domenica 14 agosto 2022

L'area Archeologica di Punta Penna ricca di storia: capanne dell'età del bronzo ad Erce e santuario frentano a Pennaluce


di GIUSEPPE CATANIA
È della prima metà del 1800 l'iniziativa di riunire tutti i reperti archeologici rinvenuti nel territorio di Vasto, affidati allo storico patrio Luigi Marchesani (su proposta del sindaco Pietro Muzii, nella seduta del 25 settembre 1848) per essere raccolti nel Civico Museo. Negli anni ’90, dopo oltre un secolo, la ripresa di una campagna di scavi in località Punta Penna e Punta Erce, a cura
della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Regione Abruzzo,
guidata dallo specialista in preistoria prof. Alessandro Usai, in collaborazione con la prof. Giumella, titolare della Cattedra di Archeologia Medievale dell'Università «G. D'Annunzio» di Chieti, e con l'apporto del dott. Davide Aquilano, allora presidente della Coop. «Parsifal» (per gli scavi, la documentazione scientifica, il restauro, i rilievi, i grafici e le foto), consentì di riaprire quel libro delle «antiche pietre» che recano impresse le vicende e la inesplorata storia della primigenia civiltà di questa zona della regione Frentana, prima ancora che fosse edificata la romana Histonium e dove già era florida la città di Pennaluce, e sotto di essa giaceva la mitica, scomparsa, Buca.
 I primi rilievi di quegli anni hanno del sensazionale: a Punta Erce si rinvengono fondi di capanne la cui esistenza si fa risalire al 1000 avanti Cristo, cioè all'età finale del bronzo, con tracce di ceramica d'uso domestico, vasellame di importazione (Puglia). A Punta Penna, nella parte posteriore della chiesetta di Pennaluce, è emerso un pilastro con paravento di 18 di spaccato. 
Molto interessante il campionario stratificato, in cui si rinvengono elementi del tardo romano, presumibilmente del V- IV secolo avanti Cristo; di età medievale con maioliche arcaiche, forse del XIII-XIV secolo; dì ceramica africana, del V-IV secolo avanti Cristo; di una fase del II-I secolo avanti Cristo con notevole frequenza di materiale ceramico.

Il Bosco Sacro
 Viene ipotizzata, con certezza, l'esistenza di un Santuario, considerato il coagulo delle attività politiche, amministrative e religiose delle popolazioni frentane di tutta la fascia costiera compresa tra il Foro ed il Biferno, con la Maiella per confine occidentale. Cioè di un tempio di rilevante importanza posto all'interno dell'etno-f rentano. Storicamente è documentato (1239 epoca cui si riferiscono le ceramiche del XIII-XIV secolo), che qui esisteva la città di Pennaluce. nonché la identificata località di Penna de Luco, che ci riconduce ad un'area sacra, al bosco sacro, dal latino «Locus». Resta da accertare a chi fosse dedicato il tempio-santuario di cui si ha traccia a Punta Penna di Vasto. Il termine «Penna» sta a significare «promontorio» che si estende verso il mare, mentre «Luce» certamente derivato da «Luco» (dal latino Lucus), significa appunto «bosco sacro». Quindi, il «bosco sacro» posto sul promontorio detto «Penna» da cui Pennaluce, toponimo già noto nel 1204 (Bolla di Papa Innocenze III che conferma il possedimento di Pennaluce al Monastero di San Giovanni in Venere). Il culto di Angizia Chi poteva essere la divinità cui era dedicato il Santuario di Punta Penna di Vasto? Angizia, Cerere, Ercole? Gli antichi italici veneravano Angitia che ebbe un particolare culto nella Regione dei Marsi. Qui infatti, le fu consacrato un bosco sacro sulle sponde del lago nei pressi del paese Luco dei Marsi, detto Locus Angitiae. Nel promontorio, circondato da mura ciclopiche, fino al medioevo, esisteva una città detta «Corno di Penna» che, nel 1600 era pressoché scomparsa. Nella sua Historia Marsorum (Lib. Hip. 135-Napoli 1768), Febonio ricorda che nel 1600 la popolazione di «La Penna» fu costretta a fuggire dalle proprie case perché infestata da aria pestifera e da serpenti. Il fatto potrebbe essere collegato al «bosco sacro» Lucus di Angizia (Luco dei Marsi), ma lo studioso Alfonso Di Nola è di parere diverso per quanto attiene all'accostamento dei serpenti, di cui il bosco di Angizia era invaso. Di Nola è di parere che Angizia derivi da «Ang», la cui radice indeuropea è interpretata come tempo primaverile. Infatti, «Ang» è radice di angoscia, angustia e vuole significare il tempo in cui sono state consumate le provviste accumulate durante l'inverno, e si era in attesa di nuovi frutti.
 Cerere o Èrcole? 
 È probabile, quindi, che nella Penna de Luco (Pennaluce), cioè nel «bosco sacro» (lucus) del promontorio (Penna) sorgesse il principale santuario dei Frentani, dedicato ad una divinità rigeneratrice della terra, e, quindi, dell'umanità. Peraltro, il culto di Angizia si diffuse oltre l'Appennino ed è qui che la Dea assunse il nome di Cereria, confusa dai latini con Cerere. Associato a Cerere (a Roma detta Dea Bona), era Èrcole, considerato la forza generatrice del Sole, divinità degli antichi italici, dio del- l'acqua dolce e salata. A Histonium esistevano i templi dedicati sia a Cerere che a Ercole, rispettivamente sotto i ruderi della distrutta chiesa di San Pietro Apostolo, e nel la località Selvotta di Vasto, di cui si hanno riferimenti nelle lapidi custodite nel Museo Civico. Presumibilmente a Punta Penna doveva sorgere un Santuario dedicato a Ercole (oltre quello di cui si ha certezza che sorgesse in località «Selvotta», se osserviamo la lapide HERCVLI EX VOTO ARAM / L.SCANTIVS / L LIB.MODESTVS.MAG. / AVG.MAG.LARVM AVGVST. / M AG. / CERIALLIVM VRBANORVM /LD.D.D.D. riferita a Lucio Scanzio Modesto, maestro (capo) dei Cereali Urbani, cioè Capo dei Sacerdoti addetti alla Città. Ma è altrettanto chiaro che nelle contrade di Vasto, presumibilmente a Punta Penna, esistesse un altro Tempio o Santuario dedicato a Ercole, amministrato da un Collegio di Cereali Foranei o «rustici». Poiché, come abbiamo accennato, Cereria (o Cerere a Roma) veniva associata a Ercole, che rappresentava la forza salutare benefica verso il genere umano, come Cerere era considerato patrona delle messi e della terra feconda, è da ritenere, presumibilmente, che preposto alle cerimonie fosse un Sacerdote delle Cereri che, a sua volta presiedeva le sacerdotesse che vi erano addette, cioè solo donne destinate a quelle funzioni. I popoli italici, infatti, identificavano nella denominazione «Kerri» le divinità che «generavano» e destinavano «vestali» custodi del Santuario dedicato alla divinità, le vergini a simboleggiare l'offerta alla deità delle messi e della terra feconda.
  Le Vestali 
 Nel «Sanctum» le «vestales» (sacerdotesse) erano scelte fra giovinette dai sei ai 10 anni ed erano legate al voto della castità (per la durata di circa 30 anni). Alle sacerdotesse venivano concessi onori e privilegi e godevano di speciali favori quale quello di poter graziare un condannato al supplizio se lo incontrava. Dovevano mantenere sempre acceso il fuoco sacro che veniva rinnovato, con riti ancora misteriosi, ogni 1° marzo di ogni anno. Se il fuoco sacro si spegneva per loro incuria, venivano flagellate; e se qualche vestale mancava al voto di castità veniva sepolta viva nel cosiddetto «campus sceleratus».
A complicare ancora di più il mistero degli scavi di Punta Penna c'è la tavoletta in bronzo rinvenuta nel secolo scorso a due passi dalla chiesetta della Madonna con la iscrizione in lingua osca (foto) che indica due censori vastesi: Calvius Osidìus Gavius e Vibius Octavius Ofius. Il famoso Giulio Beloch è del parere che i due magistrati non avevano solo la competenza su Buca e Histonium bensì sull'intera confederazione Frentana.
 Giuseppe Catania 

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