di NICOLANGELO D'ADAMO
Dal 1550 al 1850 l’Europa fu
colpita dalla cosiddetta “Piccola Glaciazione”, ovvero un consistente
abbassamento della temperatura dell’ordine di circa 2°C. La conseguenza fu che si
ebbero inverni lunghi e rigidi e stagioni estive brevi e piovose. Al punto che
d’inverno ghiacciavano anche i fiumi e i laghi dell’Europa centrale ed i
ghiacciai sulle Alpi avanzarono paurosamente. Addirittura il Calderone, sul
Gran Sasso, raggiunse la sua massima espansione da 4000 anni.
Le conseguenze sull’agricoltura
furono devastanti: si susseguirono rovinose carestie e pandemie a causa della
debilitazione fisica dovuta alla insufficiente
alimentazione.
Tutto cominciò con le eccezionali
e persistenti nevicate del 1549. Quelle
nevicate causarono danni irreparabili in montagna e fino alla media collina con
la distruzione non solo degli oliveti, ma anche di meli e fichi. Sulla costa
Vastese furono distrutti immensi
agrumeti e scomparvero i cedri che venivano allora coltivati nell’area di
Vignola, si salvarono, almeno in parte, gli oliveti.
Anche la raccolta dei cereali
subì notevoli danneggiamenti, al punto che le popolazioni interne dovettero far
ricorso all’acquisto del grano in Puglia, convertendosi progressivamente
all’uso della “spelta”(frumento “povero”, originario dell’Asia Minore) visto il
prezzo proibitivo raggiunto dal grano (costava il doppio della spelta).
Le carestie si
susseguirono senza soste e così le pandemie che, in aggiunta al biennio di pestilenza che si ebbe dal 1656 al 1657, ridussero la popolazione
dell’ordine del 12% nell’Abruzzo Ulteriore e del 16% nell’Abruzzo Citeriore. Ed
infatti molte terre rimasero incolte a causa della mancanza di manodopera.
Notevole fu pertanto
la crisi delle esportazioni verso Venezia ed il porto di Vasto, a S.
Nicola, andò del tutto e irrimediabilmente in rovina.
Il benedettino padre Colucci che visitò i feudi di San
Giovanni in Venere, tra cui Vasto, nel
1684 definì il nostro paesaggio: “inculto e deserto”.
NICOLANGELO D’ADAMO
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