di Lino Spadaccini
Domenica sera alle ore 18 la statua di San Michele Arcangelo verrà portata in processione fino a S. Maria Maggiore, dove rimarrà esposta fino al 30 settembre.
Il giornalista e letterato Francesco Pisarri, tra le pagine de “Il Vastese d’Oltre Oceano”, parlando della chiesa e della statua del nostro Santo pastrono, scriveva: “Com’è soave il nostro bel San Michele! La statua ce lo mostra quale un giovinetto guerriero bellissimo: la statua, forse contemporanea della chiesa, e che prima era tutta di bianco – oro, ma di recente è stata scelleratamente ritoccata con tutti i colori dell’iride, e che, a mio parere, sarebbe opera santa ripristinare nella sua semplice antica bellezza!”.
Ai piedi dell’Arcangelo, giace sottomesso il demonio. “Quis ut Deus?” (Chi è come Dio?) pronunciò l’Arcangelo Michele scagliandosi contro Lucifero, quando questi mise in discussione il potere di Dio. A tal proposito, c’è un simpatico episodio pubblicato da Espedito Ferrara tra le Effemeridi del suo “Histonium”, dal titolo “San Mmicchèle e lu dujâvele”:
Una donna, prima di uscire dalla chiesetta, bacia il piede di San Michele. La comare, che le sta accanto, bacia il piede di S. Michele e poi bacia anche il diavolo.
– Che ffì, cummà, te sì stuppedèite? – osserva la donna.
– Eh, cummà, famm’accundundà tutt’e ddì! N’ se sa nu jurne gna po’ j’ ffenè!...
Il nostro Santo Patrono nel tempo ha ispirato diversi poeti vastesi. Oggi voglio proporvi un sonetto scritto dal magistrato Francesco Giacomucci, proprio nella sua abitazione vicino la chiesa patronale, dal titolo “Notti” (dalla raccolta “Veli”, Napoli, 1898):
Ombre ho davanti, e in cuor; ululi brevi
Foran l’anima mia, su quest’altura.
Angiol Michele, la tua spada è pura
Or sul demonio, e i tuoi calcagni lievi!
Sognai quassù (tu rammentar mi devi)
Tra cielo e mare, ne la notte oscura:
Recava il vento un fremer di paura,
Tu sguinzagliar Lucifero parevi…
Ero su’ quindici anni e per la fronte
Correvan fiamme; spiriti dannati
E le ripe intravidi, io, d’Acheronte:
Ma pur, gli anelli ne la man serrati,
Tu sorridesti e di tenere impronte
Parvero gli occhi del dimon segnati.
Domenica sera alle ore 18 la statua di San Michele Arcangelo verrà portata in processione fino a S. Maria Maggiore, dove rimarrà esposta fino al 30 settembre.
Il giornalista e letterato Francesco Pisarri, tra le pagine de “Il Vastese d’Oltre Oceano”, parlando della chiesa e della statua del nostro Santo pastrono, scriveva: “Com’è soave il nostro bel San Michele! La statua ce lo mostra quale un giovinetto guerriero bellissimo: la statua, forse contemporanea della chiesa, e che prima era tutta di bianco – oro, ma di recente è stata scelleratamente ritoccata con tutti i colori dell’iride, e che, a mio parere, sarebbe opera santa ripristinare nella sua semplice antica bellezza!”.
Ai piedi dell’Arcangelo, giace sottomesso il demonio. “Quis ut Deus?” (Chi è come Dio?) pronunciò l’Arcangelo Michele scagliandosi contro Lucifero, quando questi mise in discussione il potere di Dio. A tal proposito, c’è un simpatico episodio pubblicato da Espedito Ferrara tra le Effemeridi del suo “Histonium”, dal titolo “San Mmicchèle e lu dujâvele”:
Una donna, prima di uscire dalla chiesetta, bacia il piede di San Michele. La comare, che le sta accanto, bacia il piede di S. Michele e poi bacia anche il diavolo.
– Che ffì, cummà, te sì stuppedèite? – osserva la donna.
– Eh, cummà, famm’accundundà tutt’e ddì! N’ se sa nu jurne gna po’ j’ ffenè!...
Il nostro Santo Patrono nel tempo ha ispirato diversi poeti vastesi. Oggi voglio proporvi un sonetto scritto dal magistrato Francesco Giacomucci, proprio nella sua abitazione vicino la chiesa patronale, dal titolo “Notti” (dalla raccolta “Veli”, Napoli, 1898):
Ombre ho davanti, e in cuor; ululi brevi
Foran l’anima mia, su quest’altura.
Angiol Michele, la tua spada è pura
Or sul demonio, e i tuoi calcagni lievi!
Sognai quassù (tu rammentar mi devi)
Tra cielo e mare, ne la notte oscura:
Recava il vento un fremer di paura,
Tu sguinzagliar Lucifero parevi…
Ero su’ quindici anni e per la fronte
Correvan fiamme; spiriti dannati
E le ripe intravidi, io, d’Acheronte:
Ma pur, gli anelli ne la man serrati,
Tu sorridesti e di tenere impronte
Parvero gli occhi del dimon segnati.
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