venerdì 22 luglio 2022

QUANDO D'ESTATE I BAMBINI VENIVANO ALLA "COLONIA MARINA" (1^ di 4 puntate)


di LINO SPADACCINI

DSentir parlare di colonia marina, sembra quasi parlare di tempi lontani. Il nome stesso è ormai in disuso, sostituito da altri nomi più moderni come Centri estivi, campeggi, Campus, Grest o Summer Camp, specifico per i ragazzi che vogliono studiare l'inglese.
La prima colonia estiva in Italia ha origini antichissime: risale al 1822 quando
l’Ospedale di Lucca progetta nella vicina spiaggia di Viareggio una colonia per i bambini disagiati. In quegli anni, il medico Giuseppe Barellai, dopo aver portato tre bambini scrofolotici nella spiaggia di Viareggio ed averli sottoposti a bagni di sole e di mare, notò evidenti miglioramenti.
Verso la metà dell’Ottocento si contarono già una cinquantina di colonie marine, per lo più localizzate in Emilia Romagna e Toscana.
Da una primitiva connotazione di mere case di cura, le colonie assunsero con l’andare del tempo anche la funzione di strutture dedicate ai bambini, che durante la stagione estiva, le frequentavano per irrobustirsi e giocare, divertendosi e socializzando con i propri coetanei.Con l’avvento del fascismo, le colonie crebbero enormemente e vennero frequentate da grandi masse di bambini. I bimbi ospitati entrarono a far parte di cittadelle dedicate all'infanzia, all'interno delle quali si radunavano i giovani balilla svolgendo attività fisica, sport, giochi, bagni di sole e di mare.
Su iniziativa del Partito Nazionale Fascista, vennero edificati enormi strutture capaci di ospitare più di mille bambini, come ad esempio la colonia marina Bolognese di Rimini, realizzata nel 1934, con ben 2000 posti letto.
Anche per Vasto per la colonia intitolata alla "Principessa di Piemonte", portata avanti dalla Croce Rossa Italiana e dall'Opera Nazionale Combattenti, si pensò di realizzare una struttura moderna e accogliente, come si può notare dall’interessante progetto realizzato dall’Arch. Luigi Martella, formato da una struttura semicircolare con la parte centrale su più livelli, dotato dei maggiori conforts, ed anche una cappella per la celebrazione della S. Messa.Il progetto non andò in porto e al posto della mega struttura ci si continuò ad arrangiare nei due capannoni situati vicino alla Pineta del Littorio.
L’inaugurazione della colonia avvenne il 20 luglio 1930, così come riportato sulle colonne del periodicoIl Vastese d'Oltre Oceano: "Con avviso a stampa indirizzato alla cittadinanza, a firma dei Delegati del Comitato pro Colonia Maria professoressa signorina Maria Monacelli e Segretario del Comitato stesso sig. Francescopaolo Giovine, chimico farmacista, si è inaugurata domenica 20 luglio la Colonia Marina in Vasto spiaggia, con la benedizione impartita dal Parroco della Chiesa Santa Maria Stella Maris". Con le donazioni spontanee dei cittadini e, soprattutto, della Società Lucio Valerio Pudente, operante negli Stati Uniti, si poterono costruire "tre spaziosi capannoni in legno, con copertura di zinco ondulato, capaci di contenere 40 letti, oltre la cucina; e quest’anno per la durata di 40 giorni, in quei capannoni sono ospitati 16 bambini dell’Asilo infantile di Atessa, 16 bambini poveri del Vasto e 5 alunni delle nostre scuole elementari; questi ultimi a spese della Croce Rossa Italiana…".

L'anno successivo i primi ad essere ospitati furono i bambini del Giardino d'infanzia di Atessa, accompagnati da quattro suore, due inservienti e un bagnino. Successivamente, per un periodo di 40 giorni, vennero ospitati nei padiglioni della Colonia 80 bambini poveri "di gracile costituzione", della nostra città. "Ai piccoli coloni", si legge in un articolo del luglio 1931 apparso su Il Vastese d'Oltre Oceano, "durante tutto il periodo della cura, verrà fatto dalla Trattoria del Popolo, che per l'occasione ha aperto una succursale a Vasto Marina, il seguente trattamento: Ore 8, colazione: caffè e latte con panino; ore 12, pranzo; minestra e carne con contorno; ore 16,30, merenda: marmettata, o salame, o formaggio, o frutta, con pane; ore 19, cena: minestra in brodo, o minestrone, e frutta".
Alle spese occorrenti per il funzionamento della colonia Marina, concorreva il Comitato Provinciale dell'E.O.A. (Ente Opere Assistenziali), con un sussidio di 5mila lire, mentre il comune di Vasto provvide a devolvere alla colonia stessa il ricavato della tassa di soggiorno. Questa tassa, reintrodotta in questi ultimi anni, veniva applicata a coloro che soggiornavano per almeno cinque giorni a scopo di cura, in quei comuni dove rivestivano particolare importanza le stazioni climatiche o balneari.
Durante i mesi estivi vennero ospitati a turno i bambini maschi e femmine. "I capannoni muniti di letti e comodità acconce erano funzionali", si legge in una memoria di Laura Fiorentina Fabrizio, riportata sul volume Il Novecento a Vasto, a cura di Beniamino Fiore, "Il personale consisteva di quattro maestre e due raccomandate inesperte. La cuoca, una cinquantenne giudiziosa oltremisura, faceva da mamma e da gerarca". La struttura accoglieva circa centocinquanta bimbi divisi in squadre. "Seduti per terra all’ombra dei capannoni o della pineta aveva inizio la giornata", ricorda ancora la signora Fabrizio, "si faceva la ginnastica, poi a seconda l’età dei bambini si alternavano favole e lettura fino l’ora di bagno. Nell’acqua si stabiliva il limite da raggiungere sotto gli sguardi protettori delle maestre e del bagnino che aveva doppia incombenza: buttarsi in acqua al più lieve pauroso allarme ed andare con una barchetta a pescare il pesce fresco. I bambini usciti dall’acqua si rotolavano nella sabbia e poi rientravano per il pranzo. Venivano serviti su sei lunghi tavoli davanti alla cucina, con pasti abbondanti e sostanziosi, ricchi di carne, gnocchetti e patate. Per frutta non mancava la mela. Finito il ristoro, ognuno tirava dal proprio fagottino personale un quadrato di tela e ci si allungava sopra per riposare e fare la pennichella. A quel sonno seguiva il girotondo con cantilene e rincorsi a coppie con risa, trilli e battimani".
Con l’avvento del secondo conflitto mondiale la Colonia cadde in totale abbandono.

Lino Spadaccini















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