lunedì 14 novembre 2016

Gigi, Fernando e "lu dialette"

... Riflessioni e progetti per salvare "lu uastarele"
Ho preso spunto da un album di Fernando D’Annunzio pubblicato su Fb il cui titolo «... il nostro dialetto non deve morire...» mi ha
sollecitato un breve commento da cui è scaturito un piccolo dialogo. Ho ritenuto utile metterlo insieme e ripubblicarlo così come si  è svolto (l. m.)

Luigi Murolo
L’anno scorso – più o meno in questo periodo – avevo invitato i cultori della materia a un corso di trascrizione fonetica (scientifica, non letteraria) del dialetto vastese che sarebbe potuto diventare base di un gruppo di lavoro. Ho ricevuto solo cinque adesioni. Mi chiedo: c’è davvero interesse per la lingua storica della città oppure dobbiamo continuare a ascoltare il solito refrain che “il vasto (e non vasto) è bello (e non bella)”?

Fernando D'Annunzio
Prof. Luigi, anch'io avevo appreso tramite FB del corso in progetto ed avevo dato la mia adesione, ma poi non ho più saputo nulla. Forse si poteva iniziare anche in cinque... Personalmente, amante e appassionato del dialetto vastese, quello parlato dai miei avi tutti vastesi, credo di sapermi esprimere bene oralmente, mentre nello scrivere mi rifaccio, il più possibile, a chi ci ha lasciato la maggior parte delle opere in dialetto, in primis “Luigi Anelli” che, oltre a tantissime opere dialettali, ha lasciato alcuniutilissimi dettami su simboli e accenti da usare; anche gli scritti di Gaetano Murolo e, a seguire, Espedito Ferrara, concordano con quelli dell'Anelli... Confesso che ho ancora molto da apprendere, e sono digiuno sulla “fonetica scientifica”, ma penso che, per chi vuole dilettarsi a leggere, per passatempo, un po' di dialetto, sia più facile studiarsi le raccomandazioni di Luigi Anelli che impegnarsi a studiare la “fonetica scientifica”. (Sono comunque sempre interessato ad un tuo eventuale futuro corso, anche per poter rapportarmi con che ne sa più di me, su molti aspetti del nostro dialetto) Ciao... e grazie.
P.S. Sto pensando di attrezzarmi per poter divulgare opere dialettali vocalmente, ovvero leggendole mentre scorre il testo... Solo così può essere possibile lasciare tracce del dialetto scritto e parlato, (cecando di farlo nel modo più corretto possibile).

Luigi Murolo
L’osservazione dell’amico Fernando D’Annunzio non fa una grinza: meglio iniziare con cinque interessati piuttosto che rimanere al palo. Il che vuol dire: meglio un piccolo gruppo che lavora, piuttosto che una classe numerosa ma svogliata. Ma tutto ciò funziona se l’attività è rivolta a un progetto che non è insegnamento. Ad esempio, la realizzazione del Lunario. Tre autori (e Fernando ne è uno) con qualche collaboratore riescono a dare corpo a un bel volume atteso da molti. L’impegno profuso ha un riscontro editoriale. Ma quando si parla di insegnamento, e l’insegnamento (per quanto laboratoriale possa essere) si presenta come la finalità stessa dell’iniziativa, dal punto di vista didattico deve necessariamente prevedere una unità formativa chiamata classe. In un liceo, ad esempio, una classe si forma solo se ha un numero compreso tra i ventisette e i trentadue alunni. Se ha meno di ventisette ragazzi o non viene formata oppure viene tagliata. Si può discutere sul numero: che è molto elevato. Ma per quanto possa essere minimo, l’insegnamento non può essere al di sotto di una determinata quota. Il gioco non vale la candela (avevo previsto una base di almeno dieci interessati). Nel corso del lavoro qualcuno può anche abbandonare per i motivi più disparati. È nell’ordine delle cose. Ma se da cinque qualcuno si ritira, ecco che l’attività diventa all’improvviso priva di senso. Non è più un corso, ma un piccolo gruppo di amici che tende al ma rәcórdә (o, come diceva Fellini, all’ amarcord) e non a una lectio. Le lectiones, anche se fortemente imperniate sulla laboratorialità, esigono regole didattiche.
Ciò che, al contrario, stupisce è la disattenzione verso la lénga della città. Non tanto verso la parlata, quanto verso la scrittura. Nel momento in cui il dialetto non si presenta più come vernacolo (vale a dire, come lingua primaria), ma secondaria rispetto all’italiano (quanti sono i bambini e i ragazzi che ne sono locutori?), l’antica lingua si perde, si smarrisce. Occorrerebbe  cristallizzarla con la scrittura fonetica alla data in cui viene ascoltata oppure registrarla e conservarla in archivi sonori. E invece che cosa si fa? La risposta si comprende dal numero degli iscritti a un corso.
Caro Fernando, se vuoi iniziare la tua attività, presenta il testo prodotto dagli autori ottocenteschi e poi leggilo con la tua pronunzia dialettale da nativo. Un’operazione che va ben oltre la scrittura. Formerai uno splendido archivio sonoro. Da conservare per il futuro.
Tutto qui. Se poi vogliamo un corso di scrittura fonetica, sono sempre disponibile.

Fernando D’Annunzio
OK carissimo, a parte il “corso”, a me piacerebbe anche qualcosa che potrebbe chiamarsi “seminario” o altro, con persone veramente appassionate ed interessate, dove ognuno può dare il suo contributo e può, nel contempo, insegnare, apprendere e formarsi... E’ pur vero che, come si suol dire, molti credono di essere “nati imparati” e quindi per loro partecipare a qualcosa del genere significherebbe abbassarsi a dover apprendere (siamo nell’epoca in cui tutti vogliono dire e imporre, e quasi nessuno è disposto ad ascoltare ed apprendere)... P.S. il “contributo” di cui parlo può essere anche tecnico, tipo l’utilizzo dei social per una buona divulgazione fonetica del dialetto. Infine, riguardo il numero dei “corsisti” o “seminaristi”, non porrei dei limiti... è vero che alcuni potrebbero ritirarsi, ma altri potrebbero aggiungersi... Ciao Luigi

Luigi Murolo
Anche in questo sono d’accordo. Come già detto nel precedente intervento: «Se poi vogliamo un corso di scrittura fonetica, sono sempre disponibile». Ribadisco la mia piena disponibilità. Solo qualche precisazione. La lectio laboratorialisè di fatto un seminario. Non l’ho chiamata in quest’ultimo modo per un motivo. Seminario etimologicamente significa vivaio. Vale a dire, un’organizzazione fatta di giovani leve; da coltivare. Francamente non mi pare il caso nostro. Ho voluto dare una denominazione più consona all’età. Ma il risultato non cambia.  Il duplice significato è sempre lo stesso: da un lato, «esercitazione su un argomento specialistico tenuta da un docente a un gruppo ristretto di allievi»; dall’altro, «riunione di studio che ha lo scopo di aggiornare (o formare) un gruppo ristretto di persone su un determinato argomento».  Si tratta solo di capire che cosa si vuole fare.
Aggiungo: Gianna Spadaccini mi aveva parlato della disponibilità di un luogo a piano terra della sua abitazione per lo svolgimento di lezioni e esercitazioni. Possiamo richiederglielo per consentire, tra l’altro, la sua partecipazione. Sei o sette persone iscritte e possiamo varare il corso.

Fernando D’Annunzio
D’accordo e disponibilissimo... tienimi al corrente...




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