Sessanta anni fa, il 27 febbraio del 1960, moriva don
Vincenzo Pomponio, per tanti anni cappellano del cimitero.
Era nato a Vasto il 22 gennaio del 1880. Ordinato il 19
dicembre del 1903, insieme a don Romeo Rucci, dal 12 ottobre 1909 fu
mansionario del Capitolo della cattedrale di S. Giuseppe e fu promosso canonico
il 29 aprile 1915.
Don Vincenzo era molto alto e piuttosto magro, molti lo
ricordano come un prete semplice, della povera gente. "Strillava sempre", ricorda chi lo
ha conosciuto, gesticolava molto e si "batteva
sempre le mani in petto".
Quanto parlava, non usava mezzi termini, come quella volta,
agli inizi degli anni '20, quando chiamato durante la festa di S. Lorenzo per
fare la spiega al vangelo, esordì con
la frase "Popolo di caccavone!...".
Oppure quando agli inizi degli anni '50, con la cementificazione di via Tre
Segni scrisse all'amico Espedito Ferrara, direttore dell'Histonium: "Caro
Espedito, sei rimasto cieco e sordo da non vedere gli sgorbi che si fabbricano
ai Tre Segni e da non sentire le mormorazioni del paesaggio così ben protetto?
Ma permettimi che come cittadino (anche in abito talare si è cittadini no?) mi
rivolga non tanto all'amico Sindaco, ma all'artista d'un tempo, all'artista
della gioventù per chiedergli se sinceramente e francamente queste son cose da
farsi. Mi permetti di chiedertelo? O mi butterai nel fondo del cestino? Credo
che don Vincenzo meriti un posticino".
Famose erano le sue prediche, come ha sottolineato tempo fa in
una nota l'amico Enzo La Verghetta: "Alcune
mamme vengono a lamentarsi delle figlie che hanno esagerato con i loro
fidanzati e mi chiedono come fare per metterci una pezza. È inutile che poi
venite a chiedere consigli, dovevate pensarci prima, perché pure se è una pezza
a colori è sempre aripezzate". Al termine della S. Messa soleva
ripetere la frase "Paradiso a me e
paradiso a tutti".
Col suo carattere burbero e combattivo, e con la sua
parlantina, sapeva calamitare l’attenzione della gente e animava i dibattiti
cittadini, soprattutto quelli politici. Era sempre disponibile con tutti e
fedele ai suoi compiti: tutti i mesi, anche con mezzo metro di neve per terra,
si recava alla cappella del cimitero per dire la messa per i defunti caduti in
guerra.
Don Vincenzo Pomponio visse appieno l’avvento fascista. A
tal proposito mi piace ricordare un episodio citato da Giuseppe Libertoscioli
nel suo volume Nicola Monterisi
Arcivescovo di Chieti e Vasto. Nel maggio del 1924 il clero venne
richiamato ad astenersi dal prendere parte a festeggiamenti politici, specialmente
con funzioni o significazioni di carattere religioso. Questo perché non sono
mancati qua e là in diocesi sacerdoti e parroci, che sottoscrissero manifesti
elettorali, presero parte a cortei o banchetti, parteciparono a comizi e fecero
suonare le campane del paese. Vi furono ancora richiami da parte della diocesi
dall’astenersi alle contese di partito, di qualunque partito essi fossero. Ci
furono addirittura alcuni preti candidati dal fascio a Podestà del paese,
mentre a Vasto venne chiesto di ammonire e di punire, se avessero continuato, i
preti Vincenzo Pomponio, Pio Pomponio, Giustino Cianci e Domenico Suriani "per aver inviato l’obolo al giornale Il
Popolo salutando Peppino Spataro ed il maestro Luigi Sturzo e inneggiando alla
nobile battaglia del Popolo".
Un altro episodio che lo vide ancora coinvolto politicamente
accade qualche anno prima, il 25 aprile del 1920, quando, in occasione di un
comizio socialista a Vasto, un battibecco con i popolari guidati dall’avvocato
Mayo e da don Vincenzo Pomponio, sfociò in una baruffa generale, che culminò
con l'arresto di tre socialisti.
Il quindicinale Histonium
nell'estate del 1954 pubblica un piccolo trafiletto dal titolo "I sigari di don Vincenzo":
Il nostro carissimo
don Vincenzo Poponio si chiede perplesso:
– Come mai i sigari,
che compro alla spaccio sono umidi, sfaldati, infumabili e i sigari ricevuti da
qualche amico parlamentare sono così asciutti, deliziosi, squisiti?... Come
mai?
Qualche mese dopo, lo stesso giornale pubblica un altro
aneddoto dal titolo "Che cosa hai
fatto stanotte?"
E siamo quasi a
mezzogiorno del 6. Don Vincenzo Pomponio campeggia in piazza. Non manca mai
qualche gruppo intimo intorno alla sua alta inconfondibile figura di sacerdote.
– Che cosa hai fatto
stanotte?
– domanda don
Vincenzo, che ricorda le tradizioni della nostra terra.
– Niente, don Vincé,
ho dormito.
– E come, non hai
parlato?
– Se dormivo, non
parlavo.
– Strano, conclude don
Vincenzo, questa notte han parlato tutti gli animali, e tu… tu non hai
parlato?!...
Secondo una leggenda
nostrana la notte dell'Epifania tutte le bestie parlano.
Nel maggio del 1955 sempre sull'Histonium, appare un altro aneddoto dal titolo "La fame":
Un gruppo di persone –
è l'argomento del giorno – parla di stipendi bassi insufficienti inadeguati…
Non si può andare
avanti, la cinghia è già oltre l'ultimo buco: in una parola è la fame…
Vicino al gruppo, che
discute animatamente si trova il nostro caro don Vincenzo Pomponio, il quale
ascolta.
Finalmente don
Vincenzo interviene:
– Posso dire una
parola!
– E come, don Vincenzo
– risponde qualcuno – vogliamo il vostro parere.
– È trend'anne,
conclude don Vincenzo, che ffacce lu cuappellane a lu cuambesande e n'è mmenute
ma' nisciune ch'è mmorte de fame!
Di don Vincenzo Pomponio si ricordano anche due
pubblicazioni: "La Croce di G.
Cristo - Via, Verità e Vita per genere umano", con il testo del
discorso pronunciato il 3 maggio del 1909 nella chiesa di S. Pietro in
occasione della festa del Legno della Croce, e "Potenza e amore di Maria", pubblicato l'anno successivo.
Lino Spadaccini
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