domenica 7 luglio 2013

Personaggi: DOMENICO ROSSETTI E LE SUE BATTAGLIE PER LA LIBERTA'

Il 7 luglio del 1816 si spegneva a Parma il letterato vastese Domenico Rossetti, fratello maggiore del Tirteo d’Italia.
DOMENICO ROSSETTI

Ancora una volta torniamo su questo personaggio, fino a poco anni fa quasi del tutto sconosciuto e che ancora oggi, dopo anni di approfondite ricerche mostra dei lati oscuri e non del tutto chiariti.
Uno degli eventi decisivi per la vita di Domenico Rossetti avvenne tra il 1792 ed il 1793, quando il re di Napoli decretò
la leva per la spedizione di una flotta di navi a Tolone, in aiuto degli alleati inglesi.
Nel 1792 vennero preallertati e tenuti a disposizione circa sedicimila uomini tra i 18 ed i 40 anni per la formazione di sessanta battaglioni di fanteria e venti squadroni di cavalleria. Nel frattempo si preparò anche la spedizione marittima di Tolone. Tra il luglio ed il settembre vennero preparati il Tancredi, un vascello dalla capacità di 74 cannoni, sotto il comando del capitano Francesco Caracciolo, il Sannita ed il Guiscardo, i quali salparono dal porto di Napoli il 17 settembre insieme a due fregate ed a tante corvette, formando una discreta squadra al comando del generale Bartolomeo Forteguerri.
Per sottrarsi alla coscrizione obbligatoria molti giovani si sposarono, altri si tagliarono il pollice, ed ancora ci fu qualche genitore che pagò dei sostituti da presentare al posto del proprio figlio e chi preferì fuggire all’estero. Quest’ultimo fu il caso del nostro Rossetti che, come spiegherà più tardi un suo biografo, “…in cui dalle care sue scienze e dalle predilette Muse avrebbe dovuto forzatamente, e forse per sempre, accomiatarsi”, preferì quindi riparare alla volta di Roma. Questa fuga segnerà per sempre la vita di Domenico, perché sul suo capo penderà l’accusa di diserzione.
La situazione politica in Italia alla fine del Settecento non fu delle più tranquille e spinsero il giovane Rossetti ad un continuo peregrinare verso altri stati europei, tra i quali Francia e Spagna.
Come conseguenza della rivoluzione francese e delle sue mire espansionistiche, nel 1796 l’esercito d’oltralpe intraprese una campagna militare per la conquista dell’Italia. Per dirigere le operazioni militari nel nostro paese fu inviato un giovane generale di 27 anni: Napoleone Bonaparte.
Agli inizi del 1799 l’esercito francese aveva occupato tutti gli stati italiani ad esclusione del Granducato di Toscana, che aveva dichiarato la propria neutralità. Ma il 24 marzo successivo i francesi aprirono le ostilità e si preparano all’invasione. Il granduca Ferdinando III, con le lacrime agli occhi, prese la via di Vienna e la Toscana venne sottoposto direttamente al governo della Repubblica francese.
Facciamo un salto sull’Isola d’Elba, dove ritroviamo il nostro Domenico Rossetti.
Alla fine di marzo venne inviata una delegazione francese a Portoferraio per comunicare al comandante della fortezza il passaggio dal governo granducale a quello repubblicano. Mentre i magistrati e i maggiorenti dell’isola decisero di sottomettersi, non fu così per il popolo e per le stesse truppe austriache ancora di presidio, decisi ad opporre una strenua resistenza anche in mancanza di armi e cibo. Un inutile massacro di uomini non poté essere evitato e alla fine la bandiera francese finì per sventolare su Portoferraio.
E forse proprio in questa prima fase entrò in scena il nostro Rossetti. “I Signori Rafin e Monserrat comandanti francesi”, si leggerà in una sua biografia, “tennero consiglio co’ Signori Fratelli Vantini e colle altre principali Autorità, e saggiamente stabilirono di scegliere una persona coraggiosa, eloquente e di prudenza fornita, che a disinganno di quelle popolazioni parlasse, tra loro recandosi rivestita de’ convenienti poteri. Rivolsero unanimamente lo sguardo al nostro Autore, il quale da quindici giorni dimorava in quella città; ed egli, cui assai doleva del male dell’Umanità e dello spargimento di tanto sangue, andò intrepidamente ne’ due comuni di Sant’Ilario e di S. Pietro in qualità di parlamentario e di oratore, ove mettendo in opera un eloquente e saldo ragionare, vinse quelle istizzite genti ad udirlo accolte, e docili e obbedienti al nuovo governo le sottomise”.
Ma i fatti presero subito una direzione diversa. Il primo aprile un migliaio di francesi sbarcarono nell’isola per rinforzare le guarnigioni esistenti, e provocarono l’indignazione e l’insurrezione di tutta la popolazione isolana, che liberarono quattrocento galeotti rinchiusi nel penitenziario di Porto Longone e respinsero con determinazione le truppe francesi.
La battaglia fu cruenta: centinaia furono i morti sul campo, soprattutto per le pesanti rappresaglie dell’esercito d’oltralpe nei pressi di Sant’Ilario e San Pietro, ma anche i francesi subirono forti perdite sotto il fuoco sempre più unito e organizzato degli isolani.
L’invasione francese costò inutili e ingenti perdite di vite umane, che provocarono lo sdegno, ma anche una forte reazione del popolo italiano, il quale cominciò a pensare anche alla realizzazione dell’unità nazionale.
All’inizio di maggio si diffusero ad Arezzo voci che davano per imminente l’arrivo di un esercito liberatore austro-russo. La mattina del 6 maggio tutta la città e le campagne limitrofe insorsero al grido di Viva Maria, Viva Gesù, Viva Ferdinando III. Il popolo scese in piazza incitato soprattutto dal clero, l’albero della libertà fu dato alle fiamme e cominciò la caccia al giacobino. Il 14 maggio, nella battaglia di Rigutino, località vicino Arezzo, i francesi subirono una pesante sconfitta e furono costretti a riparare verso territori ancora occupati.
La notizia della vittoria si diffuse presto in tutta la Toscana. La voglia di libertà provocò nell’animo della popolazione un deciso moto d’orgoglio: molti volontari si arruolarono nell’esercito aretino, il quale arrivò a contare fino a cinquantamila effettivi.
Il 4 luglio i francesi lasciarono Firenze, assediata dalle truppe aretine e via via tutte le altre città del granducato vennero liberate.
Anche sull’Isola d’Elba i francesi incontrano un’inaspettata resistenza e, dopo aspri combattimenti, il Monserrat, comandante del presidio di Portoferraio, fu costretto a cedere. La resa venne firmata nella Chiesa di S. Rocco nel luglio del 1799. Così Portoferraio fu per breve tempo occupato dalle truppe napoletane, che effettuarono  rappresaglie e ritorsioni su coloro che avevano accolto i francesi.
In questa situazione di disordine e confusione, che vide anche il proliferare dei briganti che in nome della “Santa Fede” estorcevano tributi e tagliavano le teste, approfittò l’asse austro-russo, che in poco tempo si assicurò la Lombardia, l’Emilia ed il Piemonte; questo grazie anche alla mancata resistenza del popolo, che vedeva negli austro-russi i liberatori dell’Italia dall’oppressione francese.
In questo periodo dove fu alto il senso di patriottismo, dove si formò una nuova classe intellettuale in cui maturarono nuove idee di libertà e di unità, nacque un nuovo fervore poetico dove vennero raccontate con enfasi le speranze, le battaglie e le vittorie per il raggiungimento della libertà; possiamo dire che ci troviamo davanti ad un’anticipazione della letteratura patriottica che avrà la sua massima espressione alcuni anni più tardi, dove tra i protagonisti ritroviamo proprio Gabriele Rossetti, fratello di Domenico. In questo movimento letterario, oltre ai più famosi Parini e Monti, si inserisce prepotentemente e oserei dire anche sorprendentemente Domenico Rossetti.
Lasciata l’Isola d’Elba, Domenico rimase in Toscana e visse a pieno quei tragici avvenimenti, che portarono fino alla liberazione del Granducato, e con animo lucido e decisamente ispirato diede vita a La superbia de’ Galli punita, un canto estemporaneo firmato come Stitemenios Veldacodrotos, anagramma di “Domenico Rossetti del Vasto”.
Dell’opera del Rossetti si conservano due edizioni, la prima stampata a Pisa per i tipi di Antonio Peverata, e la seconda inserita in una raccolta di poesie, pubblicata a Firenze, come segno di ringraziamento all’esercito austro-russo, ed in particolare al generale Suwarov, per aver liberato l’Italia. Ma su questo torneremo domani.

Lino Spadaccini
sopra il generale Suwarov,
sotto il generale in battaglia
 



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