venerdì 7 aprile 2017

La poesia "Vasto" di B.G. Amorosa: in pochi versi la millenaria storia della Città!

di Lino Spadaccini

Le bellezze e la storia di Vasto in una poesia degli inizi del '900.
A decantare il fascino del nostro territorio e le gesta eroiche di grandi personaggi del passato è Berengario Galileo Amorosa (1865-1937), educatore, storiografo e cultore di tradizioni locali.
Nato a Riccia, in provincia di Campobasso, nel 1865, frequenta gli istituti scolastici di Assisi, Campobasso e Napoli, dove si iscrive all'università, laureandosi in legge. Si dedica con passione all'insegnamento, dapprima nel paese natale, e successivamente a Montenero di Bisaccia. Nel 1891 vince il concorso per ispettore scolastico ed accetta il trasferimento a Conegliano Veneto. Seguono altri trasferimenti a Pieve di Cadore, Sulmona, Penne, Sassari e Lanciano.
Nel 1903 vince il concorso a provveditore agli studi, ed esercita le proprie funzioni a Catanzaro, Chieti, Caserta e di nuovo a Chieti, fino al 1923, quando viene collocato a riposo.
Appassionato di storia e tradizioni locali, Amorosa pubblica una serie di lavori davvero interessanti, tra i quali ricordiamo Riccia nella storia e nel folklore e Il Molise, Almanacco regionale. Anche nel periodo "abruzzese", si dedica allo studio del territorio, con particolare attenzione alle località storiche con un grande passato sulle spalle. Da qui nascono una serie di poesie, tra le quali quella che di seguito riportiamo integralmente, dal titolo "Vasto", pubblicata nel 1926 sul quindicinaleIl Vastese d'Oltre Oceano diretto da Luigi Anelli.
Vasto


Vasto

O fulvo arco lonato del lido, che accogli nel seno
de l'onda il bacio glauco:
o luminosa rada, feconda d'aranci e d'olivi
che i rami al mar protendono,
io vedo in te la forza, la gloria in te miro di questa
libera patria italica.
Su te s'accende, a' primi bagliori del sole che nasce,
alta l'antica Istonio;
e risplendono tutte sul colle ove posi e sul mare
     le vestigia dei secoli.
A te Diomede venne, fuggente l'impura Egialea,
il primo segno a imprimere
de la città novella, che lana a gli Elleni e a l'Urbe
diede falangi eroiche.
Diede a gli Edili Sceva, a Cesare Didio navarca,
ed a le Muse il giovane
l'udente, redimita di lauro la chioma dal divo
Traiano in Capitolio.
Pur la ferocia franca d'Aimone, o Istonio, vincesti,
quando con nome barbaro
da le macerie aduste te volle risorta di fronte
al mare ed a le Tremiti,
fra Termoli che accolse nel' ardue sue mura Platone,
e la verde penisola
su cui Buca – la gemma de l'inclita terra frentana –
e Pennalucesparvero.
Piombar su te la strage furente e la cieca rapina
di Saraceni e d'Ungheri;
ed ospite a te venne quel Terzo Alessandro cui l'onda
ruppe il naviglio fragile.
Ma ne la pace azzurra, del sol ne la luce divina,
lontan sul flutto cerulo,
altre visioni attinge da te la pupilla o il pensiero
nel tempo e ne lo spazio.
Ecco, il Gargano inarca lo sprone dei ripidi fianchi,
da cui, chiuso nel ferreo
giaco, ritto in arcione, balzò Fieramosca – l'eroe
de la Disfida – a gl'inferni:
de l'epica Disfida che franse la gallica boria,
stolida ed immutabile,
e che Riccio de Parma, cresciuto a' tuoi miti favoni
ebbe ardito fra i Tredici.
Ecco, di Marchesani lo spirito fiero, che addita
di Lissa il fato tragico
Oltre l'estremo lembo del cielo e del mare, solcato
da le vele di porpora.
Te di Caldora il fasto, te il fasto dei D'Avalos cinse,
quando vedesti estatica
passar per le tue vie Vittoria Colonna, florente
di bellezza e di cantici.
Ti di Rossetti i carmi, di Nirico l'alta fierezza,
del gran Palizzi il genio
e di Cordella il sogno, qual tenera madre, nutristi
per la gloria d'Italia;
mentre per Roma il Ricci la giovine vita a Mentana
offerse in olocausto,
e cadde a Porta Pia da prode il Bosco, ascoltando
l'inno de la vittoria.
Salve, città, che tanto fervore di storia commosse,
per i tuoi figli celebre,
pe' colli tuoi feconda, pel mar che carezza la riva
sorridente di fascino;
salve, e ripiglia il corso di nuove e più liete fortune
ne la fuga de' secoli.


B. G. Amorosa


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