giovedì 8 agosto 2019

QUANDO I MIGRANTI ERAVAMO NOI: storia e riflessioni su cose che ignoriamo o che abbiamo dimenticato



QUANDO I MIGRANTI ERAVAMO NOI: storia e riflessioni su cose che ignoriamo o che abbiamo dimenticato
“L’Europa sta perdendo la coscienza, la memoria, l’umanità”

di  Rocco Di Scipio  

Premessa

Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), i rifugiati nel mondo sono
sessantacinque milioni, l’86% dei quali è ospitato nei paesi più poveri. Appena il 14% si trova
nell’Occidente ricco e sviluppato. Eppure l’Europa si sente sotto assedio, si sente invasa, reagisce
con paura e ostilità, erge muri, srotola filo spinato, chiude i porti, respinge i migranti. Quella stessa
Europa che pretende di essere l’esempio della civiltà tollera episodi di discriminazione e xenofobia.

L’informazione dovrebbe evidenziare i motivi per cui le persone scappano dal proprio paese:
dittature, guerre, cambiamenti climatici, crisi umanitarie. Se l’Africa soffre è anche responsabilità
nostra perche per secoli è stata depredata. E anche ora si continua: miniere da cui vengono estratti
importanti minerali per le componenti hi-tech, per i nostri telefonini, per i computer.

L’Europa finora è rimasta a guardare l’enorme problema degli immigrati e non è stata in grado di
mettere in campo una politica comune di solidarietà. Questo è il vero tramonto dell’Occidente. La
fortezza Europa si manifesta come un sistema egoista dove dilaga il razzismo.

E’ difficile che noi in Europa comprendiamo la migrazione se non conosciamo la storia degli ultimi
cinque secoli, una storia che ci lega a quel continente. Bisogna sapere di quanto l’Africa è stata
saccheggiata, di quanti conflitti in quel continente ci sono a causa delle lotte per il controllo delle
ricchezze (diamanti, petrolio, uranio, coltan). E’ necessario conoscere il presente e il passato di quei
paesi per capire l’oggi.

Nascita degli imperi coloniali ed espansione economica nel cinquecento

Le scoperte geografiche iniziate con i viaggi di Cristoforo Colombo verso l’occidente d’Europa
ebbero come conseguenza la nascita di imperi coloniali che cominciarono ad espandersi già nella
seconda metà del Cinquecento e durarono a lungo.

Dopo la formazione politica dei grandi Stati Nazionali - Inghilterra, Francia, Spagna - la loro
crescente importanza militare ed economica li portò ad ampliare i territori nazionali, soprattutto per
ragioni economiche.
Alle tre potenze maggiori presto si unirono anche il Portogallo, l’Olanda e, più tardi, il Belgio.

Normalmente il colonialismo moderno si fa nascere proprio con la scoperta dell’America e l’avvio
dei grandi progetti di viaggi intercontinentali che rivoluzioneranno le conoscenze geografiche degli
europei, riscriveranno le carte geografiche e quelle nautiche, ma soprattutto offriranno ai potenti
Stati Nazionali europei sterminati territori da poter conquistare e sfruttare economicamente,
contando sulla superiorità tecnica militare e strategica rispetto alle popolazioni indigene
notevolmente lontane dallo standard medio della cultura europea.

Questi i primi nuclei degli imperi coloniali:
1. Inghilterra: America del Nord, Indie, Africa;
2. Francia: America del Nord, Asia orientale, Africa settentrionale;
3. Spagna: America centrale e meridionale;
4. Portogallo: Brasile, Asia Orientale, Azzorre;
5. Olanda: Africa centrale e meridionale
6. Belgio Africa centrale

Al momento nessuno immaginò che le conseguenze economiche di quella scoperta sarebbero state
incommensurabili e nessuno valutò l’enorme costo umano dell’operazione a danno dei nativi. La
conquista del nuovo mondo da parte degli spagnoli e da parte degli inglesi raggiunse incredibili
punte di violenza tanto che alcuni storici non esitano a parlare di genocidio.

Cosa abbiamo imparato da loro: piante introdotte dagli arabi ed altre popolazioni

Solo nel basso Medioevo gli orti si arricchirono di numerose piante importate in Italia dal Nuovo
Mondo e dagli Arabi, soprattutto in Sicilia. Dal Rinascimento, ovvero dopo la scoperta del “Nuovo
Mondo”, si cominciarono a coltivare il mais, la patata, il pomodoro, il peperone, alcune varietà di
fagioli e zucche, le fragole da orto e il girasole. E, contemporaneamente, si diffusero in Occidente
alcune pratiche colturali introdotte dagli Arabi, specie i nuovi sistemi di irrigazione. Ma soprattutto
gli Arabi introdussero e diffusero in Occidente innumerevoli piante di origine asiatica o africana.
Impiantarono nei territori conquistati la coltivazione degli agrumi, in particolare limone e arancio,
mentre l’unico agrume conosciuto fin dal tempo dei romani era il cedro. Agli Arabi si deve
l’importazione in Sicilia della coltivazione del pistacchio, carruba, canna da zucchero, cotone e
riso. Inoltre dobbiamo agli Arabi la diffusione del gelso, che si sostituì al moro per l’alimentazione
del baco da seta, degli spinaci, originari della Persia, delle melanzane, originarie dall’India e del
carciofo. Mentre i genovesi introdussero dal Mediterraneo orientale il cavolfiore e i broccoli.

Carlo Magno elenca, nel “Capitolare de villis” i vegetali per uso medicinale da coltivare negli orti.
Tra le tante essenze floristiche venivano comunemente seminate la camomilla, il dragoncello, la
ruta (considerata un ottimo rimedio contro le streghe e i sortilegi - le fatture ), il papavero da oppio
(utilizzato come calmante e analgesico per i bambini), i cui semi venivano utilizzati per condire
dolci e pani, la balsamita (usata contro le tarme), il basilico, che ha mantenuto una simbologia
funeraria fino ad oggi, probabilmente mutuata dal mondo greco-romano, ed il tanaceto (dal greco
“tanatos”, morte) che veniva piantato a ridosso delle tombe.

Molte specie avevano la duplice utilità, medica ed aromatica, e tra queste le più diffuse erano la
salvia, l’anice, la mente, il rosmarino, il prezzemolo ed il coriandolo, che veniva usato al posto del
pepe per insaporire gli insaccati.

Le migrazioni in due storie che parlano di noi

Siamo ad Aigues-Mortes, nel 1893, in piena estate (FOTO). Siamo nella regione della Linguadoca-
Rossiglione dove la “Compagnie des Salins du Midi” assume lavoratori per la raccolta stagionale
del sale dalle vasche di evaporazione delle saline. Con la disoccupazione in aumento a causa della
crisi economica europea, la prospettiva di trovare lavoro stagionale attira più persone del solito. Gli
stagionali sono suddivisi in tre categorie: gli ardéchois (contadini di nazionalità francese), i
piémontais (italiani reclutati sul posto dai caporali) e i trimards (vagabondi).

E’ un caldo soffocante, nell’aria volteggiano sciami di zanzare, il paesaggio è lunare, il sole si
riflette sul bianco delle montagne di sale e la luce è talmente forte che fa male agli occhi. Gli italiani
sono arrivati per lo più dal Piemonte e dalla Toscana.

Si dorme in baracche, si lavora a cottimo. Non c’è acqua per liberare la pelle dal sale. I ritmi sono
insopportabili, avanti e indietro con le carriole cariche di sale dall’alba al tramonto, ci si deve
stordire bevendo vino per sopportarli. A casa la famiglia ha fame, il senso di responsabilità
aggroviglia le budella di notte, la nostalgia è grande. Ma non si ha tempo per pensare, ci si alza, si
fatica, si mandano i soldi a casa.

I francesi sono arrabbiati, attribuiscono agli italiani l’abbassamento dei salari, li vedono aggirarsi in
paese sporchi e maleodoranti. Nel tempo libero, ubriachi di vino o di nostalgia, ciondolano fuori
dalle loro baracche, fanno ribrezzo, fanno paura.

Il 16 agosto 1893 viene diffusa una notizia - che poi si rivelerà falsa - che infama gli italiani.
Inferociti, circa cinquecento cittadini francesi armati di pietre, forconi e bastoni attaccano i migranti
al grido di “Mort aux Italiens!”, morte agli italiani. Ne segue una caccia all’immigrato,
principalmente colpevole di portare via il lavoro nelle saline di Peccais, perché accetta condizioni
peggiori e salari più bassi. Il massacro dura due giorni. Alcuni italiani cercano rifugio in una
panetteria cui i francesi tentano di dare fuoco. La Gendarmerie prova a proteggerli, ma la furia dei
francesi è grande. Gli italiani vengono colpiti con bastoni, linciati, affogati. Muoiono in dieci, un
centinaio rimangono feriti. Secondo gli storici, la strage è causata dalla diffusione di quella che oggi
definiremmo una “fake news” sugli italiani e dal razzismo nei loro confronti. Commentando il
massacro, Cesare Lombroso su “Le Figaro” parla di “punture di spillo continuamente ripetute da
ciechi politici che finiscono per generare odi che, pur essendo stati creati artificialmente, non sono
meno potenti degli altri”. Vi ricorda qualcosa?

Siamo in Svizzera negli anni ’60. In “Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi”, edito da
Feltrinelli, Concetto Vecchio racconta le storie dei lavoratori italiani nella Svizzera degli anni ’60
dove migrarono in 2 milioni e ricorda anche il referendum perso per un soffio con il quale il politico
James Schwarzenbach tentò di rimandarne a casa almeno 300.000. Non c’era allora disoccupazione
nel paese, ma il referendum fece breccia tra la popolazione svizzera e scatenò un rancore istintivo. Il
giornalista scrittore riporta alcuni dei giudizi sui nostri connazionali raccolti nelle strade di Zurigo
nel 1964 dal regista Alexander Seiler per il suo documentario “Siamo Italliani”. Qualche esempio:
“Ci rubano i lavori migliori”. “Insidiano le nostre donne. Se hai figlie di 16-17 anni devi avere
paura”. “Occupano i posti letto negli ospedali”. “Arrivano in gruppo e non sanno stare da soli”.
“Sono molto diversi da noi. Ci fanno sentire stranieri in patria”. “Ostruiscono l’entrata dei
supermercati e non comprano niente”. “Dobbiamo ricordarci sempre di quando i poveri eravamo
noi”, spiega l’autore del libro.

L’Europa ha perso la coscienza, la memoria, l’umanità.

Basterebbe riportare alla mente episodi come questi per vedere noi nell’altro. Allora eravamo noi i
migranti, oggi sono i cinesi, i mediorientali, gli africani. Ma è soprattutto contro questi ultimi che
sta montando una campagna di odio. Tutti noi esseri umani arriviamo dall’Africa, anche solo per
questo dovremmo convincerci dell’assurdità di certe distinzioni: uomini bianchi, uomini neri.
Eppure ci fanno paura. E’ una paura atavica, che ha radici profonde e forti, difficili da estirpare.
Perché arrivano? Ma perché non stanno a casa loro? Cosa vogliono da noi? Ci stanno invadendo? Ci
sottraggono qualcosa? Lavoro, famiglia, casa, tutto sembra in pericolo.

Invece è proprio il nostro sistema economico che è ingiusto, depreda l’Africa delle sue ricchezze e
impedisce a quel poco di agricoltura africana di crescere, alimenta i conflitti che feriscono e
dilaniano il continente, favorisce i cambiamenti climatici che provocano siccità e carestie
costringendo milioni di persone a fuggire per avere salva la vita. Non partirebbero mai se avessero
un’altra scelta, come non sarebbero mai partiti gli italiani emigrati se avessero avuto un’altra scelta.
Partire infatti significa rischiare la vita. Negli ultimi tre anni undicimila migranti hanno perso la vita
nel Mediterraneo. In diciotto anni i morti in mare sono stati quarantamila.

E l’Europa? L’Europa è in preda all’isteria, al furore. L’Europa, che ha più di cinquecento milioni
di abitanti, si chiude come una fortezza.

Nessuno può negare che dal 2012 a oggi abbiamo assistito a un numero crescente di arrivi nel
vecchio continente (stando ai dati Unhcr, 22.000 persone sono arrivate attraverso il Mediterraneo
nel 2012, 59.000 nel 2013, 216.000 nel 2014, un milione nel 2015, anno del picco di arrivi, 361.000
nel 2016, 171.000 nel 2017), ma anche sommandoli tutti siamo ben sotto i due milioni di arrivi in
sei anni, rispetto a una popolazione europea di oltre cinquecento milioni di persone. Basta calcolare
la percentuale dei migranti sbarcati sulla popolazione europea (meno dello 0,4%) per capire quanto
è irrazionale la nostra paura.

L’Italia certo ha fatto molto come paese di primo approdo. Assieme alla Grecia si è trovata ad
affrontare una importante emergenza. Ma forse anche qui bisognerebbe affidarsi ai numeri per
sgonfiare l’irrazionalità che sfocia in paura: nel 2014 l’Italia ha visto l’arrivo di 170.000 persone,
nel 2015 sono scese a 153.000 per poi salire a 180.000 nel 2016 e ridiscendere a 119.000 nel 2017.

L’Italia ha una popolazione di 60 milioni di persone. Anche qui, se guardiamo la percentuale
rispetto alla popolazione dobbiamo ammettere che sono numeri assorbibili e gestibili (l’1,03%).

Questo vuol dire che non c’è stato e non c’è un problema da affrontare? E’ evidente che il
fenomeno va affrontato e delle soluzioni vanno trovate, ma il furore cieco non serve e anzi, come
abbiamo visto a Aigues-Mortes, è pericoloso.

L’Europa che si vantava di avere abbattuto i muri ora li costruisce. Si spendono milioni di euro per
difendersi da poche migliaia di poveri che chiedono asilo perché in fuga dalla guerra o che aspirano
a lavorare e vivere un po’ meglio. Nessuno si ricorda più che siamo andati a raccogliere il sale
all’estero per sopravvivere (e a lavorare nelle miniere, nelle fabbriche, nei campi, nelle case).

L’Europa ha perso la coscienza, la memoria, l’umanità.

Rocco Di Scipio

Bibliografia essenziale
. Alex Zanotelli, Prima che gridino le pietre, Chiare lettere editore srl, Milano 2018.
. Nicolangelo D’Adamo, Due secoli di storia il Cinquecento ed il Seicento, Università delle Tre
Età “Città del Vasto” a.a. 2018-2019.
. Concetto Vecchio, Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi, Feltrinelli maggio 2019.


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