giovedì 21 luglio 2016

DOMENICO ROSSETTI (5^ puntata): la scoperta del Montecalvo, tra misteri e leggende

di Lino Spadaccini

Lasciata la Sardegna, carico di esperienze e arricchimento culturale, Domenico Rossetti, nella primavera del 1802, approda a Genova dove rimarrà per circa un anno.
Proprio in questo periodo, dopo la momentanea pace tra la Francia e l’Austria, il 19 giugno Napoleone delibera una nuova costituzione per la Repubblica Ligure, retta da trenta Senatori, presieduti dal Doge, nella persona di Girolamo Durazzo, ed il potere esecutivo affidato a 5 magistrati (Supremo, di Giustizia, di Legislazione, dell'Interno, della Guerra e del Mare, delle Finanze). Come supervisore del nuovo Governo,viene scelto il corso Cristophe Saliceti (Saliceto 1757 – Napoli 1809), Ministro Plenipotenziario della Repubblica francese e amico di Napoleone.
Durante il soggiorno nel capoluogo ligure, il Rossetti assiste all’arrivo di Gioacchino Murat, futuro Re di Napoli,accompagnato dalla gentile consorte, Carolina Bonaparte, ed ai sontuosi festeggiamenti organizzati per l’occasione: balli, pranzi, concerti, regate, luminarie e fuochi d’artificio si susseguono per circa dieci giorni, a partire dalla data

del loro arrivo l'8 luglio. In particolare, il Rossetti rimane affascinato dalla festa marittima, che lo ispira per la composizione di un’opera in versi dal titolo Il Bucentoro e La Regatta.



Come afferma lo stesso autore, il componimento è una precisa descrizione della festa, raccontata con toni epici: Paride, Elena e Perseo sono solo alcuni dei tanti personaggi utilizzati dal poeta vastese all'interno di un quadro allegorico, di non facile comprensione.
Tornato in sé dai pensieri "epici", il Rossetti s’immerge tra la folla che assiepa il molo: Tra la folla mi spingo... ed oh spettacolo!. Lo scenario che si apre davanti agli occhi del poeta è straordinario:
Brilla intorno il bel porto al color vivido
De’ serici apparati, ai rai settemplici
Di prismatiche gemme, alla chiarissima
Della Beltade lucentezza amabile.
Le tante barchette, allestite in gran pompa per l’occasione, formano un colore folkloristico impareggiabile, ma l’attenzione è tutta per il Bucentoro, questa meravigliosa imbarcazione capace di sciogliere il cuore del poeta:
Mole superba: è Nave! è Tempio! è Regia!
Alto torreggia, e in lei la mano artefice
Scolpì intagli, e rilievi, e cento simboli
Di concordia, e di amor: vi si avviticchiano
Viperei gruppi, e in chi li mira ha origine
Dolce paura, ed un diletto timido.
Le ben connesse parti intorno spandono
Stemprata ambrosia, odore soavissimo:
Splendido Padiglion, opra di Pallade,
Intesto, rabescato, ed amplo, e morbido
Copre la cima, che gentil colmeggia:
Termina quello intorno a nobil loggia,
U’ bella piazza levigata, amplissima
Più che in larghezza, in sua lunghezza estendesi.
Dopo aver esaltato quest’opra impareggiabile, creato dall’ingegno ligure, il Rossetti descrive la Regatta, ovvero la gara tra le imbarcazioni, che si contendono un pallio bicolor, ambito premio al vincitore:
Ma già per l’onde son vicini a correre
Sdrucciolevoli legni: ecco incomincia
Della Regatta il ludo. Accoglie un numero
Di sei ciascuno nerboruti, erculei
Remiganti famosi, ed un che regola
È del timone: quei librando tacciono
Col cimento le forze, han quadri gli omeri,
Robusti fianchi, e petti; e già coll’occhio
Squadran la folla, ch’è divisa in duplice
Lista navicular: la via frapponesi.
Un’assordante colpo di cannone da il via alla gara. I remi si muovono tutti a tempo, squarciando le onde con spessi colpi e innalzando spumosa spruzza.
Con l’avanzare delle bracciate gli sforzi dei remieri raddoppiano, ma vicino a loro ci sono gli spettatori, che con i loro incitamenti li incoraggiano ad andare avanti e a cancellare qualsiasi sforzo.
Le man robuste, e muscolose gonfiansi,
Quasi scintille tra le dita accendonsi,
I larghi petti son focosi mantici,
Dell’inarcate terga i nodi scricchiano,
Grosse le vene sopra il collo, e tumide,
Diresti nel vederle, or ora scoppiano:
Gonfio s’innalza su le spalle energiche
Atro bollente il sangue, e reso livido.
Ormai siamo in dirittura d’arrivo, dall’imbarcazione in vantaggio, un remiero lascia il suo remo e con un salto il vessillo abbranca e ottiene il premio.
Gli spettatori eccitati applaudono e inneggiano ai vincitori, mentre dal Bucentoro s’intrecciano canti e danze.

Dopo aver lasciato Genova, mentre naviga nel golfo di Frejus, Domenico Rossetti è costretto da una tremenda e improvvisa burrasca a naufragare verso la costa nizzarda in Provenza. È il marzo del 1803.
Scampato per miracolo a sicura morte, il letterato vastese approfitta di quell’involontario soggiorno per visitare i ruderi della città romana di Cemenulum, l’antica capitale delle Alpi Marittime e patria dei Vedianti Liguri (III-II sec. a.C.), e approfondire le proprie conoscenze in materia di scienze naturali.
Appreso che verso il territorio detto di Gairaut scaturiva una sorgente, denominata dagli antichi Fontana-Santa (FontaineSainte), che a detta di alcuni era del genere minerale, il Rossetti, la mattina del 24 marzo, si dirige sul luogo insieme a due amici, Giovan Battista Debernardi e Giuseppe Pennesi, accompagnati da un certo Gioacchino Vay, allora procuratore ed amministratore dei beni posseduti da Giovan-Giacomo Vinay.
Chiesto a gente del luogo la presenza di monumenti nei dintorni, gli viene indicato, verso la sommità della vicina montagna, l'esistenza di un buco profondissimo da cui escono gruppi di pipistrelli. Incuriosito, il Rossetti si reca verso il luogo indicato e giunto all’ingresso della cavità, alle 10,30 del mattino, ha la fortuna di trovarsi proprio nel momento in cui un raggio di luce penetra perpendicolarmente all’interno della cavità, illuminando una grossa stalattite. Davanti a quella visione straordinaria, cerca di penetrare nella grotta ma, senza mezzi adeguati è praticamente impossibile. Trovate scale e corde scende all’interno di una grande sala e ai suoi occhi appare uno splendido scenario di concrezioni calcaree.
Nella prima sala nota la presenza di una stalagmite alta circa sei metri, a forma vagamente piramidale, che sembra sorreggere il soffitto. C'è un'altra concrezione che desta molta curiosità, a causa del profilo molto vicino alle sembianze umane, dove è possibile distinguere chiaramente la sagoma della bocca, del mento, del naso e l’incavo degli occhi. Probabilmente, anche in questo caso, ci troviamo davanti al caso della natura, ma questi particolari saranno sufficienti a scatenare la fantasia popolare e scientifica, i quali si lasceranno andare alle ipotesi più disparate. In particolare, lo studioso Maurice Guinguand, parlerà di un viso «magnifique, grandiose, rigide, d’une divinitéinconnue», riconducibile al dio Mithra oppure a qualche altra divinità ligure o italica.
«Altri piccoli spechi vi esistono dietro alle colonne – scriverà Goffredo Casalis nel suo Dizionario Geografico – ai quali si diedero i nomi pomposi di sale, di camere, di gabinetti alla foggia turchese, e che non si puonno vedere se non se col chiaror delle faci. Quando, dalle dieci ore insino al mezzodì, i raggi solari penetrano in questo sotterraneo, ed il chiaror delle faci illumina i piccoli spechi, vi si gode per alcuni minuti di un aspetto incantevole: le colonne coi loro bizzarri ornamenti, e le svariatissime stalagmiti che solcano le pareti, sfavillano ad un istante di mille riflessi di luce a varii colori di un effetto piacevolissimo».
Dopo aver esplorato attentamente tutta la prima grande sala, il Rossetti nota una imboccatura che conduce verso il basso. Preso un sasso, lo lascia cadere giù, per riuscire a capire la profondità del pozzo. Probabilmente il cunicolo doveva essere sì stretto e pericoloso, ma di una profondità tale, che con lunghe corde ne avrebbe potuto tentare la discesa.
Mosso ancora da spirito indomito, privo timori reverenziali, si lega una corda intorno alla vita e, aiutato dai compagni, si fa calare lungo lo stretto cunicolo. Così descriverà la pericolosa discesa nel poemetto, pubblicato l'anno successivo: «Un foro triangolare, prolungato per cinque metri, scavato in un masso di marmo parasito, ed appena atto a ricevere il corpo di un uomo non pingue, è il primo sentiere, che bisogna scorrere coll’ajuto di corde. In fine di esso si trova l’imboccatura di un ampio canale tortuoso, pendente, e che va a finire ad un secondo foro, largo quanto il primo, esistente nel centro della volta della seconda grotta... Prima che si giunga al suddetto foro secondo, scorgesi alla sinistra un sasso di color rosso, fatto a guisa di un piedistallo, su del quale si ammira una bell’opra naturale, simile ad una statuetta, rappresentante un vecchio malinconico d’aspetto, e con le braccia alzate verso il cielo: veduto a qualche distanza sembra vivente.Arrivato il lume a quel basso pavimento dopo 27 metri di strada – prosegue il Rossetti – rischiarata in qualche modo l’interna capacità della nuova caverna, ei può tentare l’accesso; ma sempre con pericolo di sbattere la testa e il corpo nelle pareti, specialmente, se la corda comincia a ciondolare. Io so, se fu critica la mia situazione nel discendervi, e se fu anche molto più critica nel risalire, epoca in cui quasi disperai di potere uscirne vivo».
Giunto nella seconda grotta, il letterato vastese rimane spaventato dalla visione di ombre di animali feroci di terribile aspetto, come leoni, cavalli, furie, cinghiali, pitoni, ecc. e più muove il lume più gli sembrano che questi animali si muovano in tutte le direzioni. Dopo la sorpresa iniziale si rende conto che è solo un effetto ottico e che si trova davanti a innocue rocce.
La seconda grotta esplorata è lunga circa venti metri, ma anche molto stretta, con una larghezza che varia tra uno e cinque metri. La parete di fondo termina nel buio densissimo, infatti, sarà lo stesso Rossetti a riferire che «Malgrado una quantità di lumi, ch’io vi accesi dappresso, non potei in verun modo diradarne le tenebre; ed avendovi replicate volte scagliato al di dentro de’ grossi sassi, questi o non mandarono all’orecchio verun rumore, o lo mandarono cupo, debole, e simile a quello di un corpo caduto in mezzo alle acque».
Il viaggio del Rossetti termina davanti a questa coltre buia e impenetrabile: non può andare oltre a causa della mancanza di mezzi e assistenza da parte dei compagni, vinti dallo spavento e dal timore di penetrare in quel luogo troppo pericoloso.



Galvanizzato dalla recente scoperta e spinto dai suoi amici più cari, il Rossetti lascia andare la vena poetica cimentandosi nella stesura di un poemetto in versi. La Grotta di Monte-calvo poemetto dell’avvocato Domenico Rossetti membro di varie accademie esce dai torchi dalla Stamperia di Domenico Pane, nell’anno XII della Rivoluzione francese, corrispondente al 1804. Il poemetto è dedicato a Giovan Giacomo Vinay, consigliere della prefettura di Torino e padrone del fondo dove venne scoperta la grotta, ed alla Repubblica letteraria «per la novità e nobiltà del soggetto».
Il poemetto è diviso in tre canti. Il primo tratta dell’origine della città provenzana, del suo clima e del viaggio alla grotta; nel secondo è contenuta la descrizione dettagliata della grande sala e delle sale attigue, ricche di concrezioni; nell’ultimo canto si parla della discesa nella seconda grotta e degli oggetti e meraviglie in essa contenute, il tutto arricchito da numerose annotazioni di chimica e fisica.
Il poema si compone di 165 ottave (63 per il primo canto, 59 per il secondo e 43 per il terzo), per un totale di 1320 versi nel metro ABABABCC. Al termina dell’opera, nelle annotazioni, il Rossetti  ringrazia i Pastori della Colonia della Dora di Torino, di cui era fiero far parte, vista la presenza di illustri e noti letterati del tempo, quali Luigi Andrioli (Filinto), segretario della Colonia, l’amico Anton-Maria Ballor (Aristeo), la poetessa Diodata Saluzzo Roero di Revello, in arcadia Dafne, e, soprattutto il rinomato Signor Abate Valperga de Caluso, degno maestro dell’immortale Vittorio Alfieri.
Grazie al notevole successo di vendita del libro, con il prezzo fissato in lire 12, ed alle numerose richieste di copie da ogni parte d’Italia, il Rossetti, con una pubblicazione indirizzata Agli amatori delle scienze e delle utili scoperte, data alle stampe probabilmente nel 1804, annuncia l’imminente ristampa dell’opera, per l’editore Luigi Mussi, riveduta ed ampliata con ulteriori ottave. All’annuncio, in realtà, non seguirà la pubblicazione.


L’eco della scoperta della grotta si estende, sin dal primo giorno, dapprima nei dintorni di Nizza, successivamente nell’intera Francia ed anche in Italia.Studiosi e ricercatori si recano sul luogo per verificare con i propri occhi l’entità della scoperta. Tra questi troviamo il professor Vassalli-Eandi, docente di fisica sperimentale nell’Università di Torino, il quale riprendendo la scoperta del Rossetti pubblicherà un estratto del poema nel quarto volume della BibliothequeItalienne. «Je ne chercherai point de rendre en presse les merveilles que l’auteur a décrites en vers – scriveràlostudiosopiemontese – ni de parteciper de son enthoisiame; ma je tacherai de donner une idée de cette grotte, en y ajoutant la notice de la maniere dont elle a été découverte, en attendant que quelque naturaliste en fasse une description complette, telle qu’elle parait la meriter». Vassalli-Eandiproseguiràraccontando la scopertadellagrotta, la discesadel Rossetti e la descrizione delle sale, terminando il brevesaggioaffermandoche il proprietariodelterrenodovevennescoperta la grotta, il consigliere di prefettura Jean-Jacques Vinay «a fait couper et polir plusieurs morceaux des stalactites, tires des differens endroits de cette grotte, et il vient de les presenter à l’Académie, pour en enrichir le musée d’histoire naturelle; quelques-uns de ces morceaux èmulent les stalactites de la célèbre grotte d’Antiparos, tant par la varieté des couleurs que par leur poli».
Tra i giornali che riporteranno la notizia della scoperta con toni encomiastici e trionfalistici, si distinguerà il Giornale delle Muse e delle Grazie, il quale scriverà«Questa grotta recentemente scoperta dall’avv. Domenico Rossetti è l’ottava meraviglia della natura».
Ai tanti commenti positivi, si contrappone la dura critica di un tal FilomusoAjuti (uno dei tanti pseudonimi usati dall'avvocato e letterato Giovan Battista Fontana, specializzato nella denigrazione dei suoi nemici), in quale in una lunga e ragionata esposizione di 28 pagine, composta da un’introduzione e 29 note, tenta di screditare tutta l’opera, con frequenti commenti volutamente offensivi e di cattivo gusto nei confronti del poeta vastese. «Veggo dal vostro prospetto Agli amatori ec., fatto ultimamente uscire in Parma – esordisce l’Ajuti nell’introduzione – che minacciate l’Italia di una nuova edizione della Grotta di Montecalvo, poemetto illustrato da lunghe e ragionate annotazioni, che dette note siano per esser lunghe vel credi, per ingrossar il corpo del volumetto, ma ragionate nel credo per due motivi 1° perché non istà a voi dirlo, se sono vostre; 2° perché non ponno essere ragionate, quando non siano pezzi copiati…».
Dopo  aver ironicamente offerto il suo aiuto per ampliare in modo costruttivo l’uscita della ristampa del volume, l’Ajuti prende in giro il cognome del poeta vastese: «Rossetti: parola del più singolare rossetto che vuol dire belletto…». E prosegue, analizzando e commentando pari passo tutto il volume del Rossetti: «Invece di farvi chiamare avvocato dovevate nominarvi chimico, od almeno garzoncello di qualche Farmacqua, se cominciate allora, e di passaggio a praticar l’analisi di una da voi non ancora conosciuta cert’acqua sol creduta minerale. Ma ditemi per fede vostra… perché trafelavate di sete, posso anche congetturare il motivo, cioè essendo in questa città di passaggio, val a dire incognito, non trovaste con tutta l’abbondanza… un cane solo che vi esibisse un bicchiere di pisciarello».
In base alla distanza della grotta dal centro abitato di Nizza e dall’ora della scoprimento, per ritornare sul posto con adeguate corde per calarsi all’interno, dovevano essere oltre le due di notte: «Il vostro vestito era forse composto tutto di pietra di Bologna fosforeggiante, onde poter sicuramente muovere un passo dove non si sarebbe veduto punto, neppure se fosse stato di mezzodi, senza l’aiuto di una quantità di torcie ben divampanti?».
Secondo l’Ajuti, la scoperta della grotta sul Monte Calvo è tutta una montatura con l’unico scopo di ricevere fama e gloria: «Permettete che io vi dica come fu la faccenda. Fu che voi forse in quel dì vi giacevate in qualche lettuccio… in preda a qualche meraviglioso sogno… Dunque è evidente che voi sognaste profondamente, e che forse nel giorno seguente digerito quel vino di cui eravate cotto, e svegliatovi alfine inventaste quella favola, e vi tiraste su quattro magri versi; e per accettare con chevivere pregaste per amor di Dio uno Stampatore ad imprimerveli, e voi gli vendeste agli sciocchi, ai creduli, de’ quali pur troppo n’è infinito il numero dovunque…».
Successivamente l’Ajuti passa a criticare il Giornale delle Muse e delle Grazie, che ha parlato della scoperta con toni trionfalistici, ed infine, chiude la pesante lettera evidenziando l’assurdità della scoperta della grotta, in quanto «…è noto dalle storie, ch’era cognita agli antichi Romani, e traevano da essa (giacché era una miniera di nativo muriato di soda) il sal comune, o sal di cucina; e la curarono finché poterono averne per anni moltissimi. Trovatala poi, e creduta omai vuota, l’abbandonarono. Il tempo ne ha chiusa forse l’entrata allora praticatissima…».
La critica dell’Ajuti è sicuramente fuori luogo, eccessiva e con toni decisamente offensivi («opera scritta da un vero membro genitale») diretti alla figura del poeta vastese; grossolani errori sono presenti nell’esposizione e, probabilmente, le esagerazioni evidenziate dall’Ajuti potevano anche essere parzialmente condivise, visto che, almeno in Italia, fino a pochi anni fa, della grotta di Monte Calvo non si aveva la benché minima traccia. In fondo, il Rossetti aveva scoperto solo una delle tante grotte sparse nel mondo, nemmeno poi tanto importante viste le modeste proporzioni, le scarse concrezioni e l’assenza di notizie in merito. La realtà dei fatti andrà in tutt’altra direzione: il tempo e la storia hanno dato ragione al Rossetti, soprattutto per l’insolita presenza di una piramide, che ancora oggi, dopo oltre duecento anni, nasconde un mistero tutto da scoprire.

Torniamo per un attimo al poemetto scritto dal Rossetti. Sul frontespizio è presente una bella incisione dello Stagnon, disegnata dalla pittrice Sophie Leclerk (1777-1829), moglie di Scipione Giordano e protetta del Consigliere di Prefettura Giovan-Giacomo Vinay, padrone del fondo dove avvenne la scoperta la grotta, che ritrae il giovane Domenico, poco più che trentenne, con l’indice della mano sinistra che indica una piramide raffigurata alla sua destra; mentre alla sua sinistra si può notare una piccola costruzione denominata Bastide, di cui il Rossetti parla a p. 42 ne LaGrotta.
La piramide, situata a circa cento metri dalla sommità del Monte Calvo, nel territorio di Falicon, è una delle rarissime strutture piramidali esistenti in Europa. Le sue dimensioni sono relativamente modeste, le basi hanno dimensioni che variano da 5 a 6,5 metri, e in più la sua cima oggi risulta tronca all’altezza di 3 metri. I materiali di costruzione utilizzati derivano da un minerale locale, che ne danno un aspetto rudimentale e fatiscente, tra l’altro molte pietre che la compongono, durante gli anni, sono state asportate da ignoti vandali: probabilmente, a causa di una leggenda che vuole che sotto la piramide ci sia un tesoro nascosto.
Molte sono le ipotesi formulate sulla natura della piramide. La piramide disegnata dalla Leclerk è la più antica rappresentazione finora conosciuta: nessun testo, antecedente alla scoperta del Rossetti, menziona in alcun modo la presenza di una struttura piramidale nella zona.
C’è da chiedersi se sia possibile che il poeta vastese, nella stesura de LaGrotta, dove descrive ogni minimo dettaglio della scoperta, abbia potuto tralasciare di indicare la presenza di una piramide di sicuro interesse storico.
All’inizio del ventesimo secolo lo scenario cambia completamente. Èil Bollettino della Sezione delle Alpi Marittime del Club Alpino Francese ad aprire la strada a nuove interpretazioni circondate da una dimensione sacra ed al tempo stesso esoterica. Nell’articolo si legge: «in maniera di segnale, l’abisso è sormontato, o meglio coperto, da una enigmatica piramide innalzata lì dalla mano dell’uomo, la cui origine è oscura...». Sono bastate due parole énigmatique e ténébreuse, a scatenare una vera e propria corsa alle interpretazioni più disparate, con ipotesi legate al culto di Mithra, ai Templari ed alla Massoneria, di cui lo stesso Domenico Rossetti faceva parte.
Tanti sono gli illustri studiosi che nel tempo hanno cercato di spiegare il mistero della piramide. Gli studi continuano ancora oggi, grazie a Pierre Bény, Catherine Ungar e YannDuvivier, tre ricercatori francesi membri dell’IPAAM (Institut de Préhistoire et d’Archéologie Alpes Méditerranée) di Nizza,  autori di un interessante volume, di oltre 300 pagine, pubblicato nel 2008, La Pyramide de Falicon e La Grotte des Ratapignata, ed ancora un lungo saggio pubblicato nel 2012, dove sono presenti molti documenti inediti, alcuni dei quali riguardanti il legame del Rossetti con la massoneria.

Nel breve soggiorno torinese, durato solo undici mesi, il Rossetti frequenta l’Accademia dei Pastori della Dora, col nome arcadico di Aminta, dove si confronta con i migliori letterati della città quali l’abate Valperga de Caluso, maestro di Vittorio Alfieri, la poetessa Diodata Saluzzo Roero e tanti altri.
Il Rossetti rimarrà molto legato alla Colonia: in molte pubblicazioni, fino all’ultima del 1816, pochi mesi prima della morte, non mancherà di rimarcare la sua appartenenza all'Accademia torinese.
Oltre a La Grotta di Monte Calvo, il Rossetti,in questo periodo, cura la pubblicazione di una raccolta di poesie per le nozze dell’avvocato Leopoldo Cunietti, personaggio di spicco della municipalità di Alessandria, con Carolina Demaria.
Anticipato da una breve nota alla "Coppia impareggiabile", il libretto si compone di un’iscrizione in latino del poeta Felice Zampa, un’Ode libera di un tal Cerori, L’ipotesi di Platone sopra l’origine d’amore e d’imeneo, canzone del sacerdote Luigi Richeri, socio dell’Accademia Italiana Tiberina, un Sonetto in vernacolo di EdouardCalvoi, un Madrigale, sempre in vernacolo di Felice Buzan, stampatore del libro, ed infine un Sonetto ed uno Strambotto del nostro Domenico Rossetti.
















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