INTERVISTA
A PAOLO CREPET a VASTO, mercoledì 25 Gennaio
a cura di Patrizia Angelozzi
Il CICAF, Centro
Italiano di Consulenza e Alta formazione di Lanciano promuove il Convegno
Formativo con lo Psichiatra Paolo
Crepet, ospite mercoledì 25 Gennaio, nel teatro della scuola Madonna dell'Asilo
a Vasto alle ore 16.30.
"Il coraggio di educare" è il tema,
fortemente voluto da chi da anni opera all'interno di questa
Associazione nella convinzione della crescita individuale e collettiva."Il coraggio di educare" è il tema,
A moderare l'incontro, che vede l'accreditamento per professionisti di settore, la giornalista Paola D'Alonzo.
Per partecipare è necessaria l'iscrizione, Info e Contatti
Dr. Luigi Gileno, Psicologo, Psicoterapeuta, tel. 3475519028
https://www.facebook.com/events/608529245985887/
segreteria.nazionale@cicaf.it
Rivolgo alcune domande al Prof. Paolo Crepet, che ringrazio innanzi tutto per la disponibilità.
Per partecipare è necessaria l'iscrizione, Info e Contatti
Dr. Luigi Gileno, Psicologo, Psicoterapeuta, tel. 3475519028
https://www.facebook.com/events/608529245985887/
segreteria.nazionale@cicaf.it
Rivolgo alcune domande al Prof. Paolo Crepet, che ringrazio innanzi tutto per la disponibilità.
-Professor Paolo Crepet, qual è il suo punto di vista
sull'emergenza educativa?
E' un
punto di vista che nasce dalla cronaca di tutti i giorni, quello che è successo
con i ragazzi di Ferrara e altri casi di questo genere che sono solo la punta
di un iceberg che ci dice che non è una emergenza, ma è un disastro educativo,
un totale disatro di cui non dimostriamo
di essere così tanto preoccupati. L'anticipazione dell'età, un'idea di educare
senza alcuna regola, pensando che i figli debbano solo pretendere e non dare
mai niente, perdonarli in tutto e per tutto, questa è idiozia educativa.
- Gli agenti educativi, scuola, famiglia ed educatori, in
rete sono una forza. Nella sua esperienza quanto è importante il confronto tra
le parti?
Certo si, è importante. Però nell'autonomia, possibilmente.
Nel senso che ciò che abbiamo visto in tutti questi anni, che è quello di
'invadere costantemente' da parte dei genitori sempre più spesso, il territorio della scuola, è dannoso.
Una mamma non fa l'insegnante e viceversa, chiaro? E un papà non fa l'insegnate e viceversa. Quindi mamma e papà fanno i genitori quando è il momento, cioè a casa loro, in una scuola, no. Tranne cose eccezionali, no.
Certo se un genitore vuole andare a scuola per sapere come va il proprio figlio, si. Quello che abbiamo visto in maniera terrificante, sopratutto nel nostro Paese, è l'entrata a gamba tesa di mamme e papà, zie, nonne, etc etc..sulla scuola, sopratutto quando la scuola diventa esigente e severa, ma la scuola o è esigente e severa oppure non è una scuola.
Una mamma non fa l'insegnante e viceversa, chiaro? E un papà non fa l'insegnate e viceversa. Quindi mamma e papà fanno i genitori quando è il momento, cioè a casa loro, in una scuola, no. Tranne cose eccezionali, no.
Certo se un genitore vuole andare a scuola per sapere come va il proprio figlio, si. Quello che abbiamo visto in maniera terrificante, sopratutto nel nostro Paese, è l'entrata a gamba tesa di mamme e papà, zie, nonne, etc etc..sulla scuola, sopratutto quando la scuola diventa esigente e severa, ma la scuola o è esigente e severa oppure non è una scuola.
-Presto
avremo la sua presenza qui in Abruzzo, a Vasto per un convegno-formativo. C'è
un suo testo che possiamo approfondire prima dell'incontro con lei?
Uno è
"La gioia di educare" di Einaudi e un altro più recente è
"Baciami senza rete" per Mondadori, in questo ultimo, 'rete' nel
senso della rete web che ha invaso le nostre vite e non mi sembra una cosa
marginale.
Di seguito
un breve riepilogo del professionista che oggi, con il suo modo di comunicare
ed un carisma speciale, insegna con parole semplici, concetti complessi
rendendoli fruibili e adottabili nella nostra vita.
L'incontro con Franco
Basaglia, collega e amico di suo padre, Massimo
Crepet, pioniere della medicina del lavoro e prorettore dell'ateneo
padovano. In quel periodo l'Italia
guardava con diffidenza a Basaglia e tendeva a liquidarlo con l'etichetta di
“testa calda”, atteggiamento che non fu di Massimo Crepet, che in un periodo di difficoltà gli aprì le
porte della sua scuola di specializzazione in Medicina del Lavoro .
Allora non era scontato che le idee dello psichiatra più
discusso e creativo del novecento si sarebbero affermate, che la sua azione di
rottura potesse divenire il progetto guida di un nuovo modo condiviso di
rapportarsi alla malattia mentale, una legge dello Stato, la “180”.
Un concetto che troviamo 'pieno e forte' nelle parole di
Paolo Crepet:
"Mi piace l'umanità, l'uomo, per questo da ragazzo ho guardato la facoltà di medicina come un modo per avvicinarlo. Poi la psichiatria è arrivata come scelta estrema in una grande stagione culturale. Posso dire che c'è anche un'altra radice nella scelta di fare lo psichiatra, che affonda nel clima respirato da bambino grazie ai miei nonni, entrambi artisti. Quello paterno, pittore veneziano, era un intellettuale dell'arte, quello materno, ceramista marchigiano, era un artigiano dell'arte. Con loro ho passato tanto tempo, tempo che ha voluto dire una lunga infanzia felice, un periodo in cui ho immagazzinato sensazioni, emozioni, potenzialità. La mia famiglia mi ha insegnato il valore della creatività, dell'immaginazione, del “bello”. Tutto parte dalla ricerca della felicità e per questo credo che la psichiatria sia l'arte di rimuovere gli ostacoli alla felicità. Sono convinto che la psichiatria abbia più a vedere con l'arte che con altro".
"Mi piace l'umanità, l'uomo, per questo da ragazzo ho guardato la facoltà di medicina come un modo per avvicinarlo. Poi la psichiatria è arrivata come scelta estrema in una grande stagione culturale. Posso dire che c'è anche un'altra radice nella scelta di fare lo psichiatra, che affonda nel clima respirato da bambino grazie ai miei nonni, entrambi artisti. Quello paterno, pittore veneziano, era un intellettuale dell'arte, quello materno, ceramista marchigiano, era un artigiano dell'arte. Con loro ho passato tanto tempo, tempo che ha voluto dire una lunga infanzia felice, un periodo in cui ho immagazzinato sensazioni, emozioni, potenzialità. La mia famiglia mi ha insegnato il valore della creatività, dell'immaginazione, del “bello”. Tutto parte dalla ricerca della felicità e per questo credo che la psichiatria sia l'arte di rimuovere gli ostacoli alla felicità. Sono convinto che la psichiatria abbia più a vedere con l'arte che con altro".
Ho avuto la fortuna di vivere il mio esordio professionale
nel luogo dell'avanguardia e della sperimentazione,ad Arezzo nel 1979. Un
laboratorio eccezionale dove non si sentiva la dimensione ristretta della
provincia italiana, era come stare a Madison Square. Ho avuto modo di conoscere
i più importanti nomi della psichiatria, esperti che venivano da tutto il mondo
per osservare il nostro esperimento di apertura dei manicomi, di riconsegna dei
reclusi alla società civile.
Poi ho preferito
lasciare per un po' l'Italia. Ho colto al volo una borsa internazionale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e ho
cominciato a girare il mondo: ho lavorato in Danimarca, Inghilterra, Germania,
Svizzera, Cecoslovacchia e infine in India. Viaggiare è stata un'altra
eccezionale opportunità formativa. Più tardi i contatti internazionali sono
stati fondamentali e sono sfociati nell'insegnamento
in varie università: a Toronto, a Rio de Janeiro, al Centro di Studi Europei di
Harward".
"Al ritorno in Italia ho ritrovato Franco Basaglia ed
ho accettato il suo invito a seguirlo a Roma. Anche lui aveva lasciato Padova,
ahimè città bigotta in cui non è facile vivere con un respiro ampio, da dove io
peraltro me ne ero andato dopo i primi anni di Medicina anche perché
consideravo troppo condizionante il fatto di essere il figlio di Massimo
Crepet. E' così che scelsi Verona dove conobbi un altro personaggio
straordinario, il professor Hrayr Terzian, collega e amico fraterno di
Basaglia".
"Nella
mia vita ho sempre scelto più le persone che le situazioni. Ho sempre cercato
individui che fossero molto di più di quello che facevano ed ho avuto la
fortuna di averli vicini. Queste persone sono stati i miei grandi maestri. Il
mio incontro con Basaglia è stato su questo piano. Io,
ventiseienne, con lui scoprivo cosa significa pensare con la propria testa. Lui
mi ha spinto a cercare la mia individualità, mi ha insegnato a valutare
l'individuo, a lottare per la mia “vita”.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità mi chiese di
coordinare un progetto sulla prevenzione delle condotte suicidarie, questione
che la società rifiutava e che la psichiatria, anche quella riformata,
rimuoveva. E' stato a quel punto che ho cominciato a dare un senso definito
alla mia identità professionale. Ho deciso di concentrarmi su quel tema
specifico che alla fine mi ha condotto ad avvicinare in modo particolare le
questioni giovanili. L'essermi occupato di suicidio ha prodotto il libro “Dimensioni del vuoto”: è stata la prima
volta in cui in Italia è stata edita una pubblicazione su questo argomento. Le
vendite mi incoraggiarono a continuare a scrivere. Così l'idea di riflettere
sui “ragazzi cattivi” e la pubblicazione di
“Cuori violenti”, che ha venduto 70.000 copie".
"Ho cominciato a dare un grande spazio all'attività
divulgativa. Così qualche trasmissione televisiva si è accorta di me, e poi le
radio, i giornali. Tutto questo mi ha
costretto a cambiare linguaggio e modo di comunicare. Ho anche cambiato
pubblico: non più i miei colleghi, non più solo congressi e seminari
scientifici, ma incontri con la gente, i giovani, i genitori, gli insegnanti,
semplici cittadini. Anche i miei libri ne hanno tenuto conto, finalmente mi
sono liberato dalla costrizione del parlar difficile, del linguaggio tecnico.
Mi sento più libero e privilegiato: posso dire ciò che penso senza filtri, senza
ipocrisie perché la gente capisce, gli “esperti” meno".
"Credo
che le cose importanti si comunicano raccontando delle storie, storie che hanno
una motivazione didattica. Ho sempre pensato che Dostoevskij o Tolstoj fossero
immensamente più capaci di interpretare e descrivere l'animo umano di quanto
non lo siano stati Freud o Jung.
Sento l'esigenza di usare la scrittura come grande
possibilità di comunicare, per inquietare.mCome diceva Calvino “un buon libro è quello che quando lo sfogli puoi annusare
tutta l'inquietudine di chi l'ha scritto”.
Trovo che scrivere sia come godere della più alta forma di libertà: quella di indignarsi".
Trovo che scrivere sia come godere della più alta forma di libertà: quella di indignarsi".
Patrizia
Angelozzi
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