 di larghezza,
acquedotti, e conserve di acque, monumenti di antica Naumachia, latine
iscrizioni, vasi finissimi e coloriti, camei, medaglie, idoli, marmi, sepolcri,
statue attestano abbastanza la celebrità di Vasto.
Esistono i ruderi dei tempii di Bacco, di Ercole, di
Cerere, di Febo, di Vespasiano; e fu Sede Vescovile nel secolo quinto, giusta
una lettera del Papa Gelasio. Colla caduta del Romano Impero decadde, e si
spopolò in modo che nel secolo XI era un
semplice Castello. Cominciò a risorgere sotto i normanni, ed i Svevi,
specialmente sotto Carlo III di Durazzo. Nel 1177 il Papa Alessandro III vi
albergò un mese; ma nel 1355 fu desolata, ed incenerita dal Conte Ladro, e da
Frate Mondiale conduttore di venti mila assassini. Nel 1456 fu quasi
interamente distrutta dal terremoto, e nel 1566 fu saccheggiata dal Saraceno
Piale Bassà spedito dal Solimano ad infestare l’Adriatico. Fu quindi dominata
dal celebre Caldora, poi dai Principi della Real casa di Durazzo. Il Re Alfonso
d’Aragona nel 1444 ne fece cessione ad Innico Guevara, e nel 1485 tornò sotto
il Regio Demanio. Il Re Federico nel 1467 cedette il Vasto ad Innico II
D’Avalos, i cui discendenti oggi, ne hanno il titolo di Marchesato, e ne possiedono
i più cospicui poderi. Su le antichità Istoniensi è stato scritto moltissimo da
Plinio, Varrone, Polidoro, Pellegrini, Pratilio, Balbo, Antinori, Ugelli, Viti,
Romanelli, Tiberi, e Betti ec.
CAPITOLO I
Quadro topografico di Vasto,
e dell’agro Istoniense.
Il Vasto è situato nel grado
42 di latitudine, e nel 32 di longitudine, ed è lontano da Napoli cento miglia,
da Chieti 36, da Lanciano 18, da Pescara 35, da Ortona 27, da Termoli 18, da
Campobasso 56, da Isernia 46. E posto nella riva dell’Adriatico, da cui è
bagnato all’Est, ed al NordEst. Confina al Nord con il fiume Sinella,
all’Ovvest con il vallone così detto del Mal Tempo; al Sud, ed al
SudOvvest con quello chiamato Bonanotte.
La massima lunghezza dell’agro Vastese dal Sud al Nord, cioè dal testé citato
vallone al Sinella, è di dieci miglia. La linea poi, che potrebbe tirarsi
dall?Est all’Ovvest, ossia dal mare al Vallone del Mal Tempo è di circa due
miglia e mezzo in tre, e questa sarebbe la sua massima latitudine. Quindi
l’estensione potrebbe essere di miglia ventisette e mezzo, ossia di passi
quadrati 27500; ma non corrisponde esattamente nel fatto tale misura, perché la
zona dell’agro Vastese non è perfettamente a guisa di un quadrilatero
parallelo, di cui ciascuno dei due lati opposti più lunghi sia di dieci miglia,
e ciascuno dei due lati più brevi di miglia due, e mezzo in tre. La mancanza di
esattezza nella dimensione, e la irregolarità del terreno, che serpeggiando,
ora si estende, ed ora si restringe, allontanano in certo modo dal vero il mio
calcolo.
Tutto l’agro Vastese è situato alquanto in eminenza,
giacchè sorge, e si innalza sopra i due valloni del Mal Tempo, e di Bona notte,
sul Fiume Sinella, e sul mare. Prendendo per punto il colle così detto
dell’Amendola, che sovrasta i due Valloni, il territorio dolcemente inclina a
Nord, ed ed all’Est. Non vi sono monti ma semplici colline; ed ad all’infuori
della già nominata vi è il colle di Montevecchio, e la ripa dei Ciechi. Il
terreno all’Ovvest e Sud Ovvest è elevato, e lascia la città nel declive;
mentre quello del Nord partendo dal colle dell’Amendola, si abbassa lungo il
vallone di Santo Onofrio, in cui si osserva una pianura sopra il Mare, dove è
situata la città.
L’agro intiero è bagnato ne’ suoi confini dal mare, dal
fiume Sinella, dai valloni del Mal Tempo, e di Bonanotte; e nell’interno è
solcato dal torrente Leba, ove si imboccano tre altri valloni, il quale dopo
tre miglia di corso si scarica nel mare quattro miglia distante dal Vasto. Dal
Leba al fiume Sinella scorrono tre altri piccoli valloni, che seguendo la
stessa direzione dell’Ovvest all’Est, mettono foce nel Mare verso quella parte
dell’agro, che molto si inoltra, e che chiamasi punta della Penna. I valloni
citati, ed il torrente sono mescinissimi di acque. Nell’està appena se ne vede
qualche apparenza, o pure sono disseccati. Le acque piovane si fanno strada si
fanno strada a traverso della terra, ed eccettuato qualche luogo, ove
compariscono delle sorgive de’ fonti in tutto il resto si profondano sino nel
sottoposto strato argilloso per quindi scaricarsi al mare.
La qualità delle terre è quasi la stessa in tutto l’agro;
poiché superficialmente vi è l’humus, o terra vegetabile, cui segue uno strato,
o piuttosto una congerie di ciottoli marini uniti alla sabbia, alla terra
calcarea , ed altri corpi. Questi si osservano dovunque petrificati, ed il
signor D. Benedetto Betti me ne fece vedere alcuni bellissimi, che in
abbondanza a guisa di strati si trovano in un solo podere posti sotto la terra
vegetabile. Uno strato di arena marina si stende sotto gli strati superiori, e
questa sovrasta ad un altro di argilla profondo, e tenacissimo, che è della
natura medesima di quello del fondo del mare. Quest’ultimo strato non ha eguale
profondità, giacchè vi sono de’ luoghi, dov’è profondissimo, ed in altri luoghi
è poco al disotto della superficie, donde escono le acque sorgive. Per
osservazione del rispettabile Barone Durini la terra vegetabile ha l’altezza di
dieci in dodici palmi. Lo strato sabbioso si profonda da cinquanta a sessanta
palmi; ma dalle fenditure centoventi di altezza il mentovato sig. Durini non ha
potuto rilevare quale sia la profondità dell’argilla, che si livella
probabilmente con quella, sopra cui poggia il mare. Dal fin qui detto è chiaro,
che essendo doppia inclinazione l’agro Vastese, le acque scorrendo la
superficie penetrano la terra vegetabile, s’infilano per la sabbia marina , ed
arrivano sino all’argilla che vi è sottoposta, base, e sostegno di tutta la
campagna, della Città, e del mare.
Il Vasto situato all’estremo del delizioso piano, che
Aragona appellasi, ottocento passi circa distante dal mare, signoreggia molta
parte de’ suoi spaziosi dintorni, ove tutto ispira piacere. All’Est guarda
l’Adriatico, le prossime isole Diomedee, i monti, e le regioni dell’opposta
Illiria. Al Sud, e Sud Est rimira il teatro dello scoscendimento, e da lungi
osserva il fiume Trigno, Bermeli, l’antica Interamnia. All’Ovvest è adornato
dall’Aragona, ed ha il Convento de’Cappuccini, e di S. Onofrio altri spaziosi
vigneti, casini, ec. Da lungi la di là del Capello guarda la parte mediterranea
del suo distretto, ed i monti piùalti degli Bruzzi, culla di annosi alberi, i
quali colle loro cime sfidando gli aquiloni, trovasi uniti per formare quelle
catene de’ grandiosi boschi, che da una parte ispirano ammirazione, ed orrore,
e dall’altra somministrano eterno alimento al fuoco, dove il clima estremamente
freddo gli rende oggetti di prima necessità.
CAPITOLO II
Descrizione dello
scoscendimento, e de’ suoi fenomeni fisici
Non entro a decidere, se
l’attuale disastro avvenuto al vasto sia stato il più lagrimevole di quanti ne
abbia sofferto ne’ tempi andati. Il certo si è, che dopo lo scoscendimento non
rimane alle sue marittime contrade, che il suo scheletro, e le sole luttuose
rovine. Quindi al favellare da storico indolente, o da spettatore insensibile,
converrebbe rinunciare ad ogni grado di filantropia. Se qualche linea intanto
io segno delle sciagure, e de danni di que’ cittadini, la gravezza delle rovine
lo esige, e essa ancora rende in certo modo patetica qualche espressione, che è
sempre figlia fedele della verità.
L’inverno del 1816 fu
estremamente piovoso, ed a vicenda si successero ora copiose nevi, ed ora
straordinarie piogge, è l’umidità atmosferica fu completamente stazionaria.
Nella metà di Marzo caddero tali nevi, che nella parte montuosa mediterranea
della provincia si elevarono da quindici a venti palmi; e nelle conca marittima
degli Abruzzi, e specialmente in Vasto montarono oltre l’usato a palmi quattro.
I venti furono a vicenda ora quelli del Nord, del NordOvest, che recano le
nevi; ed ora quelli del SudEst, o SudOvvest, che dal mezzogiorno conducevano le
piogge. Fu veramente straordinaria la massa delle acque cadute in quella
provincia del Regno ne’ primi mesi dell’anno. La neve che a grandi fiocchi
scendeva, fu copiosa tanto, che fece mancare ogni specie di pascolo agli
animali, de quali si ebbe una grande mortalità.
Nel primo di Aprile il sole
spuntò chiarissimo, le nebbie si erano diradate. Dopo l’empio de’ venti
settentrionali cominciarono a spirare quelli di mezzogiorno, che favorendo la
liquefazione delle nevi, rendevano l’aria al quanto più temperata. Tutti
godevano della prima bella giornata di primavera, quando verso il magazzino del
sale le acque del mare cominciarono a ritirarsi. All’una pomeridiana quel
diligentissimo signor Sottintentende senza alcuna prevenzione vide dai balconi
della sua abitazione, che il lido in certo modo elevava, e che le acque si
erano al quanto ritirate. Dopo un’ora e mezza vide con istupore estremo, che il
fenomeno erasi inoltrato moltissimo, ed aveva acquistato grande estensione. Il
mare erasi ritirato per la lunghezza di circa un miglio, e nella latitudine di
circa trecento palmi. La spiaggia deserta dalle acque erasi innalzata, ed il
fondo pietroso, ed argilloso del mare erasi visibilmente elevato sull’ordinario
livello.
Il Barone Durini si recò alla
parte orientale della città, che conduce al mare, si assicurò della verità del
fenomeno non avvertito da altri, chiamò a se le persone più distinte, le varie
Autorità ed avvertì ognuno dell’imminente pericolo. La novità si sparse da per
tutto. Il signor Barone Muzii aveva anche veduto, che le acque si ritiravano.
Tutto fu moto in quel momento. Divulgatasi la notizia, si eccitò nel popolo pel
primo conceputo orrore un tale disturbo e tumulto di affetti, che parve
degenerare in una specie di eclissi di senno, e quindi tutti restarono nella
stupida ed imbecille inazione. La vigile cura del signor Barone Durini rimediò immediatamente
a tutto. Egli accoppiando alla più commovente umanità il più autorevole
contegno, diede sesto alla pubblica tranquillità, e mentre pensò agli
espedienti del momento, non dimenticò la conservazione dell’ordine pubblico. Fu
in questa circostanza non poco secondato dal comandante del distretto signor D.
Luigi Cardone Barone di Castebottaccio.
Si pensò dal prelodato signor
Sottintendente Durini a far mettere in salvo le persone, ed evacuare le case
site al Sud della città nella contrada di Santa Maria, appena che si vide il
terreno screpolare, e scoscendere. Si osservò anche prima delle rovine, che tre
pubbliche fontane si erano disseccate, le piscine di campagna, ed altri
serbatoi di acque destinate ad irrigare gli speciosi e limitrofi giardini erano
asciutte. Una così completa e totale deficienza di acque faceva prevedere il
disastro sicuro. Gradatamente tutta la terra, che si estende dalle mura della
città verso la parte di Santa Maria al Sud fino alla porta di S. Michele
cominciò a cambiare sito, ed a distaccarsi dal rialto superiore. La superficie
del suolo scendeva in modo che sembravano portarsi verso il mare gli uliveti, i
vigneti ed i fabbricati.
Non fu così in tutta la estensione del teatro della fisica rivoluzione. Questo si
verificò in certi dati siti, ed ove più, ove meno la terra dalla parte
superiore si sprofondò nel declive inferiore. I fondi utili all’agricoltura si
penderono. Là gli ulivi si inchinarono fino ai rami, e qui una densa e copiosa
massa di argilla fluente, ed ondeggiante seppellì nel suo seno quelle
possessioni, che formavano la ricchezza de’ proprietari.
In altri luoghi le
radici degli alberi seppelliti appena dalle zolle mentre i rami, e le cime
erano conficcate, e rovesciate nel fondo. Il corso delle acque restò perfettamente
perduto ed interrotto; l’occhio non vedeva che profonde, ed estese voragini,
muri isolati, e cambiati di sito, in parte inclinati, o screpolati, che
funestamente ricordando le deliziose case di campagna, cui appartenevano. Tutta
l’opera dell’industrioso cittadino fu distrutta in un momento, ed in tanti siti
una congerie di pietre, di rottami, di calcine occupò il luogo delle delizie, e
della magnificenza. Profonde fenditure solcavano le terre scoscese, che un
movimento vorticoso aveva ritrovato, e che ne interrompeva il corso. Il teatro
delle rovine era prima di tutto abbellito di amenissimi vigneti, i di cui
frutti a stagione propria rendevano bastanti somme ai loro possessori. Il piano
lungo il lido, ed i vicini colli erano ornati di fichi, di mandorli, di ulivi,
di agrumi. Bastò il primo giorno di aprile per completare il distacco delle
terre nella indicata estensione, e per farvi succedere una profondissima
voragine.
La fisica rivoluzione
continuò la notte seguente. La mole della terra seguitò a scoscendere; il
distacco si aumentò; le rovine si avvicinarono a pochi palmi di distanza dalle
mura della città al suo SudOvvest, e presentò una direzione assai più remota al
Sud nel locale della ripa de Ciechi. La mattina de’ 2 raddoppiò lo spavento,
perché da una parte il mare si era vie più ritirato, il fondo di questo si era
ulteriormente elevato per effetto di una sottoposta interna forza, che lo
proiettava, e lo spingeva in alto; e dall’altra il distacco erasi perfezionato
nella ripa de Ciechi, che restò tagliata fino all’altezza straordinaria di
palmi 150, continuando le terre superiori a scorrere per avere perduto le basi
argillose, che le sostenevano.
Il fenomeno proseguì a tutto
il giorno 3; quando tutte le fabbriche, i poderi, i magazzini, e fondachi
avevano cambiato sito scorrendo verso il mare e nella loro integrità, o in
rottami. Il magazzino regio del sale, in cui ve ne era depositata una
prodigiosa quantità, restò immobile; una porzione subissò, il pian terreno si
elevò , una corrente di acque lo penetrò, e lo cinse all’intorno. I ruderi
restarono isolati, e le autorità locali fecero a gara per salvare il sale; e
non potendosi condurre in Vasto per la distruzione delle strade, e per la
mancanza della comunicazione, si pensò porlo in sicuro si le barche.
L’aia superficiale delle
terre rovinate ascende ad un miglio quadrato, e la figura è di un quadrilatero
romboidale. I due angoli ottusi sono alla porta di Santa Maria, ed al vallone
di ponticello, e i due acuti sono alla ripa de’ Ciechi, ed al mare. Si espresse
sensatamente il signor Barone Durini, quando disse, che la cagione operò alla
ripa de’ Ciechi alla porta della marina, o sia al SudOvvest al NordOvvest per
la linea della diagonale; ed in conseguenza l’urto fu diretto al di sotto delle
mura della Città. Mancata la terra sottoposta per essersene scoscesa sino al
mare, si distaccò dalla citata ripa tutta quella, che in declive vi era; e
sprofondata già, restarono scoperti gli strati argillosi, aprendosi una
voragine di 150 palmi sotto la ripa dirupata, che poi nel 4 e 5 giorno si
ridusse a cento per la caduta delle terre laterali senza appoggio, che in certo
modo la riempirono.
Seguendo il corso della
diagonale, e propriamente dove le due diagonali, che tirare si potrebbero dagli
opposti angoli del romboide, queste si uniscono nell’orto del signor Spataro,
il disastro è stato maggiore. L’urto in tale direzione fu così violento, che
spinto il sottoposto strato argilloso sotto la spiaggia del mare, il fondo si
levò sul naturale livello delle acque molto più che in tutto il resto della
linea, proiettando a trenta passi all’ingiù dè casamenti; e finalmente ove la
vorticosa lava trovò ostacoli si accumulò per trasportare seco in rovescio
quanto vi era di ulivi, e di fabbriche. La casa di Rosa Spataro dopo
l’allontanamento dal suo primo sito ad un altro non prossimo, aperta da varie
fessure, si mantiene eretta, benché minacci di crollare. È circondata da
numerose voragini, dalle quali sono stati ingoiati altri edifici, e fondi
vicini.
La voragine più significante,
che mise in vivo rammarico tutti i cittadini fu quella che da vicino si formò
sotto le mura dell’abitato al Sud.
Il rione detto di Santa Maria fu prossimo a
crollare, e riempire così il profondo abisso, che ne nasceva. Il lembo
superiore dello scoscendimento è distante pochi palmi dalle mura della città.
L’altezza tagliata a perpendicolo è di palmi ottanta. Un lago si formò al di
sotto con le acque riunite di tre fontane, che avevano il corso per mezzo di
canali né prossimi giardini, e di tre scaturigini comparse nello scoperto
strato argilloso. Il lago progressivamente crescendo da vicino minacciava le
mura delle abitazioni. Qui terminò la rovina verso la città, e formando angolo
ottuso lo scoscendimento prese la direzione del mare verso Est. Lo strato
argilloso sottoposto, che era scosceso sin sotto il livello del mare, il cui
fondo erasi sollevato in alto, aveva lasciato senza appoggio gli strati terreni
superiori. Qui crollando la terra sovrastante, gli abituri campestri, i
numerosi giardini, il tratto di strada maggiore, che dalla città conduceva al
mare, le altre minori laterali, che attraversano le adiacenze della stessa, le
peschiere, e le fontane rurali, le case
di campagna, il magazzino del sale, e i vigneti caddero in una universale rivoluzione;
e quindi in poco tempo, ed a vista di numerosi spettatori gradatamente
sparirono, e né loro siti sursero delle vorticose voragini, nuovi gorghi di
acque, e stagni profondi. Scorrendo la terra superiore, gli ulivi gli alberi,
le viti, gli edifizii quasi peregrinando (siami lecita questa espressione) dal
proprio sito andarono ad occupare gli altri inferiori; ed il disordine divenne
generale, quando comparvero là; o a metà seppelliti, e quà pendenti, mal fitti,
o inclinati. Profondi, e variati solchi sono le tracce di questo strano
sovvertimento, ed indicano la direzione tenuta dagli alberi nella loro
tumultuaria traslocazione formando un aggregato di confuse, e rotte sezioni. Le
valli si riempirono col rovescio delle terre, e nuove colline sursero con la
elevazione di altre terre ove dure, ed
ove liquate, che si ammonticchiavano.
Le screpolature, le solcature, gli
avvallamenti, le voragini, i laghi, le nuove colline, la locomozione degli alberi, e degli edifizii, gli abissi
aperti ovunque, e che penetrano a centinaia di palmi; rattristavano l’animo
dello spettatore, accrescevano le forze alla fantasia giustamente accesa, e
rendevano pittoresca la vista del teatro della fisica rivoluzione. Piccolo
rovescio di terre successe all’Est sotto la così detta Porta della Marina. Ivi
l’urto fu minore, perché il sito era lontano dall’origine, e dal centro de
fenomeni. Il suolo però si precipitò con rovina, attesa la maggiore
inclinazione.
Tutta la linea del Nord al Sud per l’Est presentò il più
importante fenomeno, che siasi manifestato, cioè il ritiro delle acque del mare
dai limiti naturali del lido. L’antica spiaggia del mare di Vasto era
perfettamente eguale, ed appena osservasi un leggiero insensibile declivio. Le
acque la ricoprivano, e si estendevano quasi vicino le mura del magazzino del
sale. Non vi erano scogli in quella direzione, contro quali onde urtassero.
Tutto si cambiò progressivamente in quattro giorni, le acque rincularono,
perché il fondo del mare si sollevò. Non fu la terra, che si agglomerò sul lido
, e ne formò una prominenza. Questa anzi spinta nel mare sarebbe si fra le onde
liquefatta, e niuna stabile elevazione avrebbe potuto formare. Non fu una lava
che scendendo dall’alto si fermo sul mare, e ne fece ritirare le acque. Non fu
una cagione esterna , che agi sulla superficie, e ne fece cambiare il livello. Una forza
proietto le interne terre, che agendo a guisa di cuneo spinsero in lato il
fondo.
Questo serbò tutte le condizioni di lido formato di profondo e denso
strato di argilla, e tiene alla sua superficie quegli scogli, che prima stavano
sotto il livello delle acque.
La forza proiettile non fu di sostanza aeriforme,
perché questa sviluppandosi avrebbe col suo elaterio prodotto una scossa, uno
scoppio, e non avrebbe avvenuto con questa progressione cotantò tranquilla. Non
fu lo sviluppo di un sotterraneo fuoco, che qual cuneo agendo avesse cagionato
lo straordinario fenomeno. Si sarebbe osservata varietà di temperatura, la
produzione sarebbe stata momentanea, la terra si sarebbe scossa, ed aperta con
violenza, si sarebbe inteso uno scoppio, ed ognuno avrebbe avvertito qualche
scossa. Per effetto delle due citate cagioni il fenomeno della elevazione
sarebbe istantaneo sino alla sortita del fluido gassoso dalle viscere della
terra. Non fu l’azione dell’elettricismo terrestre, che disquilibrato con
quello dell’atmosfera e tendente all’equilibrio poteva scuotere la terra, e
rinnovare le scene funestissime, e lagrimevoli del 1783, e 1805. Nell’animo di
molti il sospetto ebbe luogo. Si disse, che in Vasto le meteore elettrice sono
frequentissime, come le trombe, che né primi mesi del 1816 furono due, le
aurore boreali, i lampi, i tuoni, i fulmini, e qualche scossa di terra. Si
disse essersi veduti nella notte precedente al primo aprile dè pennacchi
luminosi di raggi divergenti, che dà pescatori furono creduti di attorniare la
città. Si credè che l’elettricismo si fosse
equilibrato, rompendo gli argini della terra, e tanto più si credè vero,
perché pochi giorni prima eransi sentite
le scosse, benché leggiere, di tremuoto
in vari paesi della provincia, In
ultimo si giudicò che le acque delle peschiere, dè fonti, dè canali, e
quelli delle nevi disciolte, servendo da conduttori, avessero salvato la città.
Le seguenti riflessioni dimostrano però la niuna azione dell’elettricismo.
L’esistenza dè pennacchi
luminosi è posta in dubbio, e quasi da tutti negata.
Niuna serie di meteorologiche
osservazioni indicò, che l’atmosfera fosse difettiva, e la terra nello stato di
positivo ed eccedente elettricismo.
il giorno 1° aprile era stato
preceduto da tempo nevoso, piovoso, ed estremamente umido; quindi vi era tutta
la communicazione fra la terra, e l’atmosfera per l’equilibrio elettrico.
L’abbondanza delle peschiere,
delle fontane, dè canali, degli acquedotti, e delle acque disperse nelle
viscere del suolo screpolato e scosceso dimostra, che non vi era interruzione
fra i due mezzi positivamente, e negativamente elettrizzati; e perciò qualunque
accumulamento ed elettricismo nel seno della terra si sarebbe facilmente
rimesso in equilibrio con l’atmosfera , e viceversa.
L’azione dell’elettricismo è
istantanea, poiché estremamente celere,
e veloce. Per effetto di questo agente la terra sarebbe stata subito
sbalzata a grandi distanze; il suolo si sarebbe concusso; il rumore
spaventevole, nunzio di vicino tremuoto, avrebbe percosso l’orecchio dè
cittadini. Anzi accadde tutto il contrario, poiché il movimento delle terre fu
lento, tardo, e progressivo. Tutto il popolo incitato e mosso dall’urgenza del
pericolo vide, che la terra gradatamente si solcava , e tranquillamente
scendeva dall’alto per occupare il luogo lasciato voto nella parte inferiore.
La pacatezza, con la quale cominciò; progredì, e fini il fenomeno, dimostra,
che l’elettricismo non vi ebbe alcuna influenza.
Quale fu dunque la cagione
del nostro raro e straordinario fenomeno?
Forsi la stessa fu tutta materiale.
In fatti lo strato argilloso del teatro dello scoscendimento, essendo spinto in
tutte le direzioni, si elevò nella parte più debole, perché rammollito dalle
acque eccessive, che scendevano come per un piano inclinato sotto la superficie
del fondo del mare. E’ ciò osservabile né quattro vari strati di progressiva
elevazione dipendenti dai replicati urti interni dè primi quattro giorni di
aprile. Si osservano lungo la linea dal Nord al Sud quattro rialti simili a
lunghi gradini, rappresentando quattro livelli di diversa elevazione,
proporzionati alla forza proiettile. Il mare dunque si ritiro, e lasciò
scoverta una estensione di spiaggia a guisa di zona, la di cui larghezza è di
palmi cinquecento, e la lunghezza è di un miglio. Le barche, che poggiate sulla
spiaggia erano vicinissime alle acque, furono respinte col sottoposto fondo in
alto, e si trovarono trenta palmi sul livello del mare. Apertosi l’antico scolo
delle acque adiacenti fra la città, ed il mare, una parte di questo
profondamente si depresse, ed un’altra elevandosi era cresciuta in modo, che
fra la depressione, e la elevazione del fondo del mare si formò una valle con
piccoli laghi nel mezzo all’antico, ed al nuovo lido. Tutto lo spazio poi,
scendendo dall’alto al basso, comparve ricoverto di ruderi, e di fabbriche ora elevate, ed ora avvallate.
Più pantani, e due, o tre laghetti sono surti fra ’antica, e la nuova spiaggia,
ed il fonte, donde si attigneva l’acqua vicino al magazzino del sale non è più
visibile essendosì profondato sotto l’attuale livello. Innalzatosi il fondo del
mare, furono respinti in lato anche gli scogli, che vi erano, e quegli altri,
che si trovavano nel fondo. In Mezzo agli scogli, e fra le zolle di argilla, ed
i sassi rimasti a secco, e fuori l’acqua ancora si ottenne una straordinaria
quantità di datteri di grandezza insolita, e non mai osservate nelle spiagge
dell’Adriatico.
La elevazione del fondo del mare al punto del NordEst fu così
osservabile, che surserto dal mare molti rottami, reliquie di antichi edifizii,
due pezzi di colonnati di mattoni cotti, varii pavimenti di opere reticolate,
muri di mattoni a triangolo, pezzi di fabbricati fortissimi di mattoni di una
straordinaria grossezza.
Questi avanzi di antichità furono osservati sulle
prime dal signor Barone Durini, il quale vi notò , che l’azione delle acque
dalle quali erano stati ricoverati , aveva in certo modo corroso i mattoni, e
li aveva incrostati di calcaree concrezioni.
L’innalzamento è stato vario. La parete superiore si
eleva a cinquanta palmi. La linea, che univa l’antico lido alle terre
coltivate, restò immobile e senza essere rovinata. Il fondo del mare innalzato
a più riprese lasciò una specie di lunga
valle sotto le terre scoscese, e sull’antico lido. La cagione proiettile ha
agito dunque sotto la superficie del fondo, e direi quasi elevando in alto. Non
occorre neppure immaginare, che l’abitazione e la sovrapposizione della terra
liquida, scendendo come per un piano inclinato sin dentro il mare, abbia
scacciate le acque; giacchè effettivamente sino al mare non discese, anzi
neppure arrivò al lido, che a guisa di cuneo premendo premendo, ed urtando
l’interno del fondo, lo distaccò, e lo divise al di sopra della sua naturale
posizione. Che sia desso un vero fondo di mare, lo dimostra la oculare e
semplicissima ispezione, la quale non sa distinguervi alcuna diversità. Gli
scogli grandissimi, che gradatamente si vedevano sortire fuori dal mare, che
non mai si erano veduti, dopo il quarto giorno restarono a secco sull’alto
della linea del fondo elevato: come pure le conchiglie numerosissime, ed i
datteri sortiti fuora sono una prova evidente e dimostrativa, che il fondo
marittimo non si elevò per sovrapposizione di mobile e molle terra, maper
effetto dell’interno materiale.
Il fenomeno interessantissimo, straordinario, e degno
delle indagini dell’osservatore, fu appunto l’innalzamento del fondo del mare
nella grande estensione di palmi quadrati 3.666.666, equivalenti a canne
858,333 circa, prendendo la dimensione de’ due lati del fondo suddetto, che a
figura di un parallelogrammo si elevò per mille passi di lunghezza, e
cinquecento palmi di larghezza. Quindi calcolando il maximum della elevazione a
palmi cinquanta, ed il minimum di zero, può stabilirsi la elevazione media in
palmi venticinque; risultandone che la intiera massa del fondo elevato forma un
cubo di canne 179,056 di una canna. Massa straordinaria per superare la
coesione della quale con gli altri strati immediatamente sottoposti, fu
necessaria non solo una forza tale, che dovette essere superiore in intensità
alla reazione del fondo; ma pure una quantità di materia eguale quella, che contro la propria inerzia si
elevò dal proprio stato.
Continuando quindi la descrizione dello scoscendimento,
resta provato, che lungo il corso della diagonale vi fu rovina maggiore, e che
sotto la porta di Santa Maria molto lontana dal centro della fisica rivoluzione
non vi sarebbe stato distacco, se il sottoposto terreno non si fosse avvallato.
Così il distacco delle terre dall’estremo della ripa de’ Ciechi fu inevitabile,
giacchè mancata la base per gli scoscendimenti succeduti nel fondo del signor
Spadaro, certo principale del fenomeno, le terre più alte dovettero
distaccarsi. La voragine aperta colà nel secondo giorno era di palmi
centocinquanta. Le terre distaccate, che crollarono giù, la riempirono pel
terzo; ed ora cento palmi di altezza vi sono dalla ripa, e dal piano
soprapposto alla citata voragine, la quale si incanala in un vallone della
lunghezza di palmi cinquecento, ove gli uliveti e vigne caddero all’intutto, e
con lo stesso ordine col quale stavano nel loro sito naturale.
La cagione, che accresceva il disastro al momento, era la
liquefazione delle nevi, le quali formavano con le terre mosse uno scorrevole
liquame. Ove eranvi fonti, rivi di acque, e peschiere, la fu più violento lo
scorrimento delle terre. Comparvero quindi le prominenze maggiori, più profondi
gli avvallamenti, più screpolato e ripieno di fenditure il suolo, più inclinati
i piani, più appianati i rialti, e più inabissati gli edifizii. Le mosse
sezioni di terre si videro confuse in modo, che in dati siti in mezzo ai
continuati strati di terra vegetabile, o di sabbia, sorgevano de’ grossi massi
di densa e cileste argilla, che disordinatamente si mescolava con gli altri
strati vicini. Scomparirono ne’ primi giorni le acque, le quali, apertesi nuove
strade, formarono varii depositi ne’ luoghi avvallati, dando origine a nuove
scaturigini.
Ho detto, che il centro più ragguardevole delle rovine fu
il fondo rustico del signor Spadaro. A piccola distanza vi era il casino del
signor Cardone. Una camera di mezzo subissò, e le laterali dall’alto fino al
piano terreno peregrinarono col suolo, cui erano attaccate pel corso di 20
passi progredendo verso la direzione inferiore. Le fabbriche si mantengono
erette anche oggi, e se si accomodasse la camera di mezzo, il casino sarebbe di
nuovo abitabile. Il giardino contiguo di agrumi circondato di muri subissò, e
disparve completamente. Tutte le strade, che conducevano al mare, soffrirono in
questo rovescio. Le due che stavano alla ripa de Ciechi, ed ai Tresegni furono
inviluppate da profonde e terribili voragini; e le altre due furono rotte dalle
screpolature, deviate dall’antico sito, ricoverte dalle rovine superiori, e
rialzati co’ massi delle terre scoscese.
Fu necessità di aprire un
fosso per dare corso alle acque stagnanti, che rigurgitavano. Allora si
ebbe l’occasione di rilevare la profondità delle fessure, e screpolature. A 140
palmi di profondità del fosso suddetto le screpolature si vedevano penetrare
più inferiormente, ed apparivano voragini tali sottoposte, che vi bisognò tutta
l’abilità dei lavoratori; e si consumò molto travaglio per impedire, che
ingoiassero le acque, che dovevano con tale canale deviarsi.
In tanto disastro
non perì alcuno, ed il rione si Santa Maria fu per qualche tempo abbandonato,
sino a che ognuno potè assicurarsi, che ere cessato l’empio, e la energia.
CAPITOLO III
Stato attuale delle terre
rovinate
Le nevi finirono di
sciogliersi, le acque svanirono ne’ loro maggiori rigurgiti, perché si fecero
strada attraverso delle terre smosse, e ricomparvero in varie scaturigini. L’abbassamento
delle terre sotto il rione di Santa Maria, e sotto la ripa de’ Cechi, essendo
oltre i cento palmi faceva temere nuove rovine. Ma nulla di più ne successe.
Gl’industriosi agricoltori, ed i giardinieri Vastesi nel corso dell’està
appianarono con la zappa le vorticose ineguaglianze, solcarono i fossati,
abbassarono i rialti, recisero, o svelsero dal
Suolo gli ulivi secchi inariditi, ed in qualche modo ne resero così meno
orrido il tetro aspetto. I giardini solamente, ed appunto fuori il corso diagonale
del romboide in qualche sito hanno cominciato ad appagare la vista; ma le viti
non si sono rianimate, ed una porzione sola di ulivi ha continuato a vegetare.
Un gran pericolo intanto è imminente, e forse sarà fatale alla città. A pochi
palmi di distanza sta il significante distacco delle terre, che si innalza a
cento palmi verticali sopra l’abisso delle voragini inferiori.
Quale forza si
opporrà per impedire, che i fabbricati superiori rimasti allo scoverto, e privi
di appoggio, e di base, e di base non crollino ne’ sottoposti voti? Quale
potenza frenerà il corso delle terre, che sciolte da nuove acque e dalle nevi
non scorrano con tutta la violenza di un moto accelerato pel declivio, e pe’
precipizii tagliati a perpendicolo? Quale resistenza impedirà che le due Chiese
rurali di San Michele, e di San Lorenzo non crollino? Quali mezzi si metteranno in opera affinché
non scoscendano il grande acquedotto della pubblica fontana, e le imminenti
fabbriche , le quali si elevano immediatamente sopra l’angolo ottuso del
descritto romboide in vicinanza della città? Forse un giorno la più bella, la
più deliziosa, la più amena città Frentana, il Posilipo degli Abruzzi, Potrà
essere ingoiato dalle voragini in parte, o in tutto, e non lascerà a noi, che
la sola memoria della sua prisca grandezza, e la rimembranza del destino
funesto cui soggiacere.
Il giusto timore si accresce dalla riflessione della
indifferenza, con cui si osserva il disastro passato, senza calcolarsi le
conseguenze dell’avvenire. Bisogna però tributare i contrassegni della più alta
riconoscenza al signor Intendente Marchese di S. Agapito, che mosso dalle
urgenti relazioni del signor Barone Durini, spedì prontamente l’ingegnere
dipartimentale signor Michitelli, il quale riparò alla presente disavventura, e
diede ancora provvedimento al pericolo delle future conseguenze. Si scavò
quindi un fosso per dare scolo alle
acque raccolte; e si riferì quello che conveniva fare. Niuna altra opera
pertanto erasi eseguita a tutto il mese di ottobre, e neppure mi è noto, che
siasi fatto altro posteriormente. Lo
stato attuale delle cose rattrovasi nella stessa posizione da me descritta. (1)
(1) Nell’intervento del 1818
si sono fatti varii lavori dietro le accorte perizie dell’ingegnere
dipartimentale di prima classe D. Eugenio Michitelli. Si è dato corso alle
acque stagnanti; si sono scavati dè canali opportuni; si sono appianate le
terre, e poste a coltura. Altre opere restano ancora da eseguirsi, e
segnatamente il muraglione per fare argine alle terre, che potrebbero
scoscendere dietro il rione di Santa Maria. Tutto è sperabile che si esegua
dallo spirito patrio e disinteressato de’ buoni Vastesi. S’eglino termineranno
le opere incominciate, ai concittadini, a loro stessi, ed ai posteri.
CAPITOLO IV
Scoscendimenti, a’ quali il
Vasto andò soggetto ne’ tempi passati
Il disastro descritto non è
nuovo nel Vasto, e neppure nelle altre città marittime frentane dell’Adriatico.
Fisiche rivoluzioni, oltre le politiche de’ tempi, distrussero le città di
Gaudia, Betavio, Usconio, Buca, e la famosa Gerione, di cui oggi non
appariscono, che grandi mucchi di pietre, rotti colonnati, vestigia di antichi
acquidotti, avanzi di pavimenti, mattoni e mura diroccate di grandi edifizii.
Le notizie raccolte dalla storia, e da’ fatti osservati dopo lo scoscendimento
di aprile ne fanno sicura testimonianza. Nel rione denominato Lava al Nord –
Est della città si osservano rotte visibilmente le antiche cloache, le quali
sovrastano di molto le terre sottoposte. Muri interrotti, fabbriche di mattoni
diroccate, ed in varia direzione agglomerate con le terre si trovano lungo il
declivio sino al mare. La zappa scava nelle vicine campagne continui ruderi di
antiche abitazioni. Ovunque si veggono canali roti, che un tempo conducevano acque,
e che ora sono voti.
Fuori Portanova al Nord della
città nelle adiacenze della Chiesa di santa Maria delle Grazie vi è un fossato
in cui, come riferisce il chiarissimo abate Romanelli nelle sue discoverte
frentane, si trovano ne’ tempi andati eleganti vasi coloriti, medaglie, idoli,
cammei, statue, corniole, pezzi di marmo, di lapislazzolo, e monete. Lo storico
Pollidoro ci ha istruito, che nell’antico museo di Avalos vi era una ricca
collezione di tali oggetti, la quale poi passò in proprietà di Giuseppe
Valletta, e quindi in potere de’ monaci della congregrazione dell’Oratorio. Lo
storico Gori ha arricchito il suo etrusco museo con la descrizione di taluni
de’ citati vasi. L’erudito Viti storico Istoniense, secondo lo stesso signor
Romanelli, trovò seppellito fra le zolle un braccio di bronzo con alcune
lettere scolpite nella mano. Se il chiarissimo D. Benedetto Betti pubblicasse i suoi preziosi manoscritti su la
storia, e le antichità Istoniensi, si saprebbero quanti altri monumenti antichi
furono trovati ne’ citati luoghi. Tanti oggetti di simil fatta che man mano
appariscono non indicano forse che un disastro, una rovina, un tremuoto, una
lava, uno scoscendimento distrusse parte della città, seppellendola, e i di cui
ruderi ora riveggono la luce? Tale giudizio è regolarissimo.
Quello che si è avanzato
viene conformato dalle ulteriori osservazioni fatte dopo il 4 aprile 1816.
Elevandosi il fondo del mare, come sopra si è indicato, sino all’altezza di 50
palmi, restò scoverto lo strato argilloso, e nella direzione della citata
contrada della Lava sono comparsi ruderi di antiche fabbriche, che per lunghi
secoli sono stati sommersi nelle acque; e che adesso il fondo nuovo ha fatto
comparire a secco. Più sopra ho notato, che riuscirono dal mare alla punta del
Nord – Est in corrispondenza della contrada della Lava molti rottami di antiche
fabbriche, due pezzi di colonnati di mattoni cotti, varii pavimenti di opere
reticolate, e muri di mattoni a triangolo. Il tutto quindi indica che nel luogo
suddetto fin da remotissimi tempi vi fu altro scoscendimento, che rovinando gli
edifizii, li trascinò seco sin dentro il mare, dal quale furono ricoverti.
Vi è qualche cosa di più, che
merita essere accennata. In agosto 1816 un galantuomo vastese della famiglia
Muzii, andando ai bagni, gli venne in pensiere di nuotare giusta il suo solito,
e si diresse per caso alla punta dello scoscendimento verso le acque le più
vicine al fondo elevato. Nuotò per poco
altrove ma avvicinandosi al luogo indicato fu inviluppato dalle onde, che si
agitavano con vortico moto. In fatti si senti ingoiare da una profondissima
voragine, mentre credeva di fiancheggiare il lido scarsissimo di acque, ed
eguale in tutta la sua estensione. Scomparve l’infelice dagli occhi degli
amici, che adoprarono inutilmente tutt’i mezzi per estrarlo dall’abisso. Quando
già si disperava della sua vita, un marinaio, che per buona sorte vi stava
vicino sopra un legno mercantile, si gittò nella voragine, e nel sito più cupo
tocco l’infelice naufrago. Lo prese per la mano, e lo tirò a fior d’acqua. Vi
fu bisogno di molto tempo per renderlo agli usati ufficii della vita, giacchè
il freddo gelido ministro della morte gli aveva assiderato le membra, e lo
aveva reso apparentemente destituto di vita. Dopo l’acquisto de’ sensi,
interrogato del successo, disse che il lido nuovo, quantunque sembri
perfettamente eguale e regolare, pure sotto il locale de’ due scogli si apre
una profonda voragine, che non mai vi è stata, poiché egli per lunga pratica
era stato solito co là nuotare. La dimensione della stessa è straordinaria, le
acque la riempiono completamente, e vi si immergono, ed emergono con moto
vorticoso, per cagion del quale egli perdè subito i sensi, non potendo farvi
altre osservazioni. Il marinaio confermò lo stesso.
Cosa mai è questa voragine?
Fosse il recinto interno di qualche camera o di qualche edifizio scosceso giù,
ed indi assorbito dal mare?
Se nelle adiacenze indicate ho notato essere emersi
ruderi, muri, colonnati, pavimenti, qual difficoltà ci sarà nel credere, che vi
possano essere delle intiere camere, o edifizii sotto le acque, e che
dall’energia del fenomeno siano state elevate dal fondo del mare, formando la
sopradetta voragine? Bastanti motivi m’inducono a credere di essere avvenuti
altri fisici rovesciamenti nella città, ed agro istoniense. Fui assicurato dal
signor D. Giovanni Barbarotta, che esiste fra le antiche carte di sua famiglia
un prisco manoscritto, che fa distinta menzione delle rovine, dalle quali fu
distrutto altre volte l’antico Istonio, e che lo fecero decadere dallo stato di
grandezza, cui era pervenuto in tempo de’ Romani. Mi duole di non avere potuto
consultare tali antiche memorie per una improvvisa combinazione. Ne fui
egualmente assicurato dal mio amico D. Massimino Barbarotta, che aveva veduto
un tale MS. Crescono le ragioni, che ci annunziano i disastri passati dalle
semplici osservazioni dello scoscendimento recente. Ho narrato, che per
scavarsi un canale si eseguirono varii tagli di terra, affinchè si desse corso
alle acque, che si adunavano. Sotto la zappa si videro confusi insieme gli
strati, che in ogni altro luogo serbano la loro regolarità. Enormi pezzi di
argilla or sotto, ed or sopra de pezzi di tufo, o di sabbia, indicano che il
disordine locale non poteva altrimenti succedere, che per effetto di una fisica
rivoluzione, di un rovesciamento a buon conto.
Successe in Vasto ne’ remoti
tempi quello che avvenne nella vicina Ortona. Questa bella città di greca
denominazione, la di cui origine si confonde fra l’antichità de’ Troiani, o de’
remoti Liburni nelle loro emigrazioni all’adriatico, o de’Pirati cinti da
Pompeo il grande, giusta i poco concordi pareri degli storici Ceccario, De
Lectus, il Cieco di Forli, Romanelli; crollò per lo scoscendimento avvenuto nel
1506, quando tre intiere strade, molte case, e parecchi pubblici edifizii
rovinarono, inabissando verso il mare: come pure sparirono tutte le ville
situate nella spiaggia sprofondata. Questa città, che serba ancora una porzione
dell’antica grandezza, e magnificenza, rovinò per la seconda volta a’ 25
febbraio 1782 in modo presso che consimile a quello, con cui è accaduto lo
scoscendimento in disamina. Dalla parte del mare si sprofondò la rupe, su cui
poggia la città. Una profonda ed orribile voragine assorbì moltissimi edifizii.
Le intiere strade sommerse nell’abisso scomparvero, altre si screpolarono, e
minacciarono rovine. L’elegante palazzo reale Farnesiano fu per metà assorbito
dalla sottoposta lava. Dalla ripetta al monistero delle monache, ed alla porta
che conduceva al mare, tutto fu sprofondamento, abisso, distruzione. Di tale
disastro, che meritava indagini maggiori, appena ne abbiamo una breve memoria
nelle discoperte frentane del signor abbate Romanelli. La condizione geologica
di queste vicine città essendo la stessa, così si sono vedute in diversi tempi
soccombere a’ medesimi disastri i quali potranno rinnovarsi nell’avvenire,
perché le cagioni sono costanti e permanenti.
CAPITOLO V
Cagione fisiche, che hanno
preparato da lungi, ed hanno prodotto da vicino il disastro attuale.
La città di Vasto, come sopra
ho detto, è situata sopra un piacevole declivio vicino al mare, da cui è
lontana 800 passi circa. Non ci sono monti primarii, giacchè le prominenze
terree sono basse, e non hanno lunghe catene. La struttura interna non è
compatta, ed il nucleo interno è formato di dura pietra. Le montagne primarie
di Abruzzo, che formano il centro degli Appennini si estendono sino alla
Calabria ulteriore. Negli Abruzzi il gruppo de’ monti è significantissimo, ed
hanno una elevazione maggiore di tutto il resto della catena.
Nel litorale poi marittimo di
Abruzzo, nel Vasto specialmente, non solo vi è mancanza di monti primitivi, ma
i secondari non si trovano che alla distanza di più miglia, ove sono per lo più
formati di ammassi calcarei. In Vasto dunque vi sono semplici colline, o rialti
di terre. La città ha elevazione di 80 passi sul livello del mare. Questi colli
sono risulta menti delle acque marine, che un tempo vi si estendevano. In fatti
da questa causa bisogna far derivare i mucchi, e le strade di arena, i rottami
di pietre, le materie calcaree delle adiacenze, le conchiglie, le ossa
de’pesci, e le terre sparse di ciottoli marini, che ovunque si trovano. Or nel
mentre le inondazioni del mare, ed anche le acque piovane sono cagioni
potissime di questi colli; sogliono dipendere altresì da fucohi sotterranei;
che anzi vi furono scrittori, e naturalisti patrii, che opinarono esservi stato
nei tempi più remoti un gran volcano all’Owest della Maiella, da cui fosse
originata la valle di Solmona. Eglino lo desumono dalle copiose pozzolane, che
s’incontrano in ogni luogo; come pure dalle lave di San Benedetto in Perillis,
dalle acque minerali, e solfuree di Popoli, Capracotta, Roio, Villa Santa
Maria, Palena ec. , e dalle qualità dell’intiero agro di Tocco, da quello di
Castiglione, di Pescara, e Torre de’ Passeri. Questi siti son formati di tufi
volvanici similissimi a quelli di Napoli, e la condizione dei territorj di
Salle, San Valentino, Lettomanoppello, Mosellaro, e Bolognano ove gl’indizii
volcanici sono visibilissimi per le continue scaturigini di acque solfuree, e
per essere speso soggetti a tremuoti; vieppiù accresce pruove ai miei pensieri.
Sono degne di leggersi sull’oggetto il citato Romanelli al cap. 16 delle
discoverte frentane, il saggio de’ Peligni del benemerito D. Michele Torcia, la
memoria di un volcano del coltissimo Signor Barone D. Giuseppe Dorini, e le
lettere sul monte Vulture del Signor Abate Minervini, per vedere quanti gradi
di probabilità vi siano della esistenza di un volcano negli Abruzzi. Il citato
Betti mi fece leggere un suo manoscritto, ove sono raccolti i materiali
storici, e geologici del volcano che ha esistito in questi luoghi. Spero che in
proseguimento questo argomento mi tenga occupato e da allora potrò sottoporre
al giudizio dell’ Istituto il lavoro delle mie e delle altrui osservazioni su
tale assunto. Le grandi montagne dette primitive non possono crollare, perché il
nucleo formato di nuda pietra, e internato sin dentro gli abissi più profondi
della terra non è soggetto a distacco; ond’è che le acque piovane, o quelle
provenienti dallo scioglimento delle nevi non potendo agire sul nudo sasso,
trapelano lungo il dorso ed alle falde, e sortono fuora per le analoghe
scaturigini. Non così succede ne’ monti secondari, ne’ colli declivi, e negli
strati terrei attaccati a’ primari. Le acque, che si annidano nell’interno, e
che vi si fanno strada, trapelando negli strati terrosi, ne infrangono la
stabilità e la solidità; e quindi distrutta l’aderenza, possono scoscendere, e
precipitare.
La posizione di Vasto si è
osservata essere di un piano declive a doppia inclinazione. Si è veduto che i
valloni, che lo circoscrivono, ed i torrenti sono poverissimi di acque, ed in
esta’ sono intieramente secchi. Tutte le acque piovane, le quali allagano le
campagne, benché scorressero ovunque; pure vengono assorbite gradatamente,
penetrano ne’ varii strati del suolo sino a che pervengono nello strato
argilloso, da cui escono per le scaturigini, se è superficiale; ma quando è
profondo, corrono occultamente ad immettersi nel mare. Tant’acqua hanno
annualmente riunito nel suolo, e senza visibile scolo ne’ tre torrenti del Mal
Tempo, di Bonanotte, e del Leba ha dovuto sempre minacciare una rovina alla
città. A tempo di Augusto fu spedita da Roma nel Vasto la decima legione de’
veterani per aumentare la popolazione, ed esservi di presidio. Si conobbero
quindi abbastanza i disastri, a’ quali andava soggetta la città per l’ingorgo
di tante acque. Si penso di aprire, ed effettivamente si aprì un canale
sotterraneo di cui si è parlato, formato di solidissima fabbrica, profondo ove
più ove meno secondo il bisogno internato nel seno della terra in taluni luoghi
sino a palmi 80, e fornito di laterali spiragli. Si fece scorrere dalla collina di S. Antonio e dal colle
dell’Amendola tortuosamente serpeggiando, onde raccogliere per mezzo de’
convenienti cuniculi le acque delle sotterranee sorgenti, per riunirle insieme
e condurle in città. In taluni mattoni di detti condotti laterizii si è trovata
la breve iscrizione: “Q. Hosidius Curator”. La grande quantità di acqua
trasportata per un’acquidotto di 6 piedi di altezza, e di due di larghezza
transitava sotto il suolo del delizioso piano dell’Aragona, e si depositava in
12 camere di 100 palmi di lunghezza. Queste mirabili conserve erano fabbricate
a stagno durissimo, e di mattoni di 3 pollici di spessezza. L’acqua vi si
attigneva per 12 aperture situate nelle
volte superiori. Di queste grandi ricettacoli ne esistono anche oggi 5 siti nel
chiostro, e nelle adiacenze del monistero di Santa Chiara. Da essi parte
dell’acqua si rivolgeva in città, ove animava più fontane, e parte con
opportuni canali si divideva, e suddivideva per le campagne, e finalmente
sboccava nel mare.
Tanto travaglio, tanto
dispendio, tante cure si impiegarono per mettere in salvo la città; ma pel
privato utile dell’innaffiamento de’ fondi particolari furono rotti i condotti.
Si ostruì l’acquidotto grande da incrostazioni calcaree; in qualche luogo si
ruppe, e le acque perciò deviate dal corso, ove erano inceppate, cominciarono a
spaziarsi sotterra senza freno. Si seccarono le fontane intere, perché le 12
conserve, dalle quali erano animate, mancarono di acqua. È lungo tempo, che
l’aquidotto fu ostrutto, e sono più di 48 anni, che la città è stata
nell’interno senza acqua. Nel 1813 i benemeriti cittadini animati da quel
lodevolissimo signor Sottointendente deostruirono in parte l’acquidotto, e le
acque cominciarono ad incanalarvisi, e quindi si potè rianimare la fontana
della piazza costrutta di nuovo con tutta l’eleganza.
Dopo l’esposte premesse
facile cosa riesce spiegare la cagione dello scoscendimento. La costituzione
fisica di quelle terre ha apparecchiato sin da remoto tempo la profonda rovina,
e le copiose acque, e nevi cadute nell’inverno non hanno fatto, che accellerare
il disastro. Il suolo, come più volte ho detto, è formato superiormente, da uno
strato di humus, o terra vegetabile, a cui succede uno strato maggiore di
sostanza tufaceo – calcarea, ed in ultimo un letto di argilla. Nel profondo
della terra sonosi disperse le acque, che dall’acquidotto grande conducevansi
nelle cisterne, e per mezzo di cunicoli adattati eran condotte al mare. Oggi si
veggono le aperture di simili cunicoli rotte ed affatto vote, le acque
disperse, i cunicoli medesimi guasti ed inutilizzati, e tante altre acque
raccolte in peschiere, in fonti rurali, e serbatoi campestri di larga
superficie e profondità somministrano bastanti riflessioni a giudicare, che nel
suolo non vi era alcuna stabile coesione, ma vi si trovava anzi l’infausta
forza di ridurre le terre in sotterraneo liquame. Quindi si verifico, che per
effetto di copiose acque cadute lo strato argilloso sotterraneo reso
mobilissimo e trascinato sin sotto il letto del mare, il fondo si rialzo come
se da una vetta fosse elevato, o da altra potenza; e la ispezione locale fa
presagire, che nuove terre scoscenderanno.
Lo strato argilloso dunque ha
urtato contro ogni ostacolo, ed ove lo ha superato, ha spinto anche il fondo
del mare; ove poi ha incontrato invincibile resistenza, ha prodotto
rovesciamenti, elevazioni, voragini, abissi, e rovine. Gli antichi cunicoli, ed
acquidotti, che anche fra’ Frentani rammentano la romana potenza, e che avevano
resistito alle ingiurie di molti secoli, si obliterarono, e le acque disperse
produssero da vicino gli scoscendimenti della età passata, dei quali abbiamo
abbastanza parlato. Questa stessa dispersione aggiunta all’altra delle acque
ultimamente destinate per l’irrigazione dell’orto del Signor Marchese d’Avalos,
accumulate in pozzi verso S. Maria, nell’orto del Procidano, e nel potere del
Signor Spadaro è stata la remota cagione dello scoscendimento di aprile 1816.
Le acque cadute dal cielo, e quelle derivanti dalla liquefazione delle nevi
hanno maggiormente contribuito all’ avvenimento di cui si parla.
CAPITOLO VI.
Ragguagli di altre simili
rovine avvenute in varie Comuni di Abbruzzo citeriore, e della limitrofa
provincia di Molise.
Non fu solo il Vasto teatro
de’ disastri. Molti altri Comuni furono soggetti a simili infortuni; e lungo
sarebbe minutamente fare il dettaglio di tutti, per cui occuperò de’
principali.
Fra i Comuni di Villa Santa Maria, Buonanotte, e Pennad’omo
scoscese straordinariamente la terra dell’alto fondo della strada, che conduce
a Buonanotte sino al fiume Sangro per la lunghezza di circa tre miglia, e per
l’ampiezza di circa cinquecento palmi dall’Owest all’Est. In Castiglione
Messermarino parecchie crepacce hanno solcato la terra, e particolarmente i
vigneti che sono in colle rotondo, lamainiello e sterpaio: quali contrade sono
state di recente dissodate. All’est dell’agro del comune di Fraine scoscese la
parte interna del suolo sul corso Treste in confine di Castiglione. La terra
sottoposta è discesa, ed ha innalzato coll’urto l’estremità del letto del
fiumicello, che deviato alquanto al Sud, ed il terreno elevato si è conformato
in piccola collina. In Taranta poco prima delle rovine di Vasto avvenne uno
scoscendimento funestassimo, che richiamò l’attenzione delle Autorità della
Provincia, le quali vi spedirono gli ingegneri dipartimentali per apprestarvi
soccorso. Al NordEst del Comune scoscendere la terra resa mobilissima e
liquata, trascinando seco grandi macigni. La lava toccò le case di que’
cittadini, che si misero in salvo coi loro migliori effetti. Numerose braccia
si applicarono a promuovere la discesa della terra ammonticchiata lungo il
corso del fiume Aventino, il di cui rigurgito avrebbe prodotto disastri più
serii. Le acque compirono la
liquefazione di già cominciata, la trasportarono giù, e resero così l’alveo
nella sua primiera dimensione. In Rocca Scalegna in tre punti la terra cominciò
a scoscendere. Una bella chiesa, più strade, molte case sono state sommerse
nelle sottoposte voragini. Il resto del fabbricato minaccia rovina; e perché
tutto l’agro è soggetto a tali disastri, non possono trovare que’cittadini un
locale stabile, e fermo per rifabbricarvi e le abitazioni. Forse si delibereranno
a stabilirsi nella collina. In Casoli una crepaccia ha depresso il terreno
sotto parecchie al SudOwest. In Montefalcone, Comune della provincia di Molise,
alla distanza di 700 passi circa dal confine della provincia di Abruzzo
citeriore altro straordinario scoscendimento trascinò molta terra giù sino a
riempire un lago di non indifferente dimensione, e livellarlo con le campagne
vicine.
Le acque, perduto il loro
ricettacolo, si unirono nel luogo dove la terra superiore scoscese; e
dilatandosi nelle adiacenze formarono un nuovo lago, molto al di sopra di
quello che si distrusse. Al NordEst del Comune di Belmonte nella provincia di
Molise anche limitrofo a quella di Abbruzzo citeriore, dell’apice di un colle
scoscese la terra interna, che arrivo fino al fiume Sente, impedendone il corso
per qualche poco. Quindi gli strati superiori si sprofondarono e tutta intiera
superficie discese giù quasi senza cambiare figura. Il colle superiore si vide
tagliato e quindi le vigne, i frutteti, gli uliveti, i seminati, gli olmi, le
querce, i faggi ed i boschi stessi senza distaccarsi dalla terra corsero giù.
Benché gli alberi, che erano nel suolo superiore vi avessero serbato la loro
integrità, pure mutando sito si videro occupare luoghi molto inferiori. Nel
mezzo si vide sorgere un lago, ed il perimetro dello scoscendimento che ascende
a qualche centinaio di moggi di estensione si solcò per effetto di una forza
proiettata dall’alto del colle verso il fiume. Si videro confusi i poderi,
molti alberi, varie case rurali rovinate, e qualche altra trasportata altrove
con le terra mobile sopra di cui poggiava. L’occhio chiaramente vide, che lo
strato argilloso inferiore si era sprofondato, giacchè l’argilla liquata a
guisa di lava corse nel sottoposto fiume, di cui fece elevare le acque, ed in
tutte le altre qualità corrispondeva a quella tagliata dal colle. E’ stato poi
grazioso fenomeno il vedere che le vigne cambiate di sito, ed anche gli ulivi,
e gli alberi di alto fusto nella seguente primavera non sono morti, anzi continuando
a vegetare diedero nella està, e nell’autunno una ricolta niente inferiore a
quele delle terre esenti da simili fisiche rivoluzioni. Né qui deesi tacere,
che la mano industre degli agricoltori alla men trista ha eguagliato la
superficie della terra, ove compariva franata; ha dato un qualche corso alle
acque, alle quali mancava lo scolo; alla meglio ha ripartitole proprietà, che
si erano confuse colla emigrazione dall’uno all’altro sito; ed ha in certo modo
chiamato a nuova vita quel luogo, che pareva destinato allo squallore, ed alla
miseria.
CAPITOLO VII.
Espedienti necessari per
riparare ai danni avvenuti, e per prevenire altri disastri nel tempo
successivo.
Sembra che le ultime linee di
questa memoria debbano essere le più interessanti al Comune di Vasto.
Conosciute le cagioni dello scoscendimento, quali saranno gli espedienti per
ovviare a’disastri dell’avvenire, e con quali mezzi si ripareranno i danni
accaduti?
Il primo espediente era quello di rendere nuovamente
eguale il terreno. Questa operazione preliminare di regolarizzare il terreno in
piano, o declive è stata già in parte eseguita da’ricchi proprietari. Ma
restano ancora delle voragini, de’bassi fondi, de’rialti, delle terre
distaccate, isolate, e tagliate. Sono dunque necessarie altre spese di
anticipazione, senza le quali resta paralizzato ogni progetto. Questo travaglio
però è stato senza giudizio eseguito, perché ad eccezione del canale fatto
nell’atto delle rovine che poteva appena servire pel bisogno del momento, niun
altro se n’è formato. Le acque perciò continuano senza freno a scorrere, e si
potrebbe dire, che <<sine lege vagantur>>. Il rigurgito continua,
ed in ogni luogo delle picciole, o grandi collezioni di acque senza scolo
ricoprono il territorio. Fa di mestieri dare lo scolo alle acque raccolte con
adatti canali; impedire che altre acque non si raccolgano, e quindi è necessità
riunirle e dirigerne il corso sino al mare, cominciando dalla soprastante
pianura, dalla quale potrebbero deviarsi al Nord nel Vallone di S. Onofrio, ed
all’altra parte in quello dell’Anchella. Sino a che le acque libere potranno
infiltrarsi nella superficie elevata della pianura; sempre che potranno oltre
passare gli strati sottoposti, e penetrare nell’interno dell’argilla, nuovi
disastri potrebbero essere le conseguenze de’primi. Ma tutto ciò non basta. Le
case nel rione di S. Maria sono troppo prossime alle terre distaccate, ove si
apre precipizio di profonda voragine. E’ dunque necessità scavare le basi di un
alto muraglione, che dall’abisso sottoposto dovrà elevarsi a scarpato per
resistere meglio all’urto delle terre. Senza questo espediente sicuramente le
case di detto rione dovranno crollare nel sottoposto avvallamento. Sarà formato
a regola d’arte co’debiti spiracoli per dare corso a quelle acque, che
sfuggiranno.
Questi espedienti furono proposti contemporaneamente dal
signor Barone Durini, e dagli ingegneri dipartimentali. Il signor Intendente
Marchese di S. Agapito, che tanto si distingue per zelo e vigilanza promise
ogni cooperazione; ma finora le opere da eseguirsi restano ancora in progetto.
Non vorrei che la deliziosa città di Vasto avesse l’infausto fine di Rocca
Montepiano, che nel 1766 dall’alto crollò, rovinò, spari nel momento.
Altro
travaglio sarebbe egualmente necessario. Ripulire per intiero l’antico
acquedotto, liberarlo dalle concrezioni calcaree, che lo hanno otturato,
ritrovare i cunicoli adiacenti, che in esso si immettevano, a buon conto
rimettere in ottimo stato quella magnifica, e grande opera romana. Quando si
sarà adempiuto a questa, e ad altre cautele indicate, cesserà ogni timore, e
l’esistenza di Vasto sfiderà i secoli. Riparare i danni avvenuti è quasichè
impossibile. La mia penna è senza forza, ed altre ne occorrerebbero per
descrivere le sventure di questa deliziosa contrada. Basta dire, che quanto la
immaginazione più fervida potrebbe escogitare, tanto la natura, e l’arte vi
aveva raccolto, e tutti i tesori di Flora, e di Pomora erano alla larga mano
profusi in questi luoghi; ma tutto ora è finito. Il lugubre deserto, le
profonde voragini, gli abissi enormi, il disordine, e lo spavento albergano là
dove prima gli aranci, i cedri, e gli alberi di ogni sorta profumavano di
primavera quell’atmosfera, ed indi arricchivano di squisite frutta tutte quelle
contrade.
Sparirono tredici casini, due chiese, cinque magazzini, due
vastissime peschiere, altre molte più
picciole, numerosi pozzi, tre pubbliche fontane, ed uno spazio superficiale di
un miglio quadrato. Dal giardino di Armida è divenuto la sede dello spavento,
dell’orrore, e del lutto.
Nel corso di questa memoria è fatta parola degli
scoscendimenti avvenuti in molto luoghi d’ Abruzzo, e dalla vicina provincia di
Molise. Non vi ha dubbio, che molte migliaia di moggi di terreno si sono
inutilizzate per l’agricoltura, e per la pastorizia; che numerosissime case
rurali, casini, ed edìfizi sono crollati che mancano molte vigne, parecchi
uliveti, e fertili terreni per le piante cereali. Il disastro è divenuto generale,
e meriterebbe tutta l’attenzione del nostro provvedentissimo, e saggio governo
per impedire, ed ovviare a rovine maggiori. La mania di ridurre a coltura le
più elevate montagne, e delle inaccessibili rocce; furore, che eccita la scura
di struggitrice a recidere i boschi inerenti alle parti più erte e montuose
della provincia; la vile avidità, che spinge i coloni a coltivare contrade le
contrade site in declivio, e le terre vicine ai fabbricati delle Comuni; la
niuna sorveglianza a regolare il corso de’torrenti, che radendo le basi delle
terre superiori e laterali, le fanno scoscendere, sono le quattro
pregiudizievoli cagioni del distacco delle terre, della sterilità delle
campagne, e degli scoscendimenti. L’Abruzzo aquilano sta pagando il fio di
avere dissodate le erte montagne. La terra vegetabile per effetto della
mobilità acquistata con la zappa, o coll’aratro, ed in conseguenza delle
alluvioni se n’è scoscesa per riempire le valli, e fertilizzare la terre
sottoposte, ed i monti sovverti nel loro nocciuolo di durissimo macigno si sono
inutilizzati per la grande vegetazione, per la moltiplicazione delle piante
cereali, e per la produzione dell’erbe da pascolo. Quindi la provincia soffre
scarsezza di legno per fuoco in un clima estremamente rigido, deficienza di
grani, vini, ed olii, che lo rendono dipendente dell’Abruzzo chetino, e
tramano, ed anche scarsezza di erbaggi, ove l’industria maggiore e forse unica
è la pastorizia.
I rimanenti boschi si distruggono, e mentre gli Abruzzi
spediscono caterve di agricoltori nel vicino stato romano, e nelle provincie di
Puglia per travagliare per sei mesi dell’anno, sono presi dalla mania di
dissodare nuove terre, il profitto delle quali è momentaneo, ed il danno
perpetuo. Il suolo perde la sua coerenza nel dissodamento. L’unione formata
dalle radici degli alberi, co’quali indissolubilmente esso era ligato
s’infrange, e dove erano boschi, succedono gli scoscendimenti. Da questa
cagione hanno avuto origine i rovesci delle terre delle di già cennate contrade
boscose di colle rotondo, lamainiello, e sterpaio in Castiglione Messermarino,
e tanti altri ovvii in ogni luogo.
La terza cagione ha cooperato allo scoscendimento di
Vasto, come pure contribui alla ruina di Roccamontepiano. Produsse l’enorme
depressione di terre, e lava al NordEst del comune di Buonanotte che comincio
dalla mura dell’abitato, e si distese pel declivio oltre il tenimento di Penna
d’omo, e che non cessò, se non quando distaccata, e dirupata la terra restò
scoperto il nudo macigno, sopra cui poggiano le case. Da questa cagione ne
originò la imponente lava, cha ha fatto crollare tante case in Roccascalegna, e
che minaccia il resto del fabbricato, e di altri luoghi. Questa istessa cagione
farà cadere tutte le fabbriche di Castiglione Messermarino in Abruzzo, perché
formando le case una figura semiovale in precipitoso declivio, lasciano nel
mezzo una gran tazza vota. Questa dovrebbe restare incolta per sostenere le
case superiori, e non ricoprire le inferiori. Succede tutto l’opposto. Mentre
in comune ha circa 17000 moggi di terrene nella maggior parte incolto, i
cittadini follemente coltivano per ortaggi la rupe o conca intermedia. Per
effetto di questo errore le case inferiori sono sino ai tetti ricoverte della
terra mobile giù scoscesa, e le case superiori prive di fondamenti per essersi
scoperti, prive di suolo adiacente, distrutte quasi le strade, minacciano
imminente crollo, e con la loro rovina seppellirano le case sottoposte, sulle
quali precipiteranno.
La quarta cagione è l’origine di gravissime rovine. In
ogni Comune è dessa oggetto di doglianza; ma niuno espediente, si produce tanto
male, e la più indifferente oscitanza rende inoperoso il pensiere ad
escogitare, e pigra la mano eseguire i ripari. Così la sola decisa volontà del
governo intento sempre al maggiore bene, felicità, opulenza, e lustro della
nazione potrebbe scuotere l’inerzia, togliere i pregiudizi, rendergli abitanti
superiori agli errori, e mettere in esecuzione le opere, che potrebbero far
cessare l’azione delle quattro esposte cagioni.
Ecco quanto ho creduto dire sul fenomeno in disanima. Se
non vi sono riuscito con ogni felicità e precisione, n’è stata causa la
scarsezza de’miei lumi, e le molteplici occupazioni della professione medica,
le quali mi mantengono continuamente distratto.
Grazie! Ho stampato tutto!
RispondiElimina