domenica 4 febbraio 2018

Speciale CARNEVALE (1 di 4): I DIVERTIMENTI DEL SECOLO SCORSO (foto)

di LINO SPADACCINI

Dopo il successo dello scorso anno del "Vasto Street Carnival", organizzato dal Comune di Vasto in collaborazione con le parrocchie e alcune associazioni cittadine, e in attesa di conoscere il programma dell'edizione 2018, vogliamo immergerci nel clima carnascialesco facendo un tuffo nel passato ricordando il "Carnevale morto","lu Bballe mîte", "la Cavallarëjje", le sfilate dei carri allegorici organizzate da don Felice Piccirilli, ed il carnevale organizzato dalla "Repubblica Studentesca".
L'unica tradizione che ancora oggi prosegue, con grande successo, è il canto de"La Štorie", ripresa dal 1995 dal poeta vastese Fernando D’Annunzio: un appuntamento molto atteso, che propone una sintesi dei principali avvenimenti
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dell’anno appena trascorso, partendo da quelli a livello mondiale e nazionale, fino a giungere a quelli propriamente locali, attingendo soprattutto dalla classe politica, che non manca mai di fornire spunti interessanti.

Ancora oggi il Carnevale rappresenta sicuramente un’occasione di divertimento che si esprime attraverso il travestimento, le feste in maschera, il ricordo delle tradizioni antiche ed anche in cucina attraverso le prelibatezze culinarie che ci hanno tramandato i nostri nonni.
L’apertura del Carnevale solitamente coincide con la festa di Sant’Antonio Abate, che ricorre il 17 gennaio. 

Nel passato, memorabili erano le grandi "ouverture carnevalesche", organizzate in casa Cordella. Tantissima gente partecipava in quest’occasione non tanto mondana, anche se vi partecipava tutta la società bene vastese, quanto una grande festa per far divertire i bambini.
Altre feste venivano organizzate durante tutto il periodo di carnevale nelle migliori famiglie, ma anche balli pubblici e feste all’interno del Teatro Rossetti, che disponeva di una piattaforma di legno smontabile, appositamente costruita e sagomata, per formare un piano unico con il palcoscenico. Particolarmente attesi erano il ballo dei "lancieri" e quello della “quadriglia”, comandati in perfetto francese da Nicola Benedetti "Mazzacocche", oppure da Biagio Forte, apprezzato artigiano vastese. Nei veglioni più popolari, si ballava anche la tarantella, organizzata e diretta dal calzolaio "Luiggiarille".

Particolarmente apprezzata dagli inizi degli anni '50 la "Rassegna delle Maschere" alla S.A.L.T.O., lo stabilimento dei tabacchi del comm. Carlo Boselli. Oltre al pranzo sociale, offerto alle oltre trecento "saltine", con la tradizionale gastronomia carnevalesca vastese, dove spiccavano ravioli e ciciricchiata, prendeva il via la Rassegna Mascherata, con la premiazione dei vestiti più originali. Il canto de la Štoria, momenti ludici e le melodie proposte dall'orchestrina, contribuivano alla buona riuscita delle feste.

Una rievocazione storica, citata anche da Luigi Marchesani, nella sua Storia di Vasto, che veniva saltuariamente proposta nel periodo di carnevale, era la "Cavallarëjje", ovvero la tradizionale mascherata a cavallo dei vetturali vastesi, in ricordo delle incursioni turchesche sulle nostre coste dal XVI al XVIII secolo."In origine, la mascherata consisteva in un corteo di cavalieri dalla pelle nera", si leggeva in un articolo degli anni '20 apparso sulle colonne de Il Vastese d’Oltre Oceano, diretto da Luigi Anelli, "che per prima coppia aveva un Pascià a lato di una fanciulla bianca, vestita di candidi veli. Oltre alla magnificenza dei vestiti, la mascherata si distingueva per la ricchezza dei turbanti e dei fez dei cavalieri della mezzaluna, letteralmente ricoperti di fiammanti collane di oro".
Con il passare degli anni anche la rievocazione perse il significato e il suo fascino iniziale: i costumi turchi passarono di moda e la caratteristica mascherata della Cavalleria venne trasformata in un corteo reale con la coppia coronata seguita dal codazzo di "cavalieri bianchi dai serici vestiti,dalle sgargianti gualdrappe dei loro destrieri ed armati di innocue sciabole di legno inargentato".

Un’antica tradizione carnascialesca molto seguita e apprezzata era "Lu Bballemîte" (Il Ballo muto), una specie di quadriglia, ben strutturata che veniva eseguita a suon di organetto da un gruppo di soli uomini, alcuni di quali vestiti da donna.
Questa tradizione, sin dall'immediato dopoguerra, è stata tenuta viva per tanti anni prima da Mastro Gino Pracilio, e successivamente dal compianto Ezio Pepe, che l’ha riproposta anno dopo anno, con il coinvolgimento dei giovani della parrocchia dei Salesiani, fino al 1994.
L’ultima edizione è stata quella del 1995, in un certo senso un omaggio al compianto Zì Culucce, scomparso solo qualche settimana prima, grazie alla regia di Ida Pepe, che ha pazientemente istruito le sedici coppie di ragazzi, seguendo minuziosamente i passi tramandi dell’antica tradizione.

Un'altra consuetudine abruzzese piuttosto lugubre e ripugnante, importata dai mercanti baresi, era quella del "carnevale morto". Su un carretto sgangherato veniva sistemato un fantoccio fatto di cenci e di paglia. Intorno c’erano il prete, il sagrestano e varie maschere con lumi accesi e grossi campanacci. Dietro il carretto, seguiva la moglie di carnevale, che addolorata piangeva e si strappava i capelli per il marito morto. Tutt’intorno i monelli schiamazzavano e gridavano lagnosamente: "È morto Carnivale, e po' po' po'!".
In alcuni paesi abruzzesi veniva messo un uomo in carne ed ossa all’interno di una cassa da morto,che ogni tanto si rianimava attaccandosi al fiasco di vino,  seguito da un finto prete, con tanto di acquasantiera e aspersorio, e alcune donne in lacrime intente a gridare:
Carnivale, pecchèscì morte?
Pane e vine non te mancava;
La ‘nsalatatinive a l’orte:
Carnevale, pecchèscì morte?
Ed anche:
Carnivale, pirchèscìmuorte?
La ‘nsalatatenivi all’uòrte:
Lu presutteteniviappise:
Carnevale, puozz’ esse accise.
La versione vastese della mascherata aveva una chiusura più serena. Un pulcinella enorme, con un cuscino sulla pancia, sotto i vestiti, a dimostrare il troppo cibo ingozzato, messo su un cavallo bianco, andava verso l’imbrunire in giro per la città gridando:
"Chi te li maccarune d’avanze!
Ecche la panze! Ecche la panze!"
E poi aggiungeva:
"Popolo di Vasto, statti bene!
Stanotte me ne vado!
Arrivederci st’altr’anno!".
Il corteo terminava al largo della fontana, dove un grosso fantoccio di paglia veniva bruciato fra gli applausi dei parenti.
Un altro gruppo che spesso si vedeva in giro per le strade era quello de "li cucciulune", costituito da giovani buontemponi vestiti con lunghi camici bianchi ed enormi teste di cartapesta, che attraversavano lentamente le strade della città.


Lino Spadaccini













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