... Riflessioni e progetti per salvare "lu uastarele"
Ho preso
spunto da un album di Fernando D’Annunzio pubblicato su Fb il cui titolo «... il nostro dialetto non deve
morire...» mi ha
sollecitato un breve commento
da cui è scaturito un piccolo dialogo. Ho ritenuto utile metterlo insieme e
ripubblicarlo così come si è svolto (l.
m.)
Luigi Murolo
L’anno
scorso – più o meno in questo periodo – avevo invitato i cultori della materia
a un corso di trascrizione fonetica (scientifica, non letteraria) del dialetto
vastese che sarebbe potuto diventare base di un gruppo di lavoro. Ho ricevuto
solo cinque adesioni. Mi chiedo: c’è davvero interesse per la lingua storica
della città oppure dobbiamo continuare a ascoltare il solito refrain che “il
vasto (e non vasto) è bello (e non bella)”?
Fernando D'Annunzio
Prof.
Luigi, anch'io avevo appreso tramite FB del corso in progetto ed avevo dato la
mia adesione, ma poi non ho più saputo nulla. Forse si poteva iniziare anche in
cinque... Personalmente, amante e appassionato del dialetto vastese, quello
parlato dai miei avi tutti vastesi, credo di sapermi esprimere bene oralmente,
mentre nello scrivere mi rifaccio, il più possibile, a chi ci ha lasciato la
maggior parte delle opere in dialetto, in primis “Luigi Anelli” che, oltre a
tantissime opere dialettali, ha lasciato alcuniutilissimi dettami su simboli e
accenti da usare; anche gli scritti di Gaetano Murolo e, a seguire, Espedito
Ferrara, concordano con quelli dell'Anelli... Confesso che ho ancora molto da
apprendere, e sono digiuno sulla “fonetica scientifica”, ma penso che, per chi
vuole dilettarsi a leggere, per passatempo, un po' di dialetto, sia più facile
studiarsi le raccomandazioni di Luigi Anelli che impegnarsi a studiare la
“fonetica scientifica”. (Sono comunque sempre interessato ad un tuo eventuale
futuro corso, anche per poter rapportarmi con che ne sa più di me, su molti
aspetti del nostro dialetto) Ciao... e grazie.
P.S.
Sto pensando di attrezzarmi per poter divulgare opere dialettali vocalmente,
ovvero leggendole mentre scorre il testo... Solo così può essere possibile
lasciare tracce del dialetto scritto e parlato, (cecando di farlo nel modo più
corretto possibile).
Luigi Murolo
L’osservazione
dell’amico Fernando D’Annunzio non fa una grinza: meglio iniziare con cinque
interessati piuttosto che rimanere al palo. Il che vuol dire: meglio un piccolo
gruppo che lavora, piuttosto che una classe numerosa ma svogliata. Ma tutto ciò
funziona se l’attività è rivolta a un progetto che non è insegnamento. Ad esempio, la realizzazione del Lunario. Tre autori (e Fernando ne è
uno) con qualche collaboratore riescono a dare corpo a un bel volume atteso da
molti. L’impegno profuso ha un riscontro editoriale. Ma quando si parla di
insegnamento, e l’insegnamento (per quanto laboratoriale possa essere) si
presenta come la finalità stessa dell’iniziativa, dal punto di vista didattico
deve necessariamente prevedere una unità formativa chiamata classe. In un liceo, ad esempio, una
classe si forma solo se ha un numero compreso tra i ventisette e i trentadue
alunni. Se ha meno di ventisette ragazzi o non viene formata oppure viene
tagliata. Si può discutere sul numero: che è molto elevato. Ma per quanto possa
essere minimo, l’insegnamento non può essere al di sotto di una determinata
quota. Il gioco non vale la candela (avevo previsto una base di almeno dieci
interessati). Nel corso del lavoro qualcuno può anche abbandonare per i motivi
più disparati. È nell’ordine delle cose. Ma se da cinque qualcuno si ritira,
ecco che l’attività diventa all’improvviso priva di senso. Non è più un corso,
ma un piccolo gruppo di amici che tende al ma
rәcórdә (o, come diceva Fellini, all’ amarcord)
e non a una lectio. Le lectiones, anche se fortemente imperniate
sulla laboratorialità, esigono regole didattiche.
Ciò
che, al contrario, stupisce è la disattenzione verso la lénga della città. Non tanto verso la parlata, quanto verso la
scrittura. Nel momento in cui il dialetto non si presenta più come vernacolo (vale a dire, come lingua
primaria), ma secondaria rispetto all’italiano (quanti sono i bambini e i
ragazzi che ne sono locutori?), l’antica lingua si perde, si smarrisce. Occorrerebbe cristallizzarla con la scrittura fonetica
alla data in cui viene ascoltata oppure registrarla e conservarla in archivi
sonori. E invece che cosa si fa? La risposta si comprende dal numero degli
iscritti a un corso.
Caro
Fernando, se vuoi iniziare la tua attività, presenta il testo prodotto dagli
autori ottocenteschi e poi leggilo con la tua pronunzia dialettale da nativo.
Un’operazione che va ben oltre la scrittura. Formerai uno splendido archivio
sonoro. Da conservare per il futuro.
Tutto
qui. Se poi vogliamo un corso di scrittura fonetica, sono sempre disponibile.
Fernando D’Annunzio
OK
carissimo, a parte il “corso”, a me piacerebbe anche qualcosa che potrebbe
chiamarsi “seminario” o altro, con persone veramente appassionate ed
interessate, dove ognuno può dare il suo contributo e può, nel contempo,
insegnare, apprendere e formarsi... E’ pur vero che, come si suol dire, molti
credono di essere “nati imparati” e quindi per loro partecipare a qualcosa del
genere significherebbe abbassarsi a dover apprendere (siamo nell’epoca in cui tutti
vogliono dire e imporre, e quasi nessuno è disposto ad ascoltare ed
apprendere)... P.S. il “contributo” di cui parlo può essere anche tecnico, tipo
l’utilizzo dei social per una buona divulgazione fonetica del dialetto. Infine,
riguardo il numero dei “corsisti” o “seminaristi”, non porrei dei limiti... è
vero che alcuni potrebbero ritirarsi, ma altri potrebbero aggiungersi... Ciao
Luigi
Luigi Murolo
Anche
in questo sono d’accordo. Come già detto nel precedente intervento: «Se poi
vogliamo un corso di scrittura fonetica, sono sempre disponibile». Ribadisco la
mia piena disponibilità. Solo qualche precisazione. La lectio laboratorialisè di fatto un seminario. Non l’ho chiamata in
quest’ultimo modo per un motivo. Seminario etimologicamente significa vivaio. Vale a dire, un’organizzazione
fatta di giovani leve; da coltivare. Francamente non mi pare il caso nostro. Ho
voluto dare una denominazione più consona all’età. Ma il risultato non cambia.
Il duplice significato è sempre lo stesso: da un lato, «esercitazione su
un argomento specialistico tenuta da un docente a un gruppo ristretto di
allievi»; dall’altro, «riunione di studio che ha lo scopo di aggiornare (o
formare) un gruppo ristretto di persone su un determinato argomento». Si tratta solo di capire che cosa si vuole
fare.
Aggiungo:
Gianna Spadaccini mi aveva parlato della disponibilità di un luogo a piano
terra della sua abitazione per lo svolgimento di lezioni e esercitazioni.
Possiamo richiederglielo per consentire, tra l’altro, la sua partecipazione.
Sei o sette persone iscritte e possiamo varare il corso.
Fernando D’Annunzio
D’accordo
e disponibilissimo... tienimi al corrente...
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