domenica 15 aprile 2018

Duecento anni fa il vastese Mons. Tiberi diventava vescovo di Sulmona: ecco la sua storia


di Lino Spadaccini

Duecento anni fa, nell'aprile del 1818, Mons. Francesco Felice Tiberi veniva elevato al rango di vescovo e prendeva possesso della diocesi di Valva e Sulmona.

Sin da bambino Francesco Felice, figlio di Giuseppe (eccelso poeta vastese, conosciuto in arcadia con il nome di Cloneso Licio) e Margherita Spataro, si dedica alla carriera ecclesiastica. Dottore in ambo i diritti e valente maestro di teologia, viene aggregato al clero di San Pietro con la dignità di canonico nel 1787; nello stesso anno viene nominato primicerio e vi rimane in carica per sedici anni.

In occasione della prima messa celebrata dal neo sacerdote, il fratello, Antonio pubblica un foglio con due sonetti, uno dei quali recita così:

Si adori Iddio, che accolto in picciol segno,
   Discese al fuori de’ portentosi accenti,
   L’istesso Dio, che per le umane genti
   Vittima offrissi del paterno sdegno;
Si adori Iddio, che sul temuto legno
   Vinse la Morte, e per le vie de’ venti,
   Spiegando le bandiere rilucenti
   Aprì le porte del Celeste Regno.
Al Sacro Giovanetto, ora che spande
  Per tanta dignità novello lume
  D’eletti fiori intreccerem ghirlande;
E ciascun dirà lieto oltre il costume:
  Di un Sacrifizio il più tremendo, e grande
  Il Ministro è Francesco, e l’Ostia un Nume.

Nel volume pubblicato nel 1796 "Poesie per la promozione alla regia prepositura della reale insigne collegiata matrice di S. Pietro della Città del Vasto in persona dell’illustrissimo signor canonico D. Giuseppe Maria De Nardis", troviamo due composizioni in latino del prelato vastese: un’Ode ed un breve epigramma con questi versi:
Petri pande gregi sic Tu vernantia prata,
Ut Petrus pandat limina summa Tibi.

Nel 1803 Francesco Felice si trasferisce a Roma e diventa Padre della Congregazione dell’Oratorio, ordine fondato da S. Filippo Neri nel 1575, nonché vicario generale della diocesi di Sora.
Nell’Archivio Storico "G.Rossetti" si conserva la copia manoscritta di una lunga quanto bella lettera in versi scritta dal padre Giuseppe, che dall’alto dei suoi anni vede il proprio figlio andar via e forse mai più rivedrà (il conte Tiberi morirà nel 1812).
Questi i primi significativi versi:
Le natie paterne mura
Tu abbandoni, amato Figlio!
Sento i moti di natura
che bagnar vorriami ‘l ciglio.
Grave è ‘l peso de miei dì.
Fors’io più non ti vedrò
Ah se mai sarà così,
da te lungi io morirò!.
Se i pietosi estremi uffizi
Non potrai tu allor prestarmi,
co i divini sacrifizii
Saprai meglio suffragarmi.
Adempir potrai si allora
Tu di figlio i dover tuoi:
E finché sia vivo, ancora
Il tuo padre adempie i suoi.

Il 6 aprile del 1818 (Luigi Anelli riporta la data del 15) viene nominato vescovo di Sulmona.
In seguito a questo evento, "l’incolto natural vate" Antonio Rossetti, scrive il seguente sonetto, conservato manoscritto nell’archivio storico vastese: Sorge di già l’Aurora, e grato spira / Un zeffiretto, e un astro amico mai / Non apparso finor, che ha pari i rai / Al rifulgente Sole in ciel si mira. / Dintorno ad esso aurato scritto gira / Vergato in queste note: Istonio avrai / Sacro splendor or che Pastor vedrai / Tiberî che dei Re l’amor si attira. / Prelato il Pastor sommo e’l Re Borbone / L’han scelto, Istonio, e Dio l’ha scelto in Cielo / Per dargli eguale al merto il guiderdone. / Io l’astro son che guiderollo in terra!... / Qui mentre leggo, un denso azzurro velo / La stella e l’auree note n sé rinserra.

Da vescovo torna nella nostra città l’8 maggio del 1819 per amministrare le cresime e ne riparte il 22 dello stesso mese. A tal proposito, nella Cattedrale di S. Giuseppe è presente un importante documento, redatto proprio nei giorni di permanenza nella nostra città, che attesta la presenza delle reliquie di S.Tommaso Apostolo, S.Gregorio e S.Maria Maddalena, conservate in una teca d’argento.

L’attività pastorale di Francesco Felice è particolarmente significativa in questi anni, in particolar modo si adopera per dare una maggiore preparazione al clero diocesano attraverso la riapertura del Seminario, rimasto chiuso da tantissimi anni. Su sua richiesta inoltrata a Papa Pio VII, la chiesa di San Panfilo viene elevata a Basilica minore. In questo importante tempio della cristianità, sin dal 1818 è presente una sacra spina della corona di Gesù Cristo. In precedenza la reliquia era conservata nella chiesa dei Padri Agostiniani. Ed è proprio il Vescovo Tiberi ad attestarne la presenza, con disposizione giurata, in occasione della sua visita pastorale. Ancora oggi la reliquia è conservata all’interno della chiesa, insieme ad un documento che ne attesta la fioritura nel Venerdì Santo del 1819.

Oratore sacro fecondo e appassionato della poesia italiana e latina, ha lasciato manoscritti Omelie, Panegirici e Ragionamenti sulla liturgia ecclesiastica, mentre ha dato alle stampe Traduzione de’ Salmi del Vespro, secondo il Calendario Romano (Roma, 1809), Manuale Pontificum pro functionibus, persolvendis Candelarum, Cinerum, majoris Hebdomandae, ac Vigilae Pentecostes, Episcopo celebrante, vel assistente (Napoli, 1823), Regole del Seminario di Solmona compilate e pubbl. per ord. Di Franc. Felice de’ Conti Tiberii (Aquila, 1824), ed ancora una Epistola pastoralis, scritta nel giorno della sua consacrazione in data di "Romae extra Portam Lateranensem, Domenica III, post Pascha".
Francesco Felice Tiberi muore nella città Pelina il 25 aprile del 1828.
Chiudiamo con un Ode scritta in suo onore:
Ahi qual alto dolor nel sen si desta
Al suon lugùbre che nel cor rimbomba,
Ed incognita forza
A lagrimar mi sforza!
In bruno ammanto la Pietà vestita
Scorre per la Cittade a tardi passi,
E infonde in ogni core
Insolito terrore.
Morte crudele! Oh! Ben vegg'io, che fiero
Vibrasti il colpo, e'l buon Pastor cadèo.
Ah sì, ch'è giusto il pianto
Che sento in ogni canto!
Ma no… Frenate, o Cittadini, il duolo,
Che in voi rimane eternamente il nome
Del pio Pastore augusto,
Che fu sì grande e giusto.
Se inevitabil sonno or dorme il frale,
Già spiega al Cielo la bell'alma il volo,
E col natìo candore
Sen riede al suo Fattore
E tu delusa pur rimanti, o Morte,
Che se rotasti la tua falce orrenda,
Restonne il nome illeso,
E solo il frale offeso.











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